Gli obiettivi delineati nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), una volta approvati a livello comunitario, saranno vincolanti e difficilmente modificabili. Le scelte di oggi indirizzeranno quelle che gli operatori compiranno nei prossimi anni e, di conseguenza, gli investimenti che lo stesso PNIEC stima in oltre 180 miliardi di euro cumulati nel periodo 2017-2030, aggiuntivi rispetto allo scenario a politiche correnti.
Per far sì che tali investimenti si attivino, è essenziale un quadro normativo chiaro e certo e quindi una totale consapevolezza degli impegni che si intendono adottare e delle loro eventuali ricadute negative sulla competitività e sulle possibilità di sviluppo del Paese.
Ciò riguarda anche e soprattutto il downstream petrolifero nazionale, impegnato in uno sfidante percorso di evoluzione delle proprie strutture produttive e distributive, volto a garantire approvvigionamenti adeguati in termini di sicurezza, continuità ed economicità, con prodotti caratterizzati da sempre più alti standard ambientali.
Secondo lo scenario delineato nel PNIEC, al 2030 i prodotti petroliferi, pur nel previsto contesto di contrazione dei consumi, saranno infatti chiamati a coprire ancora il 31% della domanda totale di energia e circa l’80% di quella specifica del settore dei trasporti di merci e persone, per quanto in uno scenario di progressiva contrazione delle fonti convenzionali, sia per la crescita delle rinnovabili che per i miglioramenti attesi dell’efficienza energetica.
Evoluzione domanda trasporti e ruolo combustibili liquidi
Fonte: Elaborazioni UP
Le previsioni del PNIEC di riduzione delle emissioni di gas serra nei settori ETS del 56% rispetto al 2005 (ben superiori al target europeo del 43%) sono perciò motivo di preoccupazione per le raffinerie italiane che negli ultimi 20 anni, grazie ad ingenti investimenti in ricerca e sviluppo, hanno ridotto le emissioni inquinanti dell’80% in fase di produzione dei carburanti e, in sinergia con il settore automotive, del 90% nella fase di utilizzo.
Vale inoltre ricordare che l’Europa contribuisce alle emissioni complessive mondiali di CO2 per circa il 12% e si prevede che al 2030 questa percentuale scenderà al 9%. Gli sfidanti obiettivi comunitari rimangono tuttavia isolati, in quanto la quasi totalità dei Paesi extra-UE non prevede meccanismi di riduzione delle emissioni di CO2 con un livello di rigidità analogo a quello adottato in Europa.
È quindi essenziale che il processo di decarbonizzazione europeo sia accompagnato dai necessari strumenti di difesa per i settori industriali particolarmente esposti alla concorrenza internazionale ed al rischio di delocalizzazione, onde evitare di pregiudicare gli sforzi di riduzione delle emissioni climalteranti in Europa, trasferendo semplicemente tali emissioni in un Paese extra-UE.
Il PNIEC prevede di conseguire tale taglio grazie alle dinamiche economiche ed energetiche tendenziali (riduzioni dei consumi energetici), alle misure da mettere in campo nella produzione di energia elettrica (phase-out dal carbone entro il 2025 e ulteriore forte accelerazione delle rinnovabili fotovoltaiche) e, non da ultimo, al progressivo incremento del prezzo della CO2, proiettato oltre i 40 $/ton. nel 2040.
Si tratta di obiettivi che vanno oltre il percorso già tracciato di decarbonizzazione al 2050, anticipando per l’Italia oneri non richiesti e non giustificati. Andrebbero quindi effettuati rigorosi approfondimenti, soprattutto in relazione al posizionamento competitivo cui tali misure relegherebbero l’Italia nei confronti del resto d’Europa e dei Paesi extra europei.
