Nel corso della pandemia da Covid-19, qualcuno ha parlato di "emergenza dimenticata" con riferimento al cambiamento climatico. Eppure, mentre il mondo sottovalutava le conseguenze dei processi esponenziali ed imparava a fronteggiare un'emergenza globale, il processo di decarbonizzazione avanzava nonostante il calo della domanda energetica, gli obiettivi europei diventavano ancora più ambiziosi (55% di elettricità da rinnovabili entro il 2030) e gli Stati Uniti tornavano nell'Accordo di Parigi. Tuttavia, nonostante un’incoraggiante dinamica globale e le risorse del NextGeneration EU, le rinnovabili nel nostro Paese rischiano di restare al palo.
Secondo l'International Energy Agency, il 2020 ha visto solare ed eolico protagonisti nell'espansione della capacità di generazione elettrica su scala globale con, rispettivamente, 127 GW e 111 GW di nuove installazioni, anche oltre le aspettative formulate dall'IEA nel novembre 2020 (200 GW). Vivaci gli investimenti anche in Italia (254 operazioni nel 2020, 20% in più rispetto al 2019 secondo l'Irex Annual Report 2021), anche nello storage (+1,8 GWh). Per effetto della priorità di dispacciamento, il crollo della domanda elettrica nel nostro Paese durante i lockdown ha spinto la quota rinnovabili sulla domanda di elettricità al 33,4% nel 2020 e al 34,8% nel primo trimestre 2021, superando il picco raggiunto nel 2014 (34,3%), grazie anche a nuove installazioni avvenute nel 2019. Un recentissimo articolo (maggio 2021) a firma Colelli, Witkop, De Cian e Tavoni, pubblicato nella rivista Environmental Research Letters, considera lo shock pandemico come un esperimento naturale che ci ha mostrato come potrebbe funzionare un sistema elettrico caratterizzato da un'elevata penetrazione delle fonti rinnovabili (con punte dell'80% in Germania, 70% in Regno Unito e Spagna, 60% in Italia, 40% in Francia). La buona notizia è che il sistema ha retto e possiamo essere ulteriormente ottimisti se pensiamo che in futuro le tecnologie di accumulo e il grado di partecipazione degli utenti tramite comunità energetiche e UVAM dovrebbero garantire maggiore stabilità.
Pur con l'Italia parzialmente in zona rossa, nel marzo 2021 Terna ha registrato il ritorno della domanda elettrica a livelli pre-pandemici (26,6 TWh). Nel primo trimestre 2021, sono stati installati 181 MW di capacità, di cui 152 MW di fotovoltaico (Osservatorio Fer - Anie Rinnovabili). Gli annunci di piani di ripresa post-pandemica e le buone notizie sui vaccini hanno contribuito a ridurre l'incertezza che avrebbe potuto bloccare gli investimenti. Bisogna però notare che se omettiamo l'anomalo 2020 e confrontiamo il primo trimestre 2021 con quello del 2019, la produzione di eolico e fotovoltaico è calata di 1 TWh (Terna, marzo 2021). Peraltro, il dato del primo trimestre 2021 è di appena 2,5 TWh più alto di quello del primo trimestre 2014 (+30%).
Secondo la Global Electricity Review 2021 di Ember, il nostro Paese pur avendo decarbonizzato in maniera sostanziale dal 2015, riducendo di un terzo la produzione di carbone, lo ha fatto ricorrendo prevalentemente al gas fossile come fonte sostitutiva. Alla luce di questi dati, risultano ancora più preoccupanti le proiezioni formulate dall'Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano, secondo cui in uno scenario basato sulle politiche correnti, il nostro Paese riuscirà ad installare 43,2 GW di nuova capacità di generazione da fonti rinnovabili entro il 2030, a fronte di un fabbisogno di 95 GW per rispettare il nuovo target sulle emissioni. Le aste del capacity market potranno dare un modesto contributo: circa 6,4 GW di capacità installata aggiuntiva dalle aste per gli anni di consegna 2022-2023 secondo REF-E (marzo 2021).
