L’hanno chiamata Blu mais, l’operazione coordinata dalla DDA di Firenze contro un traffico illecito di rifiuti speciali provenienti dal distretto conciario di Santa Croce sull’Arno. Veleni spacciati per fertilizzati e riversati nei campi agricoli, direttamente, lontano da occhi indiscreti. Facendo il verso all’economia circolare e con il solo scopo di trasformare un costo in un ricavo senza rispettare le regole del gioco. Rifiuti pericolosissimi per la salute umana e in genere per l’ecosistema, contenenti cromo esavalente e alte concentrazioni di idrocarburi destinati a diventare “nutrienti” per mais, grano e girasole, tra le province di Firenze e Pisa. Dopo i primi appostamenti, i carabinieri hanno subito fiutato la truffa, lo strano via vai di camion e carte firmate, raccogliendo prove schiaccianti a carico dei tre amministratori di un noto consorzio produttore di concimi e di un agricoltore connivente, tutti accusati di traffico organizzato di rifiuti ex art. 452 quaterdecies del codice penale. Il più odioso tra i delitti ambientali.
Per usare le stesse parole degli inquirenti, come da copione il sistema architettato dagli indagati assumeva la forma di un “illecito recupero di ingenti quantità di rifiuti speciali, sia conferiti da una pluralità di imprese conciarie che derivanti dalla lavorazione di sottoprodotti animali che, sulla base di fittizi certificati di analisi, venivano qualificati come prodotti ammendanti compostati misti che pertanto figuravano essere idonei alla concimazione”. L’altra metà della storia era riservata alla vendita della monnezza spacciata (addirittura) per fertilizzante “a imprese agricole compiacenti che, per contro, ricevevano un compenso stabilito sulla base della quantità di prodotto acquistato”. Un mercato al contrario, dove chi compra riceve compenso e la collettività paga per tutti. Utilizzando documenti di trasporto aggiustati e certificati analitici fittizi, “si provvedeva poi al trasporto e all’illecito smaltimento dei rifiuti spandendoli su terreni agricoli degli agricoltori”. Appunto. Insieme alle misure cautelari, il gip del Tribunale fiorentino ha disposto anche il sequestro preventivo di oltre 3 milioni di euro, tanto sarebbe il profitto illecito ricavato dal giochetto. Lo stesso giochetto applicato in mille varianti e con ignobile perizia dai clan della camorra, in particolare nella loro variante casertana.
Quella appena accennata è solo una delle tante storie scritte con il medesimo copione e dove è previsto lo stesso epilogo. Cambiano i nomi e le generalità degli indagati, cambiano i territori e i campi presi di mira ma identico rimane lo schema, identici i danni ambientali e sanitari. Sotto la morsa del Covid-19 si era ottenuta una breve tregua, solo apparente, visto che con la fine del lockdown gli inquirenti si sono rimessi a caccia di trafficanti di rifiuti e hanno messo a segno un colpo dietro l’altro. Dalla Calabria alla Sicilia, dalla Puglia alla Campania e ancora Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Veneto, Abruzzo, Lombardia e così via, si sono moltiplicate le storie di traffici illeciti di rifiuti lungo tutto lo stivale. L’Italia, vista da questa parte, appare un vitalissimo brulicare di traffici e trafficanti di veleni, che sguazzano soprattutto dove inefficienze, sciatteria e mancanza di responsabilità imperversano.
Mafie e corruzioni hanno tentacoli lunghi e robusti ma è la mancanza di pianificazione e di buoni modelli di gestione, insieme alla cronica carenza di impianti, a spianare il campo a trafficanti ed ecomafiosi. Anche l’emergenza sanitaria ha contribuito a premere sull’acceleratore, tanto da spingere nella loro rete diversi operatori in difficoltà, esausti e sotto l’assillo di dover smaltire in tempi rapidi i troppi rifiuti accumulati e senza mercati di sbocco, come ci raccontano gli investigatori, che stanno approfondendo e a breve promettono nuove evidenze giudiziarie. Per apparente paradosso, migliori raccolte differenziate, sia di rifiuti urbani che di speciali, in assenza di adeguate infrastrutture impiantistiche alimentano i flussi di rifiuti da dover gestire, quindi da collocare negli impianti. In agguato ci sono troppi imprenditori border-line, se non criminali tout court, che promettono servizi di raccolta e gestione a costi bassi e zero trasparenza. Non a caso è il mercato nero del riciclo il vero piatto forte dei network più strutturati, che, come spiega bene l’inchiesta sopra accennata, dell’economia circolare si prendono solo ciò che gli conviene, ossia il valore degli scarti, evitando scrupolosamente di sostenere quei costi che rendono la valorizzazione pienamente compatibile con le esigenze ambientali e sanitarie.
