Quello delle Unità Virtuali Abilitate Miste (UVAM) è un progetto pilota, nato dalla Delibera ARERA 300/2017, nel quale si sperimenta la partecipazione di “risorse distribuite” (unità di consumo, generatori, sistemi di accumulo) al Mercato dei Servizi di Dispacciamento (MSD) per il sistema elettrico. Queste unità possono operare a livello di un singolo punto di connessione o sotto la forma di un aggregato, purché tutto localizzato entro un determinato perimetro geografico, grossomodo corrispondente ad una Regione italiana.

Si tratta di un modello di fondamentale importanza nell’evoluzione del sistema: la crescente necessità di riserva e di bilanciamento, dovuta alla penetrazione delle fonti rinnovabili intermittenti, e il parallelo decremento dei grandi impianti di generazione da combustibili fossili, stanno rendendo la flessibilità della generazione un bene scarso, ed è essenziale mobilitare nuove risorse che possano competere su MSD, contribuendo ad assicurare i servizi richiesti a prezzi ragionevoli.

A quattro anni esatti dalla pubblicazione della delibera 300/2017, e a fronte di successivi aggiustamenti al regolamento UVAM, la più recente avvenuta con la delibera 70/2021 di inizio anno, può essere il caso di svolgere qualche considerazione sugli esiti del progetto finora osservabili.

Un’ovvia considerazione, di segno assolutamente positivo, è la risposta degli operatori di mercato al meccanismo di “approvvigionamento a termine di risorse di dispacciamento”, in altre parole alle aste avviate da TERNA per una remunerazione “in capacità” delle UVAM. La potenza abilitata ha raggiunto, in tempi piuttosto rapidi, gli obiettivi previsti, assestandosi attorno ai 1.300 MW (una frazione niente affatto trascurabile del fabbisogno italiano tipico di riserva, che è di qualche migliaio di MW) a cura di una ventina di operatori. La remunerazione in capacità ha indubbiamente svolto un ruolo di rilievo nel rendere disponibile questo rilevante ammontare di risorse di flessibilità.

Diverso è lo scenario se si considera la quantità di attivazioni, ossia di effettive modulazioni di potenza in immissione e in prelievo svolte dal “parco UVAM”, in risposta agli ordini di dispacciamento impartiti da TERNA. Si tratta di eventi rari, che trovano almeno in parte una spiegazione nei prezzi generalmente offerti dagli operatori, molto spesso prossimi al limite massimo ammesso (cosiddetto prezzo strike, del valore, a salire, di 400 €/MWh), da confrontare con i prezzi medi delle offerte accettate, generalmente compresi in una fascia fra 80 e 150 €/MWh. Non è questa l’unica spiegazione, dato che l’attivazione delle risorse obbedisce a logiche più complesse di quella puramente legate al prezzo offerto: resta però, a parere di chi scrive, un fatto spiacevole che l’attivazione delle UVAM avvenga così scarsamente, rispetto a quanto accade per le risorse tradizionali (grandi impianti idro- e termoelettrici). Ciò rende la sperimentazione in atto, da un lato, meno completa, in quanto si hanno dati statisticamente insufficienti a giudicare affidabilità, tempestività e accuratezza della risposta delle UVAM agli ordini di dispacciamento; dall’altro, rende il comportamento osservato meno rappresentativo di quello che dovrebbe essere il funzionamento delle risorse distribuite di flessibilità nel sistema elettrico futuro, in cui sicuramente non basterà poter contare su di esse come riserva di seconda istanza, raramente attivata, ma servirà un contributo attivo e dinamico alla risoluzione delle contingenze locali e generali del sistema elettrico.

Un passo nella giusta direzione è rappresentato dal nuovo Regolamento, approvato di recente con la Delibera 70/2021, con l’introduzione di una sessione di aste serali con un cap del prezzo ridotto a 200 /MWh. Nei prossimi mesi sarà possibile osservare se, e in quale misura, la situazione si sarà evoluta.

