L’analisi comparativa basata sulla metodica LCA condotta dal Politecnico di Milano, oltre che per i risultati a cui giunge, costituisce un punto di partenza importante in un’ottica di implementazione di politiche mirate al contenimento, a livello macro, degli impatti emissivi dei gas climalteranti e, a livello micro, degli agenti atmosferici inquinanti.
I primi, vale la pena ricordarlo, sono i cosiddetti gas serra (ad esempio CO2, metano, NO2) che hanno un impatto diretto in atmosfera a livello globale e che vengono contabilizzati negli impegni di riduzione delle emissioni che i paesi hanno assunto a livello internazionale (prima con il Protocollo di Kyoto e poi con l’Accordo di Parigi). I secondi, invece, sono gli inquinanti atmosferici (quali polveri sottili, ossidi di azoto) la cui alta concentrazione è dannosa per la salute umana, ma il cui impatto è localizzato sul territorio. L’Italia ha delle aree particolarmente a rischio in varie parti del Paese, incluso il Bacino Padano. In questo caso, l’emissione di questi agenti non è ascrivibile esclusivamente al contribuito delle attività umane ma dipende da condizioni a contorno del territorio (morfologia o aspetti meteo-climatici).
Ma perché un’analisi LCA è importante? Per Riccardo De Lauretis di ISPRA, un’analisi comparativa degli impatti delle diverse fasi del LCA per singola fonte, permette di identificare meglio le azioni per ridurne le ricadute ambientali. Si tratta di un tipo di analisi mirata e diversa da quella che si conduce a livello internazionale dove, al contrario, si va a ricercare l’impatto emissivo di ogni singolo settore (riscaldamento, trasporti, industria) in relazione principalmente ai cambiamenti climatici. Un approccio, quest’ultimo, che muove sia dalla consapevolezza che il climate change riguarda l’intera popolazione mondiale e non solo una porzione di essa, sia da opportunità politiche, vista la maggiore rilevanza mediatica del tema.
Sarebbe però, auspicabile, continua De Lauretis, poter disporre in futuro di una banca dati nazionale uniforme e completa sul ciclo di vita, al fine di una valutazione più accurata degli impatti. Banca dati, che però, ad oggi non esiste: un limite che non permette a una metodologia LCA di essere integrata nel lavoro di monitoraggio e inventario delle emissioni che conduce ISPRA. E questo non per la scarsa rilevanza dello strumento, ma a causa della complessità dell’attività di reporting condotta, che deve adeguarsi a regole ben definite e uniformi a livello internazionale nonché gestire le informazioni di circa 350 categorie emissive (ognuna con una sua specificità) e di circa 30-40 sostanze differenti.
Per Fabio Romeo della Direzione generale valutazioni ambientali del Ministero per la Transizione Ecologica, il pregio dello studio LCA sta nell’aver analizzato l’intero processo di ogni fonte, compresa la valutazione dei limiti di ognuna di essa. Aspetto che consente di capire dove sono anche i margini di miglioramento, al di là della semplice constatazione, già nota, di quale sia la fonte più impattante da un punto di vista emissivo. Sicuramente, continua Romeo, in termini anche di qualità dell’aria, la questione più complicata da gestire è quella relativa all’utilizzo della biomassa legnosa. Fonte che beneficia di una serie di aiuti, anche involontari, che derivano non da scelte politiche, ma da una questione culturale (la gente pensa che bruciare legna non sia inquinante per l’ambiente e dannoso per la salute) e, in questo momento, anche dalla congiuntura economica difficile e dagli elevati prezzi degli altri vettori energetici. Agire con politiche mirate è dirimente, ancor di più perché attualmente sono in corso tre procedure di infrazione a carico dell’Italia relative alla qualità dell’aria.
Una, aperta da poco e relativa al PM 2,5, meno rilevante delle altre due, perché riguarda solo un paio di stazioni che sono già prossime a rientrare nei valori limite consentiti.
Una seconda, inerente al biossido di azoto, per cui l’Italia è stata deferita alla Corte di Giustizia, già da un paio di anni, ma per cui si è ancora in attesa del giudizio della corte. E una terza, la più critica, che riguarda il PM 10, per cui il nostro paese è stato condannato il 10 novembre 2020. La Corte di Giustizia, infatti, ha accertato l’inadempimento, il che comporta un monitoraggio costante da parte della Commissione sugli sforzi compiuti dall’Italia per rientrare nei limiti nel minor tempo possibile. Qualora questo sforzo non fosse adeguato potremmo andare incontro, in caso di nuova condanna, a una sanzione pecuniaria che, vista la natura e la durata dell’infrazione, potrebbe essere molto severa.
Infine, per Isabella Annesi-Maesano, che codirige un laboratorio misto di ricerca, Università de Montpellier ed INSERM (Institut national de la santé et de la recherche médicale) in Francia, questo tipo di studi consente un’ulteriore valutazione degli impatti sulla salute umana fino a giungere alla conclusione secondo cui sostenibilità e salubrità vengono a coincidere nel lungo periodo.
Secondo Isabella Annesi-Maesano, un’attenzione maggiore dovrebbe essere prestata agli effetti degli inquinanti come il particolato fine ed ultrafine per cui oggi non vi sono misurazioni obbligatorie, creando così una limitazione importante nella sorveglianza dell’esposizione delle popolazioni. Un esempio è proprio Parigi, dove soltanto una stazione su 22 agisce attivamente sul monitoraggio del particolato fine e dove il particolato ultrafine non è neanche misurato. La pericolosità di queste sostanze, che penetrano profondamente nelle vie aeree, è anche causa di diversi problemi sanitari, per esempio al cervello e a livello cutaneo, che fino a qualche anno fa non erano sospettati, specialmente nei bambini, con diversi effetti dannosi. Proprio sui feti, inoltre, il particolato può dare effetti già nel corso della gravidanza, incidendo sulle condizioni di nascita e sviluppo del nascituro. Le disfunzioni organiche prodotte dall’esposizione a queste sostanze sono le più variegate e si cronicizzano con il tempo. Tuttavia, nonostante questi dati, merita rilevare una mancata risposta in termini di misure di salute pubblica, che muove dall’incapacità di coordinamento fra le varie istituzioni e dalla lungaggine dialettica di tavoli fra le parti, che reagiscono con lentezza disarmante rispetto all’evidenza scientifica. Detto ciò, rimane essenziale che la politica, anche in previsione dell’impatto dei vari cicli elettorali in Europa, riesca a mantenere una linea ferma in materia ambientale, ma nello stesso tempo sia in grado di far fronte a diseguaglianze sociali crescenti tramite incentivi e facilitazioni per coloro che, per necessità, utilizzano mezzi più inquinanti nelle attività quotidiane. Sono infatti costoro, spesso appartenenti a classi sociali più vulnerabili, a pagare il prezzo più alto di scelte politiche che tendono a fissare nel medio periodo importanti obiettivi in tema di sostenibilità e salubrità, ma lo fanno attraverso misure che impongono alti costi.