30 giugno 2015 per il gas e per le sole imprese del settore elettrico, e 30 giugno 2016 per i domestici. Erano queste le prime date inserite nel disegno di legge 2085, il cosiddetto “Ddl concorrenza”, diventato legge solo nell’agosto 2017, curato dal Governo Renzi, col Ministro Guidi prima e con Calenda poi. Queste date sono cambiate tre volte prima dell’approvazione definitiva della Legge e anche la sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale non ha impedito il posticipo cronico dei governi successivi. In particolare, l’ultima proroga, che vedrà la luce in questi giorni, addirittura sposta tutto in avanti di due anni: gennaio 2022.

Le ragioni ufficiali dei rinvii – di ogni colore – sono state sempre le stesse: si auspica l’avvio di un percorso che accompagni il consumatore a cogliere consapevolmente le opportunità del mercato libero. Peccato che questo percorso nessuno si è mai realmente impegnato ad attivarlo. Anzi, non si perde mai l’occasione di annotare i problemi del settore, quando invece il mestiere di chi governa dovrebbe essere quello di risolverli, o almeno di provarci. Un esempio su tutti: si continua a denunciare un’attività aggressiva dei call center e in due anni non è stato possibile licenziare un Albo Venditori che tutto il settore elettrico e le associazioni dei consumatori chiedono da anni. In sostanza la politica, come alibi dei continui rinvii, denuncia problemi che lei stessa dovrebbe risolvere. Ci si trova così come Bill Murray nel celebre film “Ricomincio da Capo”, in cui ogni giorno è il Giorno della Marmotta e nessuno sembra accorgersene.  

Tutto fa pensare, purtroppo, che l’immobilismo non derivi dall’indecisione, ma, anzi, da una decisione ben precisa: questa liberalizzazione “non s’ha da fare” o, perlomeno, nessuno vuole prendersene la responsabilità, neppure un governo nel quale sono presenti le due forze politiche che hanno portato avanti la Legge Concorrenza (PD e IV). È, invece, molto più semplice cavalcare l’onda della “protezione del consumatore”, nonostante anche l’ultimo Monitoraggio Retail pubblicato da ARERA documenti come ci siano tutte le possibilità di risparmio nel mercato libero. In questo modo, le ex municipalizzate consolidano le loro posizioni, forti del legame con la società di distribuzione e del suo marchio (le norme di unbundling si sono purtroppo rivelate inefficaci).

Poco importa se i consumatori che si è ben pensato di “proteggere” alla fine si trovino in un monopolio, se possibile ancor più burocratizzato, incomprensibile e costoso di prima, proprio a causa del fatto che la loro scelta è stata, invece, inconsapevole. Basti ricordare le ultime sanzioni Antitrust a due importanti operatori esercenti la maggior tutela, per aver “travasato” i propri clienti verso la società del mercato libero.

È esattamente questa, infatti, la direzione: un mercato libero dove i primi tre operatori detengono una quota del 70% dei domestici (e il primo operatore è al 50%). Se a questo 70% si sommano le quote di tutte le altre ex municipalizzate, agli operatori privati che in questi anni hanno innovato e investito nel settore non resta neppure il 20%. Si potrebbe obiettare che il mercato libero si ingrandisce di anno in anno (per la verità solo del 4% l’anno, che porterebbe a un’apertura definitiva nel 2033), ma se andiamo a vedere i valori, la stessa ARERA ha dovuto evidenziare che, fatto 100 il passaggio dalla Maggior Tutela al Mercato Libero, ben il 60% si dirige verso la società di vendita del distributore già presente.

Oltre a impedire che i consumatori possano sperimentare un innalzamento delle qualità e un miglioramento delle condizioni di prezzo che solo un regime concorrenziale può portare, i nuovi operatori, i cosiddetti newcomer, ne pagano le conseguenze sulla propria pelle, avendo investito in questi anni fior di quattrini per adeguare i propri sistemi ad una crescita imponente di clienti da gestire. Investimenti che rischiano di rivelarsi inutili. È una politica, quindi, che penalizza chi rischia, e favorisce chi non ha bisogno di farlo. E si tenga conto che “chi rischia” ha dato vita a un comparto industriale privato che oggi vale quasi 100 miliardi di euro e dà lavoro a oltre 250.000 persone.

Insomma, se si vuole davvero liberalizzare, valorizzando un potenziale che già oggi porta investimenti e innovazione e consegnare ai consumatori un mercato maturo che porti tutti i vantaggi che in altri settori si sono già sperimentati, occorrono delle decisioni. Innanzitutto informare, ma comunicando, non inserendo informative in bolletta, ma dicendo forte e chiaro che il mercato libero dell’energia non è una giungla, ma un settore regolato all’interno del quale c’è un’Autorità che sa tutelare il cliente imponendo condizioni precise ai venditori e sanzionandoli notevolmente quando non le rispettano. Dicendo che è l’unica strada che può davvero aprire le porte a innovazioni dirompenti e inimmaginabili prima.

Per comunicare in modo efficace però, bisogna crederci. Se, come sembra, la liberalizzazione non è più in programma lo si dica chiaramente; sarà così più chiaro per le aziende come (e se) investire. Se invece si vuole davvero superare il regime di maggior tutela, si pubblichi entro gennaio 2020 l’Albo dei Venditori (la bozza è pronta ormai da tempo) con requisiti sufficientemente stringenti da poter dare sicurezza ai consumatori: uno su tutti potrebbe essere avere un contratto di dispacciamento con i distributori (e rispettarlo), ovvero essere grossisti. Occorre poi definire cosa accadrà ai consumatori che alla scadenza (qualsiasi essa sarà) non avranno scelto un fornitore del mercato libero. Da questo punto di vista, è opportuno riprendere in mano l’unica proposta concreta fatta finora e firmata peraltro da un soggetto che dovrebbe avere piena autorevolezza in merito, ovvero l’ARERA. Il Documento di Consultazione 397/2019 è una buona base di partenza.

Infine, se si vuole porre fine a una certa aggressività commerciale occorrono misure urgenti: dalla costruzione di un Albo dedicato appositamente alle agenzie di vendita fino al divieto di vendere energia e gas tramite call center. Senza alcun intervento di questo tipo è ridicolo continuare a denunciare il fenomeno. In questo ambito, peraltro, si potrebbe partire dalle iniziative virtuose già promosse da diversi operatori. Per fare un esempio, Illumia è stato il primo a pubblicare sul proprio sito i numeri di telefono dei call center autorizzati, che poi vengono monitorati sia grazie alle segnalazioni dei clienti che utilizzano il form online, sia attraverso un processo di acquisizione delle agenzie che è stato certificato da diverse associazioni dei consumatori.