Puntualmente, ad ogni crisi geopolitica si pone il problema di definire e adottare una strategia energetica che renda più indipendenti sia per quanto riguarda le fonti energetiche che i relativi approvvigionamenti. Purtroppo la definizione di una strategia energetica e la sua applicazione richiedono tempi non compatibili con le esigenze temporali originate dalle varie crisi.  Basti pensare al problema dei cambiamenti climatici che sono stati affrontati con forte ritardo e la cui soluzione richiederà come minimo diversi decenni. I problemi relativi alla realizzazione degli impianti, legati principalmente alla loro accettabilità sociale, alla catena di approvvigionamento (‘supply chain’) e alle regolamentazioni nazionali, richiedono decisioni che abbiano un respiro temporale adeguato e garantito. Mettere in piedi un sistema energetico richiede, infatti, decenni per lo sviluppo del sistema produttivo e per il ritorno degli investimenti.

In queste occasioni si riapre, più o meno timidamente, il dibattito sull’energia nucleare che oggi significa energia da fissione, in attesa che quella da fusione maturi.

La questione se la fissione possa dare un contributo maggiore ad un portafoglio energetico ad emissioni zero, che nei prossimi anni vedrà una richiesta di produzione di elettricità via via crescente per far fronte alle esigenze della trasformazione ecologica, dipende da molti fattori e tra i più importanti la dimostrazione che le tecnologie realizzative degli impianti nucleari possano dare sufficiente garanzia riguardo alla loro sicurezza e alla gestione dei rifiuti radioattivi. Attualmente l’energia da fissione, assicura con i 440 reattori in operazione, 2.500 miliardi di kilowattora, il 10% della produzione mondiale di energia elettrica. L’energia nucleare è una frazione importante dell’energia a zero emissioni prodotta (il 26%), dietro l’idroelettrico (43%) e davanti al solare (6%).

La reazione di fissione nucleare utilizzata nei reattori commerciali attuali è una reazione prodotta dalla collisione di un neutrone con un nucleo di uranio-235, (vedi figura seguente), con conseguente scissione del nucleo in due frammenti e rilascio di una grande quantità di energia. L’energia rilasciata è uguale alla differenza della massa tra i prodotti di fissione e quella del nucleo di partenza, in accordo col principio di equivalenza tra massa ed energia. Poiché ogni reazione produce da 2 a 3 neutroni, bisogna fare in modo che si produca solo una fissione per ogni fissione (per avere, cioè, un sistema cosiddetto ‘critico’), altrimenti si innescherebbe una reazione a catena non controllabile. Per massimizzare la probabilità di collisione tra il neutrone e il nucleo bersaglio, è necessario ‘rallentare’ il neutrone prodotto dalla reazione moderandone la velocità di oltre 6000 volte, portandoli, cioè, al livello di energia ‘termica’.

Schema reazione di fissione

Fonte: Elaborazioni autore

Un reattore a fissione è perciò costituito, come indica la figura seguente, da un ‘core’, una matrice di barre contenenti il ‘combustibile’ (elementi di combustibile), immersa in un mezzo deputato al rallentamento dei neutroni e allo smaltimento dell’energia termica prodotta (tipicamente acqua). Per regolare la potenza vi sono le barre di controllo per assorbire i neutroni. Per avere un’idea di quanto sia efficiente in termini energetici una reazione nucleare basti pensare che un grammo di uranio-235 produce quasi 20 milioni di kilowattora mentre un grammo di idrocarburi circa 10 kilowattora. La reazione nucleare di fissione è quindi oltre un milione di volte più energetica di quella chimica dei combustibili fossili. Anche considerando che l’uranio-235 costituisce solo lo 0,7% dell’Uranio naturale (che viene portato al 3-5% nel combustibile per i reattori), la quantità di ‘combustibile’ necessario per alimentare una centrale da 1.000 MW elettrici è di qualche decina di tonnellate per anno. Si può capire, quindi, la differenza in termini di complessità e di costi (anche ambientali) di approvvigionamento tra il combustibile nucleare e quello fossile. Questo ha anche un impatto sui costi dell’energia che, anche se il dibattito sui numeri è molto vivace, vede l’energia nucleare tra le più competitive.

Schema centrale nucleare

Fonte: Elaborazione autore

Il grosso problema dell’energia da fissione è notoriamente legato sia agli effetti di eventuali incidenti, dovuti al venir meno del sistema di raffreddamento, sia al problema dello smaltimento dei prodotti di fissione radioattivi. Anche se i residui potenzialmente pericolosi rappresentano meno dell’1,5% della massa del combustibile, questi hanno una radiotossicità tale da richiedere uno stoccaggio sicuro per moltissimi anni. Bisogna avere quindi un sito geologicamente stabile e soprattutto identificabile per un lunghissimo lasso di tempo.

