Le riforme hanno raramente una vita facile ma quella dei prezzi finali dell’energia può forse concorrere per il primato degli iter più tormentati. Proposta nel 2015 nel ddl Concorrenza, divenuto legge due anni e mezzo dopo un faticoso percorso, è stata negli anni oggetto di molteplici rinvii, minacce di cancellazione poi smentite e poi nuovamente riproposte. Con la conseguenza che, quattro anni dopo, il settore della vendita retail di elettricità e gas ondeggia ancora in una situazione di incertezza sul suo futuro.

Come si spiegava ai tempi dell'approvazione della legge (v. link), attualmente ancora una quota rilevante di piccoli consumatori e in particolare delle famiglie italiane acquista l’elettricità e il gas naturale a prezzi detti di “tutela”, ossia interamente fissati dall’Autorità di regolazione. Nel 2017 erano ancora un 61% dei clienti domestici elettrici e il 56% di quelli gas: ancora una maggioranza insomma, ancorché in calo rispetto ai due terzi del 2015.

Il prezzo di tutela è una forma di protezione che l’ordinamento riconosce a particolari categorie di clienti (domestici e piccoli business) considerati più vulnerabili perché dotati di un minor potere contrattuale e minor conoscenza del mercato.

A questi viene garantito per legge l’acquisto di energia a prezzi ragionevoli e coerenti con l’andamento dei mercati all’ingrosso di riferimento, condizione assicurata nel gas da un’indicizzazione del prezzo al mercato olandese, benchmark dell’Europa continentale, e nell’elettricità attraverso l'acquisto centralizzato dell'energia destinata ai clienti finali da parte di un grossista pubblico, l’Acquirente Unico.

La normativa europea sull’energia identifica nella concorrenza nel mercato libero il modello “normale” di funzionamento del settore e, pur ammettendo la possibilità di prezzi regolamentati per motivi di interesse pubblico, precisa – come si legge in una sentenza della Corte Ue del 2010 – che ciò è accettabile solo per un periodo transitorio.

Nell’agosto del 2017, approvando la legge Concorrenza 124/17, il Parlamento ha stabilito che i prezzi tutelati sarebbero stati eliminati dal 1° luglio 2019, indicando nel contempo alcuni passaggi intermedi per arrivare all’obiettivo. Tra questi l’istituzione di un portale per la comparazione delle offerte, una campagna informativa rivolta ai consumatori, un elenco dei venditori di elettricità autorizzati e un decreto ministeriale per definire le modalità della transizione, a cominciare dalla questione forse più complessa: il destino dei consumatori che alla scadenza non avranno ancora scelto un fornitore sul mercato libero.

Nel frattempo sono intervenute nuove elezioni politiche e una nuova maggioranza, che sulla questione ha assunto nel tempo diverse posizioni. Prima, alla vigilia del voto di marzo 2018, prospettando una cancellazione della norma, nei mesi successivi ipotizzando una sua semplice correzione, quindi disponendo nell’agosto 2018 un rinvio di un anno a luglio 2020, con la motivazione che gli 11 mesi che restavano non sarebbero bastati per completare i passaggi preparatori ora ricordati. Nelle successive settimane il governo annunciava anche un tavolo presso il Mise per preparare la transizione, che si sarebbe riunito una sola una volta. 

Nei giorni scorsi infine l’annuncio: il sottosegretario allo Sviluppo economico con delega all’energia, Davide Crippa (M5S), ha fatto sapere che l’esecutivo sta in effetti riconsiderando l’intera questione, per valutare se la fine dei prezzi tutelati sia davvero utile per i consumatori.

Gli step intermedi intanto sono rimasti in gran parte agli inizi: il portale delle offerte è entrato nella fase a regime solo a fine anno, della campagna informativa non si hanno ancora notizie certe, idem per l’elenco dei venditori. Soprattutto restano ancora aperti gli interrogativi sul modello di transizione che il decreto ministeriale dovrà definire, in particolare sul nodo dei clienti “inerti” che porta con sé profili concorrenziali non da poco.

Un conto sarà infatti se al luglio 2020 chi non sceglie sarà semplicemente servito dal suo fornitore storico in regime di mercato libero – soluzione preferita dai cosiddetti incumbent, ossia gli operatori del servizio di tutela (Enel e le grandi municipalizzate). Tutt'altra cosa sarà invece se sarà prevista qualche misura per neutralizzare il vantaggio competitivo dei fornitori storici, ad esempio con tetti antitrust e forme di switch collettivo dei clienti tutelati, come invece chiedono molte società di vendita non integrate.   

Altri due sviluppi recenti completano il quadro: da un lato la decisione dell’Antitrust, con due delibere di dicembre pubblicate a gennaio 2019, di sanzionare per oltre 100 milioni di euro due incumbent (ENEL e ACEA) per aver sfruttato informazioni privilegiate derivanti dal loro essere affidatari ex lege del servizio di fornitura in tutela per favorire le loro società di vendita sul mercato libero – un caso che ha riaperto il dibattito sulle conseguenza concorrenziali dell’integrazione verticale in questo ambito.

Dall’altro lato negli ultimi anni si è registrata un crescente fragilità economico-finanziaria delle società di vendita sul mercato libero, a causa delle non equa ripartizione del rischio morosità lungo la filiera prevista dalla regolazione attuale ma anche di pericolosi approcci mordi e fuggi di operatori meno seri, che a più riprese hanno eluso ed eludono i propri obblighi verso le controparti lasciando in capo al sistema insoluti anche ingenti.

Due ragioni di più, si potrebbe affermare, per superare l’attuale situazione di incertezza e riprendere il percorso fermo in mezzo al guado, partendo dalla qualifica dei venditori per arrivare alla modalità della transizione. Cosa che però non sta accadendo.

L’aspetto più criticato dagli operatori del settore in questa fase è in effetti proprio l’indeterminatezza della situazione. La scadenza dei prezzi tutelati nel 2020, oggi prevista da una legge dello Stato, verrà confermata, e se sì come ci si arriverà? In caso contrario sarà di nuovo rinviata o cancellata del tutto? 

Per chi nel settore lavora e investe, e in certi casi ha già mobilitato risorse per una scadenza oggi di nuovo messa in forse, il peggio possibile è dover tirare a indovinare. Ma ciò vale anche per gli stessi consumatori, ai quali questo passaggio è ancora in gran parte sconosciuto nel suo significato e nella portata che avrà per le loro abitudini e le loro economie domestiche. Un chiarimento è divenuto urgente.