Quando accendiamo la luce, stiamo indirettamente comprando dollari. È un’affermazione surreale, ma solo in apparenza. Esplorandone il fondamento, intravediamo gli scenari che potrebbero aprirsi per il mercato elettrico al termine del percorso di de-dollarizzazione recentemente dichiarato dall’Unione europea.

Sebbene il prezzo unico nazionale dell’energia elettrica (PUN) sia denominato in euro, le centrali elettriche italiane bruciano combustibili fossili quotati in dollari sui mercati internazionali a pronti e a termine. In particolare, il gas naturale è tra le principali determinanti del prezzo nel nostro mercato del giorno prima (MGP). Oltre ad incidere sull’ordine di merito degli impianti a gas nel MGP, il tasso di cambio euro/dollaro ne condiziona le decisioni di investimento perché entra nel calcolo del costo livellato dell’energia (LCOE). Peraltro, le politiche di de-carbonizzazione, assolutamente necessarie, espongono il settore elettrico europeo ad una maggiore dipendenza da fonti valutate in dollari (il gas naturale) a discapito di fonti locali, come il carbone.

Imporre l’euro nelle forniture di combustibili abbatterebbe i costi delle transazioni sul mercato dei cambi; in presenza di un sufficiente grado di concorrenza nella borsa elettrica, i minori costi per i produttori di energia si tradurrebbero in una riduzione del PUN. Il prezzo dell’elettricità all’ingrosso ne guadagnerebbe in trasparenza, riflettendo più fedelmente il costo della risorsa, depurato dalle fluttuazioni talvolta speculative dei cambi. È inoltre possibile che il PUN diventi meno variabile: de-dollarizzare permette di contenere il prezzo dell’energia elettrica anche se l’euro si indebolisce nei confronti del dollaro, mentre preclude i vantaggi di un dollaro debole.

Sugli investimenti gli effetti sarebbero ambigui, ma de-dollarizzare eliminerebbe uno dei fattori frenanti, come il rischio di cambio, che opera attraverso i mercati creditizi. Ad esempio, se i nuovi investimenti venissero finanziati emettendo obbligazioni in valuta estera, come in alcune economie emergenti, il tasso d’interesse dovrebbe remunerare anche il rischio di cambio. Gli effetti di natura creditizia dei tassi di cambio possono essere sottili ma importanti, come avviene quando gli utenti effettuano pagamenti con carte di credito collegate a circuiti statunitensi. Un circuito di pagamento alternativo, sulla falsariga di quello cinese Union Pay, potrebbe alleviarne i costi.

A ben vedere, discutere di de-dollarizzazione senza considerare il ruolo della Cina nel campo delle rinnovabili può essere fuorviante. In un Paese come il nostro, che importa tecnologie per la generazione di energia dal sole e dal vento, una debolezza dell’euro nei confronti del Renminbi si traduce in un più elevato LCOE per le rinnovabili, allontanandole dalla parità di rete (evidenza empirica su questo effetto è riportata in alcuni studi su altri Paesi). Non a caso, l’Unione europea ha recentemente rimosso i dazi sulle importazioni di pannelli fotovoltaici dalla Cina, permettendo di ridurre il costo di ciascun progetto d’investimento; ma bisognerà valutare l’elasticità delle importazioni per capire quanto cambierà la nostra dipendenza tecnologica dal gigante asiatico. L’influenza dei cambi sul costo livellato delle rinnovabili pone al regolatore un problema di delicata soluzione. A fronte di uno stabile aumento del LCOE, se i sussidi pubblici non vengono adeguatamente rivisti verso l’alto, le rinnovabili rallentano la propria crescita. Se invece il regolatore incrementa i sussidi in maniera eccessiva, gli investimenti ripartono ma ne soffre l’utente finale, pagando una bolletta più cara. È peraltro difficile immaginare che la Cina, promotrice della de-dollarizzazione, concederebbe ai partner commerciali dell’Unione europea l’uso dell’euro nelle transazioni riguardanti le tecnologie rinnovabili.

In conclusione, la de-dollarizzazione sembra un passo importante verso un’energia elettrica meno cara, meno volatile e più trasparente, ma la dinamica del mercato su un orizzonte temporale più lungo, quello tipico degli investimenti, dovrà fare i conti con le ambizioni del colosso cinese.