Il prossimo 29 agosto saranno passati 4 anni dall'entrata in vigore della legge 124 del 2017, la prima e finora unica legge annuale sulla Concorrenza italiana. Una delle sue previsioni più dibattute è la fine dei prezzi tutelati dell’energia al dettaglio, prevista inizialmente per il 2019 e ora, dopo due proroghe, per il gennaio 2023. In questi anni, mentre l’obiettivo si allontanava, diversi elementi al contorno sono cambiati e vale la pena provare a fare il punto.
Il prezzo di tutela, si ricorda, è una forma di protezione che l’ordinamento riconosce a particolari categorie di clienti (domestici e piccoli business) considerati più vulnerabili perché dotati di un minor potere contrattuale e minor conoscenza del mercato. A questi viene garantito per legge l’acquisto di energia a prezzi ragionevoli e coerenti con l’andamento dei mercati all’ingrosso di riferimento, condizione assicurata nel gas da un’indicizzazione del prezzo al mercato olandese, benchmark dell’Europa continentale, e nell’elettricità attraverso l'acquisto centralizzato dell'energia destinata ai clienti finali da parte di un grossista pubblico, l’Acquirente Unico.
La normativa europea sull’energia identifica nella concorrenza nel mercato libero il modello “normale” di funzionamento del settore e, pur ammettendo la possibilità di prezzi regolamentati per motivi di interesse pubblico, precisa che ciò è accettabile solo per un periodo transitorio.
Dopo un dibattito durato quasi tre anni nei due rami del Parlamento, nell’estate 2017 il legislatore italiano aveva dunque deciso di saltare il fosso e fissare una data per la fine di questa forma di protezione, giudicata di ostacolo al pieno sviluppo del mercato.
Da allora però il termine è slittato più volte: inizialmente fissato a luglio 2019, è stato rinviato una volta a luglio 2020, poi di nuovo al 1° gennaio 2021 per le piccole imprese - obiettivo centrato quest’anno per 242.000 Pmi - e al 1° gennaio 2022 per circa 15 milioni di famiglie e microimprese, la cui uscita è stata invece posticipata ancora al 1 gennaio 2023.
Ad accompagnare le proroghe, accanto alla scarsa popolarità del tema agli occhi dell’elettorato, è stata sempre la constatazione di un generale ritardo sul set di precondizioni indicato dalle norme (commi 59-88 dell’art. 1) per dare seguito al passaggio.
Condizioni – primo aspetto da rilevare - che oggi sono invece assai più vicine all’essere complete, anche se con alcune vistose mancanze.
Prima di tutto le caratteristiche del mercato: nell’elettricità, ad agosto 2017, era sul mercato libero il 39,7% delle famiglie, a dicembre 2020 era il 56,2%. Se si parla di piccoli clienti non domestici si è passati dal 52,2% al 67,5%. Sempre ad agosto 2017, nel gas era sul libero mercato il 44% delle famiglie e il 55% a dicembre 2019 (ultimo dato disponibile sul sito di Arera), nei condomini il passaggio è stato dal 52% al 59%.
Nel frattempo sono stati realizzati una serie di adempimenti: il Portale per il confronto tra le offerte, operativo a partire dal secondo semestre 2018, le linee guida Arera sui gruppi di acquisto, (febbraio 2019), la disciplina del servizio “a tutele graduali”, che nell’elettricità sostituisce la maggior tutela per i clienti che non scelgono un fornitore, regolato da Arera nel 2020 per le piccole imprese, e il decreto Mise sulle modalità della transizione, varato a fine 2020 anche qui per lo più per le sole piccole imprese.
Due i tasselli chiave che invece ancora mancano: la disciplina dell’elenco dei venditori di energia elettrica autorizzati, da adottare con decreto Mise (oggi Mite) che ad oggi sconta un ritardo di 1.296 giorni rispetto al termine indicato nella norma, e la campagna informativa, che negli ultimi anni ha mosso qualche passo sul tema generale del mercato libero, ma senza ancora neppure toccare quello della fine dei prezzi tutelati.
In aggiunta, ancor oggi l’Arera rileva una rilevante arretratezza nella capacità dei clienti, soprattutto domestici, di orientarsi sul mercato, che unita al tasso ancora elevato di concentrazione dell’offerta – nell’elettricità, a dispetto di oltre 700 venditori nel 2020 il 66% dei clienti domestici era ancora in mano a tre operatori, una cifra non lontana dal 68% del 2017 – induce il regolatore a giudicare ancora non maturi i tempi per la fine tutela tra le famiglie. Una posizione fatta propria dal legislatore nelle sue decisioni di prorogare la scadenza.
Ora la prossima scadenza all’orizzonte è quella del 1° gennaio 2023, quando la fine dei prezzi tutelati riguarderà i domestici elettrici e gas e le microimprese consumatrici di elettricità.
Con alcuni interrogativi. Il primo riguarda la modalità che verrà scelta e che dovrà essere indicata da un nuovo decreto ministeriale come quello di fine 2020 per le piccole imprese. L’Antitrust e la stessa Arera, e con loro diversi operatori del settore, in particolare i “nuovi entranti”, hanno indicato il sistema migliore nell’assegnazione all’asta per area territoriale dei clienti che non si scelgono da soli il fornitore.
Nel contempo il sistema delle aste è soggetto ad alcune incognite: già la gara appena conclusa per sole 242.000 piccole imprese è al centro di almeno tre ricorsi, due di Enel che contesta il tetto al numero massimo di clienti assegnabili a un solo operatore – fortemente voluto dall’Antitrust per ragioni concorrenziali – e l’assenza di una disciplina sui costi non recuperabili da parte degli operatori della tutela che perderanno i clienti; un altro di un operatore indipendente che contesta i requisiti troppo stringenti per l’accesso alle procedure.
Fronti di contenzioso che minacciano di moltiplicarsi quando in gioco ci saranno 15 milioni di clienti. La stessa Arera di recente ha evidenziato in Parlamento la necessità di adattare lo schema ai grandi numeri che si presenteranno nel 2023, salvo che i ricorsi pendenti non compromettano ancora prima lo strumento.
Un altro aspetto da considerare potrebbe essere il perimetro di soggetti interessati.
Dall’approvazione della legge concorrenza 2017 a oggi è mutato il quadro normativo comunitario, con la direttiva 2019/944 sul mercato elettrico che ha sancito la possibilità di continuare a certe condizioni a fissare prezzi in via amministrata sia per clienti domestici che per le microimprese, indicando nel contempo nuovi criteri per l’individuazione dei clienti detti “vulnerabili” e quindi meritevoli di speciali tutele.
Nei prossimi mesi la direttiva dovrà essere recepita dall’Italia e potrebbero derivarne indicazioni in grado di influenzare anche il cammino di uscita dai prezzi tutelati.
In ogni caso in questi anni un elemento è emerso con grande chiarezza: il danno maggiore al settore, operatori e consumatori, lo ha arrecato, e lo sta tuttora arrecando l’incertezza dovuta all’indecisione delle scelte politiche. Che limitandosi a rinviare senza prendere una posizione chiara, hanno impedito a tutti gli attori prepararsi adeguatamente al futuro.