In improvvida coincidenza con la serie Chernobyl, che ripercorre la tragedia del 1986, riscuotendo i più alti indici di ascolto di sempre, l’Agenzia di Parigi ha riaperto il dossier nucleare con la domanda: “Can we achieve a clean energy transition without nuclear power?”. Del tutto pleonastica essendovi già nel titolo – Nuclear Power in a Clean Energy System – la risposta: no.

Forse delusa dalla mancata realizzazione di quella “rinascita nucleare” che aveva profetizzato un decennio fa, l’AIE se ne era da allora disinteressata, spostando il baricentro dei suoi messaggi verso le altre tecnologie low-carbon, in primis nuove rinnovabili (solare ed eolico). Alimentando, in tal modo, il pensiero unico dominante che ritiene che esse possano costituire il principale se non unico strumento per combattere i cambiamenti climatici, col gas naturale a far da traballante ponte.

Non tenendo così conto dei fatti. In particolare, che la generazione elettrica d’origine fossile ha continuato da un ventennio in qua ad aumentare a livello mondiale, mentre le rinnovabili hanno contribuito solo per un terzo all’incremento della domanda elettrica.

Generazione elettrica globale per fonte: confronto 2000 vs 2018 (%)

Fonte: IEA (2019), Global Energy & CO2 Status Report

Dalle stesse statistiche dell’AIE emergono quattro tendenze dal 2000 al 2018 nella generazione elettrica:

(a) la quota delle fossili è rimasta predominante e sostanzialmente costante (dal 65% al 64%);

(b) le nuove rinnovabili (solare ed eolico) sono salite di 7 punti (da zero al 7%);

(c) il nucleare è diminuito di una medesima quota (dal 17% al 10%);

(d) le emissioni di CO2 del sistema elettrico, di cui sono il primo responsabile, sono aumentate.

Le nuove rinnovabili, in sostanza, non hanno minimamente scalfito le fossili ma hanno semmai ‘cannibalizzato’ la tecnologia nucleare che presenta nel suo intero ‘ciclo di vita’ le minori emissioni di gas serra (si veda studio WNA).

Una tecnologia, scrive l’AIE, che ha sottratto all’atmosfera in mezzo secolo emissioni per 60 miliardi tonnellate (circa due anni agli attuali ritmi emissivi). A fronte del deludente procedere delle cose nel dopo-Parigi, l’AIE sembra ora correggere il tiro con l’intento, sostiene, di riportare al centro del dibattito l’opzione nucleare.

Troppo tardi? Si, temo che l’AIE stia tentando di chiudere la stalla coi buoi scappati. Dopo aver infatti alimentato l’illusione sulla possibilità di far perno solo sulle rinnovabili – imprescindibili ancorché non risolutive – per raggiungere gli obiettivi di Parigi è ora difficile far credere che “senza il nucleare vi è il rischio di un enorme (huge) aumento delle emissioni di CO2”.

In altri termini che senza il nucleare Parigi fallirà, adombrando il rischio che le decisioni adottate dai paesi avanzati di uscirne (in primis Germania), ridurne la quota (Francia), non investirvi (Italia) causeranno da qui al 2040 – in assenza di una radicale revisione delle attuali politiche – una messa fuori esercizio dei 2/3 dell’attuale potenza nucleare che contribuisce per il 18% della loro generazione elettrica.

Ben altra strada vanno percorrendo i paesi non-Ocse. Delle 51 centrali attualmente in costruzione per una potenza lorda di 55.000 MWe – previste entrare in funzione per la maggior parte entro il 2022 – solo 6 sono localizzate nei paesi avanzati, 13 in Cina, 5 in Russia, 4 negli Emirati Arabi e le altre per lo più nei paesi asiatici. Altre 100 reattori sono per 120.000 MWe di potenza stanno per essere ordinati o sono pianificati. Che non se ne parli è indicativo della parzialità dell’informazione.

Aver alimentato l’illusoria speranza del tout renouvable – senza mai rimarcarne i limiti fisici, economici, energetici – porta oggi i più a sostenere che le nuove rinnovabili potranno, solo volendolo, rimpiazzare con un infinito numero di pannelli fotovoltaici o turbine eoliche i 135.000 MWe di potenza nucleare a rischio chiusura, le molte altre migliaia di MWe a carbone destinati a una simile fine, per non parlare della nuova potenza necessaria ad alimentare la mobilità elettrica.

Una prospettiva assolutamente impossibile anche in considerazione del deludente andamento degli investimenti. In una recente intervista Faith Birol Executive Director dell’Agenzia di Parigi ha lamentato che gli investimenti nelle rinnovabili sono calati nel 2018 per il secondo anno successivo contro un forte aumento di quelli nelle fonti fossili.

Dei 1.850 miliardi di dollari complessivamente investiti nell’energia, i 2/3 sono stati destinati agli idrocarburi e solo 1/3 a rinnovabili, nucleare, efficienza energetica. “Compared to 2015 – ha concluso Birol – when the Paris agreement was signed, the appetite to low carbon investments and policies is slowly fading”, mentre per rimpiazzare il solo nucleare destinato alla chiusura bisognerebbe investire nei prossimi venti anni 340 miliardi dollari. Impossibile.

L’invito dell’AIE a riaprire un dibattito sul futuro del nucleare nei paesi occidentali (più Giappone) che ancora mantengono una presenza in questa tecnologia è un fatto positivo, anche se vedo scarse possibilità che essi modifichino le loro politiche.

L’Agenzia svolge un ottimo lavoro di elaborazioni statistica e divulgazione scientifica, ma il suo ruolo – al di là di quello originario di gestione delle scorte di petrolio in situazioni di crisi – non si limita a questo: perché un ruolo anche politico nel condizionare il corso delle scelte dei governi, della finanza, dell’industria. Cerchi allora di essere meno diplomatica e sostenga a chiare lettere, anche se forse a babbo morto, che il nucleare è solo una parte della soluzione alla lotta ai cambiamenti climatici, ma senza il nucleare essa non avrà soluzione.