Sul caro bollette scontiamo il ritardo nella transizione ecologica: se si fosse accelerata l'installazione delle rinnovabili il peso del gas nel nostro mix elettrico sarebbe stato decisamente inferiore. Lo ha spiegato bene il vice presidente della Commissione europea, Frans Timmermans, dicendo che solo un quinto dell'attuale aumento dei prezzi dell’energia può essere attribuito alla crescita del prezzo della CO2 e soprattutto che se avessimo fatto il Green Deal cinque anni fa saremmo meno dipendenti dalle fonti fossili e dal gas e non saremmo in questa situazione.
Lo ha ribadito l’Agenzia internazionale dell’energia (AIE), con il direttore esecutivo Fatih Birol: una transizione energetica ben gestita ha affermato è una soluzione “ai problemi che stiamo vedendo nei mercati del gas e dell'elettricità oggi - non la causa di essi". L’AIE ha anche chiarito le motivazioni dell'aumento dei prezzi del gas che stanno mettendo in difficoltà diversi paesi europei: la ripresa della domanda – dopo mesi di stagnazione dovuti dallo scoppio della pandemia – e un’offerta più limitata del previsto, oltre ai diversi aspetti legati al clima. Tra cui una stagione di riscaldamento particolarmente fredda e lunga in Europa lo scorso inverno, e una disponibilità di energia eolica inferiore rispetto al solito nelle ultime settimane.
Il nostro Ministro della Transizione Ecologica, invece, in prima battuta ha fatto allarmismo usando la transizione ecologica come capro espiatorio, per poi correggersi successivamente dopo gli interventi di Timmermans e dello stesso Draghi.
Passando al cuore del problema, credo che gli iter autorizzativi per l’installazione di impianti di energia pulita, che in Italia possono durare cinque anni e oltre scoraggiando gli investimenti, non siano stati adeguatamente semplificati dal decreto che aveva questo scopo. Né il governo ha voluto ascoltare le proposte migliorative di Parlamento, associazioni e mondo delle rinnovabili. Lo stesso Presidente del Consiglio ha, però, dichiarato che dovremmo procedere a un ritmo di almeno 7 gigawatt di nuova potenza rinnovabile installata ogni anno sino al 2030, mentre nell'ultimo anno ne abbiamo fatto a malapena uno. Ecco perché servono regole più chiare e semplici.
La risposta al caro bollette, spero sia chiaro a tutti, non deve essere mettere all'indice la transizione ecologica, né contestare gli obiettivi climatici e le misure europee. Questo è il tempo di accelerare per un Paese sempre più rinnovabile ed efficiente. Perché è quello che serve per affrontare la crisi climatica e per l’economia. Proprio ora che la differenza tra costo dell’energia fossile e rinnovabile si è ulteriormente ampliata, infatti, gli investimenti sulle fonti pulite sono convenienti e avrebbero ritorni in tempi brevi. E se il governo non fosse disposto a questo rilancio, significherebbe che non crede davvero alla conversione ecologica. Se poi non volesse ridimensionare il ruolo del gas nel nostro Piano nazionale energia e clima e correggere analogamente il capacity market, sarebbe il secondo indizio. Il gas, infatti, non può essere considerato l'energia della transizione perché fa parte di un modello di sviluppo rivolto al passato. Al contrario bisogna guardare avanti e avere ben presente che il futuro del Paese è fatto di rinnovabili, innovazione ed efficienza.
Credo sia giusto che il governo sia voluto intervenire per scongiurare maxi rincari in bolletta per cittadini e imprese. Questo nel tentativo di evitare un doppio salasso per i cittadini tra bollette e possibili rincari anche dei prezzi di beni e servizi legati al maggiore costo dell’energia per le imprese. Ma trovo profondamente sbagliato l'intervento in modo generalizzato delineato da quasi tutte le misure del decreto varato dal Governo.
Parliamo non solo di un aumento del bonus sociale per le famiglie in difficoltà per circa 450 milioni di euro, ma soprattutto di circa 2 miliardi per sterilizzare gli oneri di sistema nel settore elettrico e di 480 milioni per ridurre quelli sulla bolletta del gas, misure che interessano circa 29 milioni di utenze domestiche e 6,7 milioni di imprese. Come se non bastasse con circa mezzo miliardo il decreto abbassa l’Iva sul gas, oggi al 10 e al 22%, al 5% per tutti.
Un intervento che vale ben oltre i 3 miliardi, di cui 700 milioni arriveranno dai proventi delle aste di CO2. Con un'evidente contraddizione tra politiche per il clima e stanziamenti pubblici che, di fatto, continuano ad andare alle attività responsabili di emissioni climalteranti. Da notare poi che sgravi e sussidi generalizzati sono molto costosi e iniqui visto che favoriscono maggiormente i ricchi, che consumano anche di più, rispetto ai meno abbienti. Inoltre qui, come accennato, stiamo dando ancora soldi pubblici al gas fossile. Esattamente il contrario di quello che l’Italia deve fare con urgenza e che anche i giovani tornati in piazza per il clima chiedono: programmare un graduale taglio degli oltre 19 miliardi che ogni anno diamo a fossili e altre attività ambientalmente dannose. A partire dalla prossima legge di Bilancio.
Altre soluzioni, più eque e più attente al clima sono possibili. Ad esempio in Spagna, dove il prezzo della luce è fuori controllo da settimane, il governo prevede di intervenire con tagli ai giganti dell’energia. Una strada che delinea una sorta di carbon tax per gli energivori percorribile anche in Italia e su cui l’Europa dovrebbe, però, proporre un intervento comune.
Se non bastasse tutto questo, a preoccuparmi c’è anche il fatto che nel recepimento della Direttiva RED II non vedo la spinta necessaria sulle fonti pulite. I target sono troppo bassi rispetto ai nuovi obiettivi climatici europei: stabilisce che entro il 2030, a livello europeo, le energie rinnovabili dovranno incidere per almeno il 32% sul consumo finale lordo di energia, ma l’Italia contribuirà con un più contenuto 30%. Per quanto sotto la media, centrare l’obiettivo non sarà facile considerando la fatica con cui procediamo a nuove installazioni.
Per sperare di avere la spinta necessaria, come proposto dal Coordinamento Free in audizione alle competente Commissioni parlamentari, occorre introdurre nuovi schemi per accorciare al massimo i tempi necessari per le autorizzazioni relative alle fonti rinnovabili; chiarire che i meccanismi competitivi di vendita tramite asta non sono incentivi ma acquisti di lungo termine di energia da parte del GSE a prezzi di mercato; consentire anche all’agrovoltaico, che integra agricoltura e produzione di energia pulita, l’accesso alle aste.
Inoltre, bisogna ridurre drasticamente i tempi per l'adozione della disciplina sulle Aree idonee alle rinnovabili e nelle more della loro individuazione dare indicazione alle Regioni di non bloccare il processo autorizzativo. Per le Comunità Energetiche è inoltre necessario allargare il perimetro dei soggetti ammessi ed estendere la partecipazione ad altre taglie e fonti, includendo impianti maggiori di un megawatt e micro-cogeneratori a biogas. Va poi considerato che pesa in negativo la parte sui trasporti. Il recepimento italiano promuove soprattutto i biocarburanti per auto e camion tra le rinnovabili, dimenticando l’elettrificazione, e non rispetta il voto del Parlamento sulla esclusione dal 2023 di olio palma, soia e derivati dalle rinnovabili. Se vogliamo farla davvero la transizione, iniziamo a correggere questi errori e ad avviare in manovra il taglio ai sussidi fossili.