Restano tuttavia alcune considerazioni di fondo che tendono a spiegare la minore competitività delle risorse distribuite nella partecipazione a MSD, partendo dalla ben nota osservazione secondo cui gran parte delle UVAM sono costituite da unità di consumo integrate da generatori programmabili, alimentati prevalentemente da combustibili fossili, in cui sono proprio i generatori (unità di riserva, cogeneratori) a rappresentare la fonte principale di flessibilità. Il costo variabile di produzione, a partire dal prezzo del combustibile e dalla relativamente bassa efficienza elettrica dei piccoli-medi generatori a combustione interna, non può certo competere con quello delle grandi unità a ciclo combinato o idroelettriche.

L’efficace partecipazione delle UVAM al mercato richiede un ulteriore sforzo tecnico e qualche provvedimento legale/regolatorio, al fine di attivare anche altri tipi di risorse, che possono avere costi variabili di modulazione molto bassi.

-          Il piccolo idroelettrico dotato di un minimo di capacità di stoccaggio di acqua: già oggi presente in alcune UVAM, ha sicuramente un ulteriore potenziale sfruttabile, se si considera che la potenza degli impianti di taglia inferiore a 10 MW supera i 3.000 MW (solo una parte modesta ha però capacità di stoccaggio).

-          Impianti a bioenergie (biogas, biomasse legnose ecc.): senza rilevanti investimenti, e con modestissime variazioni dei costi di produzione, potrebbero operare in modo flessibile, ma sono in gran parte bloccati da un vincolo sulla potenza massima istantanea, presente nei decreti di incentivazione, e che potrebbe essere superato con estrema semplicità. Si noti che la potenza installata per le taglie sotto i 10 MW è circa 2000 MW.

-          I piccoli sistemi di accumulo, in grandissima parte batterie di taglia unitaria di pochi kW, sottoutilizzate nel servizio di autoconsumo in relazione a piccoli impianti fotovoltaici su edificio. Si tratta di una risorsa di flessibilità ideale per il sistema elettrico, per l’elevato rendimento di carica/scarica, e già oggi ammontano a quasi 200 MW in regolare crescita. Sono però soggette a barriere tecnico/regolatorie, in parte superate nell’evoluzione normativa seguita alla Delibera 300/2017 (trattamento dei punti di connessione sotto i 55 kW, problema risolto dalla Delibera 153/2020; esenzione dagli oneri per l’energia prelevata e reimmessa in rete, come da Delibera 109/2021). Resta un serio problema di interoperabilità, per quanto riguarda la necessità di misura e comando capillare dei flussi di energia nelle batterie, a causa della mancanza di una norma tecnica vincolante sui requisiti minimi di comunicazione. Ciò rende complessa e spesso impraticabile sul piano economico l’attivazione di migliaia di piccoli utenti dotati di batterie.

-          Resta infine il grande potenziale associato ad una effettiva gestione attiva e dinamica dei carichi, a livello domestico, commerciale, industriale. In molti casi (riscaldamento/condizionamento; lavorazioni di tipo batch ecc.) l’uso di queste risorse potrebbe avvenire con costi varabili bassi, a volte trascurabili, e con accettabili ripercussioni sul confort abitativo o sui costi di produzione industriale. Si tratta probabilmente di sensibilizzare gli utenti finali a queste opportunità, ma anche qui, soprattutto per i piccoli utenti, esiste sicuramente lo stesso problema di interoperabilità citato per il caso delle batterie, da superare con una normativa tecnica che potrebbe fin da subito risolvere ambedue le situazioni.

Un aspetto trasversale che potrebbe essere superato, migliorando in generale l’efficacia delle risorse distribuite per i servizi ancillari, riguarda il trattamento degli sbilanciamenti, che oggi genera una triangolazione (operatore di sistema – aggregatore – utente del dispacciamento) che risulta complessa e poco leggibile per gli utenti finali.