Il PNRR destina 59,47 miliardi di euro alla missione M2 (Rivoluzione verde e transizione ecologica), di questi 15,06 sono destinati a “Tutela del territorio e della risorsa idrica”. Tolti quelli allocati in azioni mirate alla tutela della risorsa idrica e alla difesa del suolo, ne restano 4,38 assegnati al servizio idrico, peraltro da dividere ulteriormente tra servizio idrico integrato e irrigazione.

In particolare, 2 miliardi di euro sono destinati a “Investimenti in infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell’approvvigionamento”, leggasi dighe, invasi e sistemi di grande adduzione. Nel concreto, si parla di 75 progetti di manutenzione straordinaria, del potenziamento di opere esistenti, e del completamento delle tante opere incompiute disseminate soprattutto nel Mezzogiorno.

900 milioni di euro sono invece assegnati al capitolo dell’efficientamento della rete di distribuzione, finalizzato in particolare alla riduzione delle perdite, ma più in generale alla messa in opera di “reti intelligenti” – interconnesse, digitalizzate e strutturate per distretti – in grado di garantire una maggiore resilienza in caso di criticità e una minore vulnerabilità, sia a fronte dei cambiamenti climatici che delle minacce legate all’inquinamento, in particolare dovuto alle sostanze “di nuova generazione” recentemente divenute oggetto di attenzione per effetto della nuova Direttiva sulle acque potabili del 2020.

Altri 880 milioni di euro sono attribuiti invece ad analoghe misure da adottare nel sistema irriguo. Infine, 600 milioni sono destinati al completamento dell’infrastruttura fognaria e di depurazione, a ulteriore potenziamento delle misure adottate a partire dal 2016 con la finalità di azzerare le situazioni di non conformità alla normativa europea (che interessano ancor oggi una popolazione di 3,5 milioni di abitanti equivalenti).

Queste risorse vanno ad aggiungersi ai 590 milioni di euro stanziati in precedenza nell’ambito del “Piano nazionale di interventi nel settore idrico” previsto dalla Legge di Bilancio 2018 e si pongono in continuità con questo, anche nel senso di vedere il Piano come strumento attuativo di questa parte del PNRR, che quindi viene incrementato di quasi 7 volte.

Non saranno certo questi 4 miliardi di euro a risolvere per sempre le carenze strutturali del settore idrico italiano. Questo è quanto il settore investe annualmente, e va certo rimarcato il fatto che gli investimenti sono ripresi, dopo il lungo blackout dei decenni passati, ritornando a valori più consoni, peraltro ancora largamente insufficienti - solo rapportandoci per confronto alla media europea, si dovrebbe investire almeno il 50% in più.

ARERA nella memoria presentata al Parlamento nel settembre 2020 affermava l’esigenza di investire almeno 10 miliardi di euro, e solo per adeguare l’esistente alle criticità più urgenti in materia di raggiungimento degli obiettivi di qualità tecnica, miglioramento dell’efficienza dei sistemi di trasporto, adozione di misure dirette al risparmio idrico.

Ma non credo sia questo il punto principale. Il settore idrico deve temere sia l’insufficienza delle risorse da investire, sia l’alluvione di finanziamenti che rischiano di generare una frenetica “corsa alla spesa”: il che in genere porta a spendere male.

Mentre servono sì investimenti, ma serve ancora di più una cornice strategica nella quale collocarli. Troppo spesso in passato le esigenze macroeconomiche hanno portato a spendere per interventi di dubbia utilità, inseguendo la logica delle grandi opere, trascurando invece azioni meno appariscenti (e meno appetibili per i costruttori), ma più efficaci. Molti studi affermano che la prima “fonte di approvvigionamento” da potenziare (a costo zero, o perfino negativo) sono il risparmio idrico, l’efficientamento degli usi, il riuso.

La visione strategica non è del tutto assente nel PNRR. Bene, ad esempio, aver previsto un capitolo dedicato alle “reti intelligenti”, che tuttavia ricevono meno della metà rispetto alle grandi opere.