Nei circa 70 anni di esercizio ci sono verificati tre incidenti catastrofici. Il primo nel 1979 a Three Mile Island (Stati Uniti) dovuto ad un guasto tecnico, il secondo nel 1986 a Chernobyl (Ucraina) dovuto ad un grave un errore umano durante una manovra anomala ed il terzo nel 2011 a Fukushima (Giappone) dovuto ad un terremoto di gravità estrema. A seguito di questi incidenti, nelle centrali di più recenti (Generazione III+) si sono potenziati di molto i sistemi di sicurezza attivi e si è introdotto un sistema di raffreddamento passivo (che non richiede alimentazione elettrica) in caso di incidente. Come il reattore europeo EPR1600 e l’americano AP1000.

Pensare di aumentare la frazione di energia prodotta dal nucleare da fissione introduce, oltre a quello della sicurezza, un altro problema e cioè quello della disponibilità di Uranio che viene sfruttato molto poco se si utilizza solo l’uranio-235. Le stime dicono che le riserve di uranio consentirebbero con l’attuale rate di consumo la produzione di energia nucleare per circa 100 anni. Sulla sicurezza si sono fatti interventi molto importanti per aumentarla, ma per quanto possa essere basso il rischio gli effetti sono comunque potenzialmente disastrosi.

Per questo motivo la ricerca è stata orientata verso sistemi (Generazione IV) che con approcci innovativi tentano di risolvere, oltre al problema della disponibilità di uranio, i due maggiori problemi: sicurezza e rifiuti radioattivi.

Per quel che riguarda la disponibilità di combustibile, si riprende il concetto di reattore ‘veloce’ (alcuni esemplari sono stati realizzati nei decenni passati tipicamente per ricerca), con lo scopo di trasformare l’uranio-238 in un materiale fissile. Per fare questo, si devono utilizzare neutroni di alta energia, senza necessità di ‘moderarli’, in modo da ottimizzate la trasmutazione dell’uranio-238 in Plutonio-239. In questo modo le riserve di combustibile stimate sufficienti per un centinaio di anni si amplificherebbero di un fattore 60. Questo sistema è però molto più complesso da operare e richiede costi certamente più alti, oltre a presentare un problema di proliferazione. Un’altra strada, che non presenterebbe problemi di proliferazione ma avrebbe una efficienza minore, è quella di utilizzare in un reattore ‘veloce’ il Torio-232 per trasformarlo in Uranio-233, anch’esso fissile.

Venendo al problema della sicurezza, alcuni dei sei concetti di reattori di IV generazione in via di sviluppo potrebbero operare in regime ‘sottocritico’, un sistema in cui la reazione non si può sostenere autonomamente, ma richiede una sorgente esterna (acceleratore di particelle) per produrre la quantità di neutroni necessari per arrivare alla ‘criticità’. Il vantaggio è evidente: in caso di problemi spegnendo l’acceleratore si spegne la reazione. Anche in questo caso i costi di investimento e di gestione aumenterebbero notevolmente. Inoltre, quelli che utilizzano neutroni veloci, hanno la possibilità di ‘bruciare’ i prodotti di fissione più pericolosi quali gli attinidi minori (Nettunio, Americio, Curio) e i prodotti di fissione a lunga vita (isotopi radioattivi di Iodio, Cesio, Zirconio e Cesio). Possono quindi chiudere il ciclo (figura 3) senza rilasciare rifiuti da immagazzinare. Tra i concetti più promettenti vi è quello che utilizza il raffreddamento a piombo liquido a convezione naturale quindi estremamente sicuro anche nella sua versione a funzionamento ‘critico’.

Schema ciclo del combustibile chiuso

Fonte: Elaborazione autore

Come si evince, però, questi concetti richiedono costi di realizzazione e gestione molto più elevati dei reattori ‘termici’. Per questo e per far fronte anche ai tempi di realizzazione che si sono man mano dilatati, anche per il progressivo impoverimento delle capacità industriali del settore, si stanno sviluppando concetti di reattori modulari piccola taglia (200-300 MW di potenza, contro 1-2-GW dei reattori di grossa taglia). Questi avrebbero il vantaggio di richiedere minori costi di investimento e minori tempi di realizzazione (l’ultimo reattore operativo in Europa ha richiesto 16 anni di costruzione), mantenendo la possibilità di realizzare siti con potenze dei Gigawatt, aggiungendo via via altri ‘moduli’. Inoltre, anche la gestione della sicurezza risulterebbe più agevole essendo questa legata all’energia immagazzinata nel sistema.

Per tornare alla domanda sulla possibilità di utilizzare la fissione come fonte di energia ad emissione zero, un aiuto a risolvere i dilemmi sulla sicurezza e la gestione dei rifiuti e quindi determinare l’accettabilità di questa fonte di energia può venire dalle ricerche in corso. Inoltre, nel caso si potrà dimostrare la sicurezza di questa forma di energia, sarà essenziale ricostruire una capacità industriale che possa far fronte qualitativamente e quantitativamente alla sua realizzazione.