La sicurezza energetica è anzitutto ridondanza. Più infrastruttura, più stoccaggio, e magari più fornitori. Ridondanza (al netto del fattore fornitori, su cui poi si torna) è sinonimo di maggior costo; insomma l’equivalente economico di tenere sovrabbondante il magazzino. La sicurezza costa; ed il tema è chi la paga.

Posta così in realtà è fuorviante; perché di regola a pagarla è sempre il consumatore via bolletta. La domanda corretta è chi ci investe. Se lo fa il privato a rischio (TAP) che sia benvenuto. Però non sempre il “mercato” è disposto a rischiare; e se al “pubblico” sembra che la ridondanza non basti si ha da intervenire (di regola, etichettando di “strategico” l’investimento e garantendo così via nostra bolletta ritorno e/o finanziamento all’investimento privato).

La ridondanza è l’equivalente di un’assicurazione. La decisione “politica” ha oggetto il “quantum” di sicurezza che vuoi assicurare con strumenti diversi dall’investimento privato a capitale di rischio. Puoi decidere di assicurarti contro la chiusura delle forniture russe; e/o contro una settimana sottozero a giugno. Sapendo però che assicurarti contro rischi estremi costa troppo; e che il totem della sicurezza alla fine (anche se oggi pare ironico il dirlo) è giusto una questione di costi e benefici.

Misuriamo la ridondanza che ci è oggi disponibile. Nel 2018 abbiamo importato quasi 68 miliardi di mc. Arrotondando, Russia (Tarvisio) 29,6; Algeria (Mazara) 17; Nord Europa (Gries) 7,7; Libia (Gela) 4,4; GNL (Cavarzere, Panigaglia, Livorno) 16,8. A fronte del volume importato, le nostre infrastrutture hanno una capacità continua di importazione di 127 miliardi di mc/anno; che con il TAP a pieno regime (2026) diventeranno 137.  Il Piano decennale di Snam Rete Gas ci predice una sostanziale stabilità del volume delle nostre importazioni da qui al 2035 (con un’oscillazione che al massimo supera da un anno all’altro il 7,5%). A primissima vista sembreremmo più che ridondanti e l’andare oltre equivalente ad assicurarci contro la nevicata di giugno a Palermo; insomma verrebbe da dire che per infrastrutture di importazione abbiamo più che raggiunto un ragionevole quantum di sicurezza.

Oltre che ridondanza la sicurezza è anche però flessibilità. Sull’anno ho capacità ridondante; ma se a fine febbraio mi va sottozero per una settimana c’è il rischio non si sia in grado di soddisfare la domanda di picco e ci tocchi andare a fare legna. Qui anzitutto il tema è di stoccaggio. E anche qui, ad occhio (2018), avere come magazzino 17,6 miliardi di mc di capacità (di cui 4,6 di riserva strategica) a fronte di 72,6 di consumi se non è ridondante sembrerebbe andarci vicino.

Poi dietro i numeri “statici” c’è un tema di pressione di punta e di integrazioni delle reti; ma (fermo restando il tappeto rosso a chiunque via nuovi stoccaggi voglia aumentare la ridondanza a proprio rischio di capitale) stiamo parlando più di ottimizzazione di quel che esiste (incluso il superamento dei colli di bottiglia presenti sulla rete) che non di nuova infrastruttura pesante.

Zoom adesso sulla “Proposta di piano nazionale integrato per l’energia e il clima” (PNIEC).  A pagina 66 ci dice che l’infrastruttura esistente, al lordo del TAP, potrebbe e dovrebbe bastare (ma a pag. 28, come può succedere in un documento a più mani e più colori, trapela una qualche simpatia per aggiungerci l’East Med, e dunque un pipeline che ci colleghi alle nuove scoperte gas dell’Est Mediterraneo). Siamo insomma soddisfatti del nostro livello di ridondanza. Poi però il PNIEC in tema di sicurezza indica e sviluppa due obiettivi. Aumentare la flessibilità del sistema; e diversificare gli approvvigionamenti da Paesi terzi. “…il futuro riserva al sistema nazionale del gas naturale un ruolo minore in termini di utilizzo complessivo, ma richiederà una maggiore affidabilità e flessibilità per quanto riguarda le prestazioni assolute” (p. 146). Il ruolo minore non è incoerente con lo scenario di Snam Rete Gas; ed il consolidare la capacità di picco con priorità sull’aumento della portata sembra dar legittimità alla nostra introduzione.

Sulla diversificazione però una qualche nota critica. Il PNIEC la giustifica essenzialmente col fatto che ci riforniamo da Paesi “con elevati profili di rischio geopolitico” (p. 65). Al netto della Libia, il rifornimento è però rimasto stabile e affidabile nel tempo. Forse il rischio vero, più che geopolitico, è economico/geologico. L’Algeria che punta al gas per lo sviluppo interno, e dunque ne potrebbe avanzare meno da esportare; la Norvegia che a questi prezzi difficilmente sarà campo di forti investimenti di esplorazione e sviluppo, e dunque potrebbe nel medio termine trovarsi a fronteggiare un problema di rimpiazzo di riserve; la Libia che transeat; e sul fronte interno Groeningen in agonia.  Già nel medio termine la Russia se ne esce come il nostro unico fornitore geoeconomicamente affidabile; ed il problema non sembra tanto di aggiungere fornitori per sicurezza nostra, ma di sostituire forniture che paiono destinate ad inesorabile declino.

Diversificare; aggiungere. Il tema diventa come. IL PNIEC punta sul GNL. “…l’Italia sta attivamente perseguendo una strategia di diversificazione e di aumento delle forniture di GNL” (p.147). Non sono sicuro di capire cosa voglia dire. Da un lato sembra difficile pensare che a puntare con priorità per aggiunte e diversificazioni sul GNL possa bastare “l’infrastruttura esistente”. Un paio di rigassificatori in più rigorosamente “strategici” (e dunque a gravare sulla nostra bolletta) mi sa che li devi mettere in conto. E d’altro lato non mi vedo benissimo il pubblico nel ruolo di price maker; e non mi consta che le politiche nazionali determinino i volumi che importiamo, e neanche la loro provenienza. Il GNL che arriva in Europa è totalmente privo di vincolo di destinazione (e tra l’altro, in piccola parte, è pure russo). Lui va dove lo porta il prezzo. Se c’è crisi in Asia arriva qui; e se riparte l’Asia torna là. L’unica “politica” che gli fa cambiare destinazione è che tu lo paghi di più.

Se (e così sembrerebbe) il PNIEC vuole nuove provenienze, e le vuole stabili, temo che le resti solo il tubo; e posto che un nuovo tubo presuppone nuove riserve l’unica novità possibile nel medio periodo è il Mediterraneo Orientale. Sul se ci serva o meno, si apra serenamente il dibattito.

Fuor di flessibilità, ci sono in definitiva non più di tre domande a cui il PNIEC avrebbe dovuto dare risposta.

La prima è una parola chiara sul se chiunque aggiunga a proprio rischio ridondanza (dal tubo al rigassificatore allo stoccaggio) sia o meno benvenuto; ed abbia perciò o meno una qualche chance di superare la fase autorizzativa.

La seconda è se la sicurezza richieda una fonte di approvvigionamento sostitutiva (e non giusto aggiuntiva) di quelle esistenti.

La terza è se il bisogno di ridondanza ulteriore non sia così acuto da richiedere intervento pubblico; o non suggerisca invece di agevolarne con strumenti pubblici il finanziamento.

Questo PNIEC non risponde. Confidiamo nel prossimo.