Così come insufficiente è l’attenzione dedicata al capitolo “acque reflue”, da sempre l’anello più debole del sistema del servizio idrico nazionale, pur considerando che nei 6 miliardi destinati agli interventi contro gli allagamenti e le inondazioni (investimento 2.2) potranno trovare posto anche interventi sul sistema di fognatura (es. realizzazione di fognature separate, adeguamento degli scolmatori di piena, sistemi di decantazione delle acque meteoriche).

È un bene che (almeno) la logica del Piano nazionale venga mantenuta, sotto l’occhio si spera sempre vigile da parte di ARERA, cui spetta l’ultima parola in merito alla verifica della desiderabilità degli interventi da un punto di vista sociale, oltre che la puntuale verifica della destinazione delle risorse. Tuttavia, se già ora la struttura di ARERA fatica a tenere sotto controllo i relativamente pochi progetti finanziari finora dal Piano, temiamo incontrerà difficoltà quando si tratterà di valutare e monitorare un volume di interventi 7 volte superiore

Ancora meglio sarebbe stato a mio avviso se invece di veicolare contributi a fondo perduto – destinati comunque ad entrare in tariffa per la quota di ammortamento – il Piano avesse operato con una logica simile a quella dei Fondi rotativi, ossia creando una struttura capace di erogare finanziamenti a condizioni vantaggiose (senza interesse, o con tempi di ritorno molto dilatati), ma non a fondo perduto. Gli effetti in tariffa sarebbero stati praticamente gli stessi, ma il grado di responsabilizzazione degli operatori sarebbe stato molto maggiore.

Sarebbe stato desiderabile a nostro avviso intervenire in modo più incisivo sul lato della domanda. La legge di bilancio 2020 ha istituito un fondo (di 20 milioni di euro) per finanziare gli interventi di efficientamento idrico domestico, come l’installazione di sistemi duali, captazione delle acque piovane, ristrutturazione degli impianti sanitari.

È la logica del “superbonus” che si estende dall’efficientamento energetico a quello idrico, un intervento che io stesso ho auspicato in un articolo su lavoce.info. Ma si potrebbe fare senz’altro di più e di meglio, anche coordinando le diverse misure in campo idrico ed energetico, estendendole per esempio alla realizzazione di “tetti intelligenti”, sistemi di gestione delle acque meteoriche alla scala urbana o di quartiere, alla ristrutturazione delle reti idriche condominiali, nelle quali, non si dimentichi, si concentra una fetta non trascurabile delle perdite, ma alle quali si devono anche problemi di tipo sanitario per la vetustà e i materiali con cui sono realizzate.

Un’ultima osservazione riguarda le cosiddette “Riforme” che nel piano accompagnano le misure di investimento nell’intento di facilitarne l’attuazione. Qui non si va molto oltre il “pensierino”, si ribadiscono criticità ovvie e stranote, ma senza l’annuncio di una vera strategia per risolverle. È ormai noto, ad esempio, che la criticità più importante del sistema idrico nazionale è rappresentata dal modello gestionale, ove ancora largamente incompleta, soprattutto al Sud, è l’adozione del modello previsto ormai 25 anni fa dalla “legge Galli”. È a questo che si deve, in buona parte, il “water divide” che vede il Sud ancora fanalino di coda, e le sue ataviche criticità strutturate ancora ben lungi dall’essere superate.

Il PNRR da questo punto di vista si aggiunge all’ormai interminabile litania di auspici a favorire l’evoluzione verso un modello industriale, senza peraltro illustrare in che modo intende farlo – salvo un richiamo a un non meglio precisato “intervento centrale”, che speriamo non sia la riedizione della Cassa per il Mezzogiorno o della Sogesid.

Accanto a questo, si parla di semplificazione normativa e rafforzamento della governance – misure da leggere anche trasversalmente nella riforma del Codice degli appalti, e chi opera nel settore idrico sa quanto quest’ultimo ha pesato in negativo sulla capacità effettiva di investimento del settore. Forse anche qui si poteva andare oltre le pur auspicabili misure di snellimento dell’iter burocratico di accesso al Piano nazionale, favorendo ad esempio il potenziamento delle strutture di regolazione locali, spesso carenti di mezzi e di organici adeguati a provvedere alle loro funzioni, ma anche una loro razionalizzazione.