Il concetto di responsabilità ha sempre ispirato e guidato gli Amici della Terra fin dai primi anni della nostra attività a metà degli anni ‘70. Assumersi la responsabilità nella gestione dei rifiuti significa essere consapevoli che questi ultimi li produciamo noi e che dobbiamo essere noi a occuparcene nella comunità a noi più prossima, sia per motivi etici che per motivi ambientali: non è un bene per l’ambiente naturale che materiali potenzialmente dannosi siano trasportati in giro per il mondo e gestiti, trasformati o smaltiti a chilometri di distanza da dove sono stati prodotti.
Sembrano concetti semplici e condivisibili e invece non è così. Nel campo dei rifiuti urbani e speciali negli ultimi trent’anni, in più della metà del Paese, hanno vinto la disinformazione, la strumentalizzazione, la demagogia e l'immobilismo, favorendo pratiche dannose e scorrette come l'uso abnorme di discariche anziché soluzioni appropriate ed integrate. Questo grazie anche all’irresponsabile populismo di molti ambientalisti, che cercano il proprio successo nella denuncia dell’inquinamento e non nelle soluzioni da perseguire con coraggio per risanare il nostro ambiente e per migliorare la società.
Nel lontano 1988 ci fu un evento che, proprio su questo argomento, portò ad una frattura tra gli Amici della Terra e il resto del mondo ambientalista; frattura che non si è più saldata. Nell'estate di quell'anno, fu sequestrata nel porto di Koko la nave italiana Karen B che portava rifiuti tossici italiani in Nigeria. Gli Amici della Terra italiani, in accordo con l’omonima associazione internazionale di allora, denunciarono alla stampa di tutto il mondo la pratica di esportazione dei “veleni” che, all’epoca, non era illegale. L'Associazione utilizzò questo scandalo per chiedere al Governo la bonifica dei territori nigeriani, il rientro immediato delle navi col loro carico di veleni e un decreto per il divieto di esportazione dei rifiuti tossici.
Ebbene, il partito dei Verdi e gran parte delle associazioni ambientaliste si schierarono contro il rientro delle navi in Italia e, con l’aiuto dei sindacati dei portuali, bloccarono i porti italiani. Gli slogan e i cortei erano demagogicamente “contro i rifiuti”, mobilitando i cittadini contro le attività di smaltimento senza preoccuparsi di indicare le attività responsabili della produzione di quegli stessi rifiuti. La tesi era che le aziende italiane non fossero in grado di trattare i rifiuti tossici e che dovessimo spedirli nel Nord Europa, perché lì sì che erano bravi a gestirli.
Il tema dominò le cronache e il dibattito politico molto a lungo. L'allora ministro dell’Ambiente, Giorgio Ruffolo fu all'altezza dell'emergenza, varò un decreto legge con la prima regolamentazione della gestione dei rifiuti pericolosi, si confrontò nel merito in Parlamento e consultò le parti sociali, comprese le associazioni ambientaliste, a cui chiese di assumere un atteggiamento di maggiore responsabilità verso “obiettivi praticabili” di politiche ambientali. Il suo appello, però, fu raccolto solo dagli Amici della Terra che, fin d’allora, collaborarono attivamente anche predisponendo insieme all’Enea le linee guida per il primo piano nazionale per un corretto smaltimento dei rifiuti.
Questo modo concreto e razionale di intendere la politica ha potuto esplicarsi, negli anni a seguire, solo nella parte più strutturata del paese, le regioni del Nord, e nemmeno tutte. Per il resto, anche grazie a un’idea distorta dell’ambientalismo, hanno prevalso i tabù – dei rifiuti, dei trattamenti, dell’incenerimento - tant'è che ancora oggi molte regioni continuano a mandare all'estero o verso le regioni del Nord, non solo i rifiuti tossici, ma anche i rifiuti urbani. O a riempire irresponsabilmente discariche grandi e piccole.
Proprio come nel 1988, molte regioni e molte città – come Roma - non vogliono assumersi la responsabilità dei propri rifiuti e aggravano l'emergenza nel nostro paese. Ma a differenza da allora, la politica nazionale non si occupa del problema, anzi, nemmeno se ne accorge.
Trentadue anni fa, un ministro riformista che affrontava le emergenze e avviava le soluzioni affermava che l'ambientalismo doveva essere una “forza progettuale” e doveva confrontarsi a tutto campo con la politica, e con i poteri che agiscono nella società e nello Stato. Oggi, abbiamo un ministro che comunica solo attraverso i social media, con brevi videopillole e affermazioni ideologiche. Non si confronta né con le imprese né con la società, non entra nel merito della gestione delle tecnologie di riciclo e di recupero, ignora i dati dei flussi di rifiuti e di materiali, fa confusione fra il ruolo delle modalità di raccolta - come la raccolta differenziata - e quello degli impianti per la gestione e per lo smaltimento. Impianti che sarebbero indispensabili, che non ci sono, e che il ministro pensa che non servano.
Nel corso di questi 30 anni di adeguamenti legislativi, si è trovato il modo di allentare due vincoli europei: il principio della prossimità dello smaltimento e il conferimento solo residuale in discarica. Con un trattamento sommario, si cambia nome e codice identificativo ai rifiuti urbani per poter continuare a metterli nelle discariche e a spedirli altrove. Quanto ancora questo “giochetto” potrà durare non lo sappiamo. I dati ci dicono che tutte le discariche residue si stanno esaurendo velocemente e che il numero dei capannoni zeppi di rifiuti che vanno a fuoco sono in aumento esponenziale. Questo dovrebbe portare il governo centrale a prendere delle decisioni per spingere le Regioni a dotarsi di sistemi integrati, facendo uso delle tecnologie disponibili, efficienti e sperimentate anche sotto il profilo ambientale. Ma la politica continua ad evitare il confronto e a nascondere il problema. Insomma, tabù e pregiudizi falsamente ambientalisti continuano ancora a farla da padroni.
Per noi, ora, la battaglia culturale contro questi pregiudizi è la vera priorità. Intendiamo fornire ai cittadini informazioni corrette e strumenti conoscitivi per combattere il malgoverno e reagire alla demagogia. Lì dove esistono disponibilità all’ascolto, vogliamo contribuire a piani e programmi, individuare strumenti adeguati e proporre priorità e soluzioni.
Lo facciamo con il giornale L'Astrolabio che, dal 2012, fornisce informazioni e analisi su tematiche ambientali, mantiene un alto standard tecnico e scientifico e non risparmia polemiche politiche.
Per ciò che riguarda la gestione e la valorizzazione delle risorse, dal 2018 abbiamo iniziato il progetto Zero Sprechi, per contribuire alla promozione dell'economia circolare nel nostro Paese e, quindi, per affrontare il problema dei rifiuti in questa ottica. L'economia circolare unisce gli aspetti di sviluppo economico a quelli di tutela ambientale minimizzando il prelievo di risorse dall’ambiente e riducendo il più possibile l’immissione di rifiuti con l’obiettivo finale di chiudere il ciclo produttivo, generando valore e mitigando i rischi per l’ambiente. Zero Sprechi offre spunti concreti, a partire da realtà particolarmente innovative e creative già operanti nel Paese.
Dal 2019, abbiamo deciso di utilizzare i materiali e le buone pratiche di Zero Sprechi per intensificare la divulgazione nelle scuole per preparare i ragazzi a sviluppare capacità di analisi e valutazione autonoma e per indurli a pretendere trasparenza e disponibilità dei dati. Solo così possiamo guardare al futuro in maniera positiva.