Siamo di fronte ad una missione molto difficile. Il PNRR italiano al vaglio della Commissione Europea assegna al sostegno delle energie rinnovabili 5,9 miliardi di euro, pari al 3% del Piano. Risorse limitate, ma forse non è questo il vero problema. L'efficacia di ogni Euro di spesa è fortemente condizionata dalle motivazioni che hanno condotto al finanziamento del piano. La ripresa post-pandemica è stata assunta come pretesto per accelerare la decarbonizzazione e la digitalizzazione delle nostre economie. Ne avremmo avuto bisogno anche in un mondo parallelo non colpito dal Covid, ma forse avremmo percepito quelle risorse diversamente. Oggi il PNRR rappresenta soprattutto un tentativo di tenere in piedi economie stremate dal virus. Il vero obiettivo al 2030 non è quantitativo, ma paradigmatico: dovremmo chiederci quali sono i nuovi ruoli delle compagnie di generazione, degli utenti, dell'istruzione pubblica nel nuovo paradigma tecnologico che ci attende. Quali risorse finanziarie e quali competenze dovranno avere gli utenti per partecipare in modo efficace alle comunità energetiche, alle UVAM, al paradigma della generazione distribuita? Come dovranno essere aggiornati i programmi di studio e di ricerca nelle scuole e nelle università per rispondere alla domanda di nuove professionalità nel settore energetico? Quale ruolo dovrà svolgere il settore, magari anche attraverso nuove imprese, nella ricerca applicata? Quale ripartizione di poteri e responsabilità tra Stato e Regioni e quali meccanismi di coordinamento saranno più funzionali?
Il dibattito invece ruota intorno alla richiesta (esaudita dal Governo) di (ulteriori) semplificazioni e alla neutralità tecnologica del superbonus 110%. Forse è comprensibile: dopo un anno di restrizioni ai movimenti e agli orari di esercizio, qualunque procedura amministrativa risulta eccessivamente onerosa; e tutti i cantieri chiedono di ripartire, anche quelli con la peggiore impronta climatica. Ma se la VIA viene interpretata come un vincolo e non come un requisito di qualità dei progetti (come scrive Stefano Lenzi), non è una distorsione cognitiva indotta dal Covid. Chi ha creduto di vedere un trade-off tra salute ed economia, vedrà un trade-off anche tra clima ed economia e forse lo ha sempre visto.
"Qui devi correre più che puoi per restare nello stesso posto. Se vuoi andare da qualche parte devi correre almeno il doppio", diceva la Regina Rossa in "Attraverso lo specchio" di Lewis Carroll. Non possono correre le rinnovabili se non corre il Paese. La pandemia ha sottolineato l'esistenza di priorità: prima la salute, poi l'economia. Ma una volta superata l'emergenza sanitaria, ritroveremo un Paese che non cresce, non fa figli e non li fa studiare perché non vede il proprio futuro, esattamente come prima della pandemia. Forse le vere risorse per realizzare il nuovo paradigma energetico si trovano nel restante 97% del PNRR, a patto che vengano impiegate per dare ai cittadini la stabilità necessaria ad investire nella decarbonizzazione (meno precarietà lavorativa, servizi pubblici di qualità). I piccoli utenti hanno bisogno di stabilità come e più dei grandi utenti aziendali che, non a caso, ricorrono a PPA di lunga durata (recente il caso Erg-TIM). Servono anche funzionari pubblici dotati di elevata competenza nella valutazione dei progetti, che sappiano correre "bene", cioè senza sacrificare la qualità ambientale. Bisognerebbe poi abbassare i costi della contrattazione politica, per agevolare misure che sembrano a basso costo, ma non lo sono, per es. un migliore coordinamento tra Regioni. Altrimenti, potremo soltanto chiederci quali sussidi e quanto consumo di suolo potranno mai permetterci di realizzare 50 GW di impianti eolici e fotovoltaici in meno di 10 anni, oppure sperare in esogene riduzioni del costo livellato.