Quello dei traffici illeciti di rifiuti, purtroppo, è un meccanismo vecchio quanto l’Italia, ingrassato dalle industrie e dal consumismo, che Legambiente racconta sin dagli anni Novanta del secolo scorso. Grazie agli annuali Rapporti Ecomafia e alle infinite denunce sulla drammatica forza dei trafficanti si è riusciti, solo nel 2001, a introdurre nel nostro ordinamento uno specifico delitto ambientale – il primo delitto ambientale a fare comparsa nel nostro ordinamento penale – quello di traffico organizzato di rifiuti.
In attesa di elaborare i dati per il nuovo rapporto Ecomafia di Legambiente (a causa dello stravolgimento da Covid 19 sarà pubblicato nel mese di dicembre di quest’anno), fino al 31 maggio dell’anno scorso erano state ben 459 le inchieste condotte e chiuse dalle forze dell’ordine sulla base di questo delitto, come oggi disciplinato dall’art. 452 quaterdecies del codice penale. Complessivamente, sono state 90 le procure che si sono messe sulle tracce dei trafficanti, portando alla denuncia di 9.027 persone e all’arresto di 2.023, coinvolgendo 1.195 aziende e ben 46 stati esteri. Le tonnellate di rifiuti sequestrati sono state quasi 59 milioni.
Solo considerando l’ultimo anno e mezzo, cioè l’intero 2018 e i primi 5 mesi del 2019, le inchieste concluse sono state 47, con 310 denunce e 155 arresti, coinvolgendo 66 aziende. Nello stesso periodo, considerando solo le 31 inchieste dove è disponibile il dato sui quantitativi sequestrati, le forze dell’ordine hanno fermato 1,2 milioni di tonnellate di rifiuti. Se volessimo dare un’immagine del numero di Tir che sarebbero ipoteticamente necessari per movimentarli, ne servirebbero ben 48.513, che messi in fila indiana farebbero una strada ininterrotta che da Roma arriva fino a Torino, lunga più o meno 660 chilometri.
Secondo i dati del ministero della Giustizia, nel 2018 questo delitto è stato contestato in 80 casi, portando alla denuncia di 311 persone e all’arresto di 10, sequestrando beni per un valore di oltre 219 milioni di euro.
Rispetto alle tipologie di rifiuti sequestrati dalle forze di polizia in quanto oggetto di traffico illecito dal 2002 ai primi cinque mesi del 2019 (cioè da quando abbiamo iniziato questo tipo censimento), la parte più consistente, circa il 40% è rappresentato dai fanghi di depurazioni, quasi il 37% da rifiuti speciali contenenti materiali ferrosi e metallici, l’8,5% rifiuti speciali generici, quasi il 6% da inerti e così via. Anche da questi dati emerge chiaramente che l’illegalità si manifesta prevalentemente nelle filiere dove i costi di gestione sono più alti, così come l’eventuale valore per il loro recupero. Ancora una volta i fanghi di depurazione (che in sé sono in fatto positivo perché dimostrano una capacità di depurazione che è necessaria per il trattamento sostenibile e regolare dei reflui, sia civili che industriali) si dimostrano particolarmente vulnerabili alle pratiche illegali, alimentando circuiti informali destinati soprattutto a spandimenti illegali nei terreni (agricoli e non) e nelle mescole dei materiali usati nei cantieri stradali. Fanghi che si confermano, dunque, essere uno dei punti più critici nella gestione dei rifiuti, sia urbani che speciali.
Tipologia di rifiuti sequestrati (ton/categorie) 2002/2019 – su 259 inchieste su 459 (Tot 53.482.023 tonnellate)
Fonte: Legambiente