Con la presentazione da parte del Governo della “Proposta di Piano nazionale integrato per l’Energia e il Clima” (PNEC) è stato avviato il processo che dovrà portare l’Italia in linea con gli obiettivi europei di decarbonizzazione al 2030. In questa versione iniziale, il PNEC si limita a definire gli obiettivi principali e le loro traiettorie attese, e a descrivere in modo sommario il contenuto della cassetta degli attrezzi da cui si attingerà per condurre il sistema energetico italiano verso i traguardi stabiliti. Esso tuttavia non precisa ancora gli aspetti fondamentali per gli operatori che sono chiamati subito a pianificare investimenti in impianti alimentati da fonti rinnovabili, nelle reti di trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica, negli accumuli e nel trasporto di gas, e che riguardano tempi, condizioni e modi di utilizzo di questi strumenti. Il primo sincero auspicio è che questi aspetti trovino sufficiente precisazione nella versione finale del PNEC.
Per quanto riguarda la dimensione “mercato interno”, il centro di gravità permanente della sua evoluzione nel prossimo decennio e oltre è la decarbonizzazione del mercato elettrico. E’ da qui che si dovrà necessariamente partire per capire, e soprattutto fare capire agli operatori, cosa accadrà quando cambierà in modo sostanziale il profilo delle immissioni e dei prelievi sulle reti e dovranno, di conseguenza, essere modificate le regole per il dispacciamento degli impianti e il loro bilanciamento, ed essere effettuati investimenti per adeguare gli assetti delle reti nazionali di trasmissione e distribuzione. Solo a quel punto e in funzione di quel che sarà accaduto nei sistemi elettrici confinanti si potrà valutare se e come procedere a una maggiore integrazione dei mercati elettrici europei in termini infrastrutturali e regolatori, che sono invece i temi che aprono il capitolo dedicato al “mercato interno” nella proposta di PNEC. Commettendo, a mio avviso, un significativo errore di impostazione logica così come è un errore collocare nelle ultime pagine della proposta la tabella 64, l’unica del documento che riporta una stima dei costi cumulati necessari per raggiungere gli obiettivi del PNEC. Solo per il comparto elettrico sono attesi investimenti per 130 miliardi di euro nel periodo 2017-2030 tra impianti di generazione, reti e accumuli, di cui il 40% è ritenuto addizionale rispetto alle politiche correnti.
Cosa dovrebbe emergere dal testo finale del PNEC per quanto riguarda la dimensione “mercato interno”? Prima di tutto dovrebbe fornire indicazioni credibili sugli step iniziali del processo di decarbonizzazione. In particolare, quali condizioni dovranno sussistere per la realizzazione nei tempi previsti del phase-out dal carbone nella generazione elettrica e quali saranno i volumi di potenza assegnati tramite aste riservate alle fonti rinnovabili nei prossimi 3-5 anni. Dovrebbe poi spiegare come verranno affrontati in questa prima fase i “riverberi” attesi sul mercato del gas e sul mercato della capacità. Per il primo basti dire che negli scenari di domanda di gas elaborati da Snam per il piano decennale di sviluppo della rete ballano quasi 15 miliardi di metri cubi di gas naturale al 2030, riguardanti per 2/3 i consumi delle centrali a ciclo combinato. Quanto al mercato della capacità, questa dovrebbe trattare: (a) l’adeguamento delle regole di dispacciamento e di bilanciamento all’evoluzione del settore, in particolare al fine di favorire una grid parity delle rinnovabili di mercato e propedeutica ai Power Purchase Agreement; (b) l’avvio del processo di integrazione degli accumuli chiarendo quali sono le intenzioni del Governo sulle decisioni di investimento: lasciarle al mercato, farle passare attraverso il mercato della capacità o inserirle negli investimenti regolati dei gestori delle reti di trasmissione e distribuzione? In base all’opzione scelta cambierà ovviamente l’interazione tra il funzionamento degli accumuli e i mercati elettrici. La parte successiva dovrebbe affrontare gli spazi possibili di partecipazione della domanda nei nuovi mercati elettrici, anche sotto forma di autoconsumo.
Sulle proposte con un orizzonte di più lungo termine vale la pena sottolineare la forte scommessa che è rappresentata dall’enorme sviluppo atteso dal fotovoltaico tra il 2025 e il 2030, circa 25 GW di maggior potenza installata, immagino senza corresponsione di incentivi (vedi tabella 10 a pagina 46). Diversi Paesi europei stanno scommettendo sull’eolico off-shore, per il quale occorre preventivare almeno 7-8 anni tra procedure di autorizzazione e/o di gara, realizzazione delle connessioni con la terraferma, costruzione della piattaforma e installazione dell’impianto. Non credo che a frenare l’opzione di un maggior ricorso ai parchi eolici offshore siano stati gli impatti ambientali sulle coste italiane visto che nella proposta di PNEC si parla di un sostegno alla realizzazione di capacità di rigassificazione anche small scale, considerata dai suoi estensori “un elemento fondamentale per l'Italia nel periodo di transizione verso un sistema completamente decarbonizzato, perché consentirà di cogliere le opportunità di un mercato GNL che si prevede in eccesso di offerta probabilmente fino alla prima metà del prossimo decennio” (pag. 153). Il sostegno promesso a parole deve però fare i conti con l’attuale eccesso di infrastrutture per l’importazione di gas in Italia e, apparentemente, con la misura che prevede un “passaggio dell’allocazione della capacità di rigassificazione regolata da meccanismi a tariffa a meccanismi ad asta” (pag. 23). Se lasciati funzionare, i meccanismi d’asta in condizioni di eccesso di capacità non possono che determinare una riduzione dei correspettivi di utilizzo e quindi della remunerazione attesa dell’investimento.
Come è giustamente scritto nel testo della proposta la transizione energetica dovrà avvenire seguendo “un approccio assai attento ai costi” (pag. 4) sia in termini assoluti - abbiamo accennato agli ordini di grandezza degli investimenti attesi - sia in termini distributivi. Riguardo ai secondi il PNEC dedica particolare attenzione agli impatti sulle imprese energivore e sulla “povertà energetica”. A quali condizioni le prime potrebbero, ad esempio, avere convenienza a sottoscrivere PPA “rinnovabili”? La risposta potrebbe venire dall’adeguamento della direttiva ETS ai nuovi scenari di decarbonizzazione e dalla conseguente evoluzione del mercato della CO2. La diffusione di smart meter di nuova generazione potrebbe in teoria consentire, come auspicato dal PNEC, sostegni più specifici rispetto ai bonus energetici e mirati a interventi di efficienza presso le utenze in condizioni di povertà energetica (pag. 9). Dico in teoria perché la convenienza dell’efficienza energetica dipenderà in buona parte da come l’Autorità trasferirà nelle tariffe i nuovi costi e i nuovi oneri legati alla transizione energetica. Se si procederà nella direzione presa con l’ultima riforma delle tariffe di distribuzione è probabile che il peso dei nuovi costi finisca per gravare di più sui bassi consumi di energia elettrica (rinnovabile) che sono più frequenti tra le famiglie in condizioni di povertà, energetica e non. La via della decarbonizzazione è piena di insidie.