Uno scenario, quello descritto, sicuramente preoccupante per le raffinerie, che contribuiscono al processo di decarbonizzazione dell’economia nazionale quale settore ETS e che sono già soggette alla concorrenza internazionale asimmetrica di competitor operanti in Paesi privi di qualunque restrizione sulle emissioni, non solo di CO2. Peraltro, il comparto, secondo gli ultimi dati ISTAT, già sostiene, tra tutti quelli del settore manifatturiero, la spesa più elevata per investimenti ambientali, rappresentando il 18,4% del totale Italia.
Un settore che ha sempre avuto piena coscienza della centralità del proprio ruolo per il raggiungimento degli obiettivi ambientali, sia di lungo termine, ovvero relativi al contenimento delle emissioni climalteranti oggetto degli Accordi di Parigi, sia di breve termine, ovvero riferiti al miglioramento in tempi rapidi dell’inquinamento dell'aria in ambito urbano. Nello svolgere tale ruolo si ritiene assolutamente necessario individuare misure che coniughino la sostenibilità ambientale con quella economica e sociale, richiamate peraltro nello stesso PNIEC. Ciò presuppone un approccio basato su una puntuale analisi delle singole misure per valutarne la fattibilità, la coerenza, la sostenibilità complessiva ovvero la capacità di garantire il raggiungimento dei cinque macro-obiettivi indicati dal PNIEC nel modo più efficiente possibile, salvaguardando il principio della neutralità tecnologica.
In altre parole, è fondamentale traguardare gli obiettivi ambientali minimizzando il loro impatto sulla competitività del nostro Paese, sia sul piano comunitario che internazionale - lo stesso PNIEC correttamente enuncia che gli obiettivi ambientali ed energetici vanno conseguiti contestualmente ad una riduzione del costo dell'energia che nel nostro Paese è tra i più alti, anche a livello europeo - garantendo al contempo la loro sostenibilità sociale, ossia la ripartizione dei costi associati al raggiungimento di tali obiettivi; ripartizione che deve essere equa per essere socialmente accettabile.
In questa ottica, da qui al 2030 il settore ha già programmato investimenti per oltre 11 miliardi di euro che serviranno ad adeguare le strutture produttive e distributive e rendere disponibili biocarburanti, GNL, i nuovi combustibili per le navi (bunker) e fuel per gli aerei e accogliere tutta la gamma di carburanti e energie alternative che via via si svilupperanno (biometano, gnl, elettrico). Ma il 2030 è solo uno step intermedio, e neanche il più impegnativo, verso la decarbonizzazione al 2050.
Per affrontare il post 2030, nel prossimo decennio verrà infatti avviata una profonda trasformazione del settore, ridisegnando sensibilmente l’attività delle raffinerie per la produzione di carburanti. Prodotti che continueranno ad essere liquidi, data la loro densità energetica che non ha uguali, consentendo così di utilizzare al meglio le attuali infrastrutture logistiche e distributive nonché le tecnologie dei motori a combustione interna, sulle quali la filiera nazionale automotive rappresenta un’eccellenza a livello globale.
Le raffinerie, nel loro nuovo assetto, impiegheranno nuove materie prime, quali rifiuti e CO2 stoccata appositamente, e ottimizzeranno l'uso di elettricità rinnovabile on-site per arrivare a carburanti sintetici praticamente carbon-free. La flessibilità e la resilienza degli impianti consentiranno di trattare una varietà di materie prime e di fornire un’ampia gamma di prodotti. Parallelamente, sono in corso diversi progetti di ricerca sui sistemi di cattura della CO2 a bordo dei veicoli, con l’obiettivo di arrivare al 2050 ad un taglio di oltre l’80% delle emissioni di CO2. Un processo che l’industria petrolifera ha già avviato ma che, richiedendo ingenti capitali, presuppone una strategia europea che non escluda alcuna tecnologia, ma anzi promuova, sulla base della neutralità tecnologica, la ricerca e lo sviluppo.
Emissioni GHG nel ciclo di vita dei trasporti su strada in Europa
Fonte: Concawe