Si tende a parlare di decarbonizzazione solo in termini di elettrificazione degli usi finali. Ma come ha sottolineato anche il World Energy Outlook 2018 (WEO2018), senza l’adozione di misure aggiuntive, vi è il “rischio di un’elettrificazione che sposta semplicemente le emissioni di anidride carbonica da valle a monte, ossia dai settori finali alla generazione elettrica”. È d’accordo con questa visione?
Francamente, penso che quello di cui abbiamo bisogno sia non mettere in piedi una nuova “guerra di religione” sul tema “elettrificazione sì, elettrificazione no” con connesse scomuniche ed eretici. Il futuro sarà sempre più elettrico, non c’è dubbio. La velocità di questo processo dipenderà da molti fattori, quali:
- la velocità nella sostituzione di fonti rinnovabili rispetto alle fossili nella produzione, in quanto non avrebbe senso spostare semplicemente le emissioni di anidride carbonica da valle a monte, ossia dai settori finali alla generazione elettrica;
- i progressi che si riusciranno a fare sul tema dello storage, che tutt’ora rappresenta un vincolo tecnologico importante rispetto al quale dobbiamo investire in termini di ricerca;
- le risorse che si renderanno disponibili per gli investimenti nelle reti di trasmissione e, soprattutto, nella distribuzione dell’energia elettrica; nel senso che in molte realtà del nostro Paese le strutture esistenti non sono attualmente in grado di supportare il processo di maggiore elettrificazione dei consumi.
Il tutto, evidentemente, con un occhio anche alle variabili economiche: può piacere o non piacere, ma noi abbiamo una storia che fa’ sì che le nostre bollette siano tra le più alte al mondo sia perché ci siamo dati una determinata struttura di produzione sia perché abbiamo deciso di “caricarle” degli incentivi alle rinnovabili (che potevano altrimenti finire sulla fiscalità generale) e le abbiamo usate, anche recentemente, per “finalità di politica industriale” (energivori, revisione sistema tariffario, in futuro capacity payment, etc.). Scelte legittime ma che hanno ridotto i “margini di manovra”, per cui ad esempio pensare di caricare altri investimenti (come sarebbe doveroso) sulle attuali bollette può risultare nel breve periodo assolutamente problematico. Quindi, a mio avviso, abbiamo bisogno di un piano di medio periodo che raccordi le varie scelte che dobbiamo fare, in modo da dare certezze agli operatori ed evitare di assumere orientamenti che poi non saremo in grado di mantenere o che possono produrre conseguenze importanti sul sistema produttivo e/o sociale.
Non tutti i settori economici potranno elettrificarsi. Come avverrà allora la decarbonizzazione in questi ambiti? E che ruolo giocherà il gas nella transizione degli usi finali legati all’industria?
Credo che la risposta sia in qualche modo implicita in quanto dicevo sopra. Sulla mobilità, ad esempio, le cose cambiano di molto tra quella urbana e quella extraurbana; e poi ancora il trasporto merci, via mare e anche via terra, dove credo che l’LNG potrà giocare un ruolo importante. Altro aspetto rilevante ai fini della decarbonizzazione sarà il progresso nel campo dell’efficienza energetica, per il quale nell’industria sarà importante riuscire a scendere di scala, allargando sempre più le tematiche e le buone pratiche dell’efficienza alle piccole e medie imprese.
Quanto conterà la neutralità tecnologica nel futuro sistema energetico? E quanto sarà importante investire nella ricerca a 360°?
Credo che buona parte della transizione effettiva verso un mondo più decarbonizzato ce la giochiamo proprio sulla ricerca, rispetto alla quale abbiamo bisogno certamente, come Paese, di aumentare gli investimenti, ma non solo. Ad esempio, la scarsità delle risorse, in assoluto e soprattutto in termini comparati, è certamente un dato oggettivo, incontrovertibile, ma non dobbiamo “usarlo” come scusa per non fare almeno un paio di cose, quali:
- razionalizzare le infrastrutture di ricerca, sperimentando ipotesi di condivisione delle stesse. Ancora troppo spesso, purtroppo, si investe nella “propria” infrastruttura, senza verificare la possibilità di utilizzarne efficacemente un’altra già esistente, magari sottoutilizzata;
- aumentare, laddove possibile, i collegamenti tra ricerca e mondo delle imprese, attraverso processi che consentano reali flussi di interscambio e di trasferimento tecnologico. Anche qui, non dimentichiamoci che la struttura del nostro sistema produttivo è ancora composta per oltre il 90% da piccole e medie imprese, spesso di altissimo livello qualitativo, per le quali la funzione di R&D deve essere necessariamente esterna.
Nel 2017 l’ENEA, insieme a CNR e GSE ha pubblicato il “catalogo delle tecnologie energetiche”. Brevemente, può dirci quali prevedete essere le tecnologie che meglio accompagneranno il nostro sistema energetico e industriale nel processo di decarbonizzazione?
Certamente non ho la pretesa di riassumere in pochi cenni un lavoro importante come quello che è stato condotto a compimento lo scorso anno. Posso dire che come Enea stiamo cercando di portare in Italia (e direi che ci stiamo riuscendo) un esperimento importantissimo sulla fusione nucleare, cioè sulla replica – a livello di laboratorio – del funzionamento del sole, con potenziali ricadute enormi a livello tecnologico e per la produzione di energia. Analogamente, stiamo lavorando intensamente sul tema delle biomasse, che potrebbero aiutarci nel processo di economia circolare ed avrebbero la qualità di superare le caratteristiche di discontinuità e non programmabilità della maggior parte delle attuali fonti rinnovabili, sulle quali comunque continua a concentrarsi la ricerca: abbiamo da poco inaugurato un impianto di solare a concentrazione ad Alessandria d’Egitto che fornisce alla comunità locale energia ed acqua dissalata. Si tratta di un primo progetto che riteniamo possa essere replicato efficacemente in molte zone del mondo che i cambiamenti climatici stanno mettendo a dura prova. Insomma, “ricerca-ricerca-ricerca!”, con tanta voglia e – spero – capacità di metterla a frutto e condividerla.