La più appropriata chiave di lettura del PNRR si trova nella parte del documento dedicata all’attuazione e al monitoraggio del Piano: «La Cabina di Regìa, istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha il compito di verificare l’avanzamento del Piano e i progressi compiuti nella sua attuazione; di monitorare l’efficacia delle iniziative di potenziamento della capacità amministrativa; di assicurare la cooperazione con il partenariato economico, sociale e territoriale; di interloquire con le amministrazioni responsabili in caso di riscontrate criticità; di proporre l’attivazione dei poteri sostitutivi, nonché le modifiche normative necessarie per la più efficace implementazione delle misure del Piano». Ma subito dopo si precisa che struttura, composizione e modalità di funzionamento saranno definite da un provvedimento legislativo.
Siamo quindi ancora in attesa dello strumento di cui sarebbe stato essenziale disporre quando iniziò la stesura del Piano, perché avrebbe facilitato l’individuazione di obiettivi tra loro coerenti e, ove possibile, sinergici. Da più parti avanzata non appena si è incominciato a discutere di PNRR e sostenuta dall’allora premier Conte, la proposta di una cabina di regìa a Palazzo Chigi fu invece bocciata da miopi gelosie politiche, su cui preferisco stendere un velo pietoso: la parola “governance” divenne un tabù, l’equivalente del sesso nella società vittoriana.
Inoltre, a fine 2018 sarebbe stato essenziale effettuare un’analoga scelta per il PNIEC prima della sua stesura, e assumere anche un’altra decisione presa finalmente dal governo Draghi: l’istituzione del Ministero della transizione ecologica (MiTE). In tal caso, avremmo oggi un ministero già collaudato e non costretto a realizzare la non facile integrazione tra due strutture prima separate, in contemporanea con il decollo del PNRR e con l’aggiornamento del PNIEC (la cui governance è tuttora – sic! - affidata a «una struttura tecnico-politica di stimolo all’attuazione del Piano energia e clima che …coinvolga attivamente i Ministeri dello Sviluppo Economico, dell’Ambiente, delle Infrastrutture e le Regioni e Province autonome; … saranno coinvolti nell’azione anche altri Ministeri che …hanno compiti direttamente funzionali all’attuazione delle misure: tra essi, i Ministeri dell’Economia, dei Beni Culturali, delle Politiche Agricole, dell’Istruzione e del Lavoro»).
Per effetto di questi ritardi decisionali, il testo del Piano inviato a Bruxelles è indubbiamente più adeguato di quello trasmesso alle Camere il 12 gennaio, ma in meno di tre mesi neanche Draghi e i responsabili che ha scelto per la sua revisione potevano fare miracoli. Continua, infatti, a mancare una visione d’insieme, in grado di garantire la coerenza tra i singoli obiettivi, indispensabile per gestire al meglio i finanziamenti europei.
Fin qui le politiche di decarbonizzazione dell’UE hanno portato le rinnovabili a coprire grosso modo il 40% dei consumi elettrici, il 20% di quelli termici, il 10% nei trasporti. Il nuovo obiettivo europeo di abbattimento della CO2 entro il 2030 è così sfidante da essere irrealizzabile se si conserva l’attuale divario tra il contributo delle FER alla domanda nei settori elettrico, termico e trasporti, con quest’ultimo apporto destinato pertanto a crescere più rapidamente degli altri.
Purtroppo, l’assenza di una cabina di regìa ha portato a suddividere gli obiettivi e gli investimenti nella mobilità sostenibile tra due Missioni: lo sviluppo di un trasporto locale più sostenibile è all’interno della Missione 2 - “Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile” - dove dominus è il MiTE, mentre la Missione 3 -“Infrastrutture per una mobilità sostenibile” - è interamene dedicata a investimenti sulla rete ferroviaria, sull’intermodalità e sulla logistica integrata, il cui referente è il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili (MIMS).
Il rischio che ne possano discendere incongruenze, foriere di mancate sinergie o addirittura di sprechi, è ad esempio evidente confrontando l’obiettivo della Missione 2 - riconvertire all’utilizzo della trazione a idrogeno le linee ferroviarie non elettrificate in Lombardia, Puglia, Sicilia, Abruzzo, Calabria, Umbria e Basilicata - con quello per il trasporto regionale ferroviario della Missione 3, chiaramente focalizzato sull’opzione elettrica.
Inoltre, l’obiettivo dichiarato del PNRR è allineare la mobilità del nostro paese agli standard di nazioni con cui siamo soliti confrontarci, Germania e Francia, dove nel 2018 il numero di auto circolanti per mille abitanti era rispettivamente 574 e 482, contro 663 in Italia, e nel 2019 ogni 1.000 abitanti esistevano rispettivamente 47 e 41 km di ferrovie, contro 28 km in Italia. Da qui la ripetuta sottolineatura, in alcuni progetti generica, in altri confortata da cifre, del ridotto utilizzo del trasporto privato, reso possibile dalle misure previste.
Di conseguenza, prendendo come riferimento il PNIEC tedesco, già finalizzato al 55% di riduzione delle emissioni climalteranti, nel 2030 l’attuazione delle misure indicate dal PNRR e dal PNIEC rivisto al rialzo dovrebbe ridurre gli attuali 39,5 milioni di auto in circolazione in Italia a 35 - 36, di cui circa 7 tra full electric e ibride plug-in.
In un Piano che deve essere improntato alla coesione territoriale e all’inclusione sociale, le criticità e le dimensioni della conseguente riconversione industriale nell’automotive e nella raffinazione rendono quindi inspiegabile l’assenza di specifiche misure di supporto.
Data la sua rilevanza in termini occupazionali e di contributo al PIL, ho scelto l’esempio più eclatante di mancata coerenza nelle policy proposte, che nel caso del trasporto ferroviario regionale mettono in evidenza uno dei possibili sprechi di finanziamenti nello sviluppo dell’idrogeno verde.