Grazie ai generosi programmi di incentivazione degli scorsi anni, l'Italia è stata tra i paesi più virtuosi in termini di installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili. In particolare, al 2017, secondo dati GSE, risultano installati circa 20 GW di fotovoltaico (suddivisi in oltre 700.000 impianti) a cui vanno sommati circa 9,5 GW di eolico (suddivisi in oltre 3.600 impianti)

Oggi la maturità tecnologica, il calo dei prezzi dei componenti e l’obsolescenza a volte precoce degli stessi, rendono più che interessante interventi di revamping, volti a ripristinare e ad ottimizzare le performance dell’impianto nella sua configurazione originaria (ad esempio tramite la sostituzione di componenti difettosi o l’ottimizzazione della configurazione elettrica) e di repowering, volti ad incrementare la potenza attraverso l’installazione di un vero e proprio “potenziamento non incentivato”.

Revamping e repowering del fotovoltaico

La tecnologia fotovoltaica, per propria definizione, è affetta da un decadimento di performance di circa lo 0,4 – 0,6% all'anno. Una parte consistente degli impianti fotovoltaici esistenti, oltre ad avere under-performance dovute all’anzianità di installazione, soffre anche il fatto di essere stata realizzata in un periodo di grande boom di questa fonte (2010-2011) in cui vi è stato il prevalente utilizzo di materiali di bassa qualità. Se a questo si sommano le problematiche intercorse durante l’installazione, si spiega perché tra il 2010 ed il 2011 siano state realizzate le centrali solari con le maggiori criticità sotto il profilo tecnico, autorizzativo e amministrativo.

Oggi, la maturità tecnologica, il calo dei prezzi dei componenti e il progresso delle tecniche di indagine sui difetti nascosti, rende particolarmente sostenibile il revamping degli impianti, a partire dalla sostituzione dei moduli fotovoltaici. Questi ultimi sono storicamente soggetti ad alcune criticità (Fig.1) come ad esempio: surriscaldamenti localizzati delle celle fotovoltaiche (Hot Spots); fenomeni di degrado e perdita di potenza che rientrano sotto il nome di P.I.D. (Potential Induced Degradation, “curabili” con appositi dispositivi chiamati rigeneratori; un degrado precoce del backsheet (il pannello posteriore); le classiche rotture del vetro.

Tali problematiche riguardano sia gli impianti forniti dai produttori referenziati ed ancora presenti sul mercato, e che pertanto rispondono con le garanzie di prodotto e performance, sia quelli di produttori non più presenti: determinando, in quest’ultimo caso, l’esborso a spese del proprietario dell’impianto della sostituzione che si rende necessaria.

Fig. 1: Moduli affetti da difettosità: yellowing, backsheet degradato, Hot Spots.

Fonte: Archivio M&P

Oggi, invece, i moduli disponibili sul mercato sono più affidabili e performanti di quelli installati negli anni passati pur avendo un costo sensibilmente inferiore. Questo grazie alle nuove tecnologie, ad esempio PERC, Half Cells, Shingle Cells (fig. 2). Per questo motivo appare sempre più sensato pensare ad un revamping del proprio impianto.

Fig. 2 -Moduli tradizionali (a sinistra), con half cells (al centro) e Shingle Cells (a destra)

Fonte: Archivio M&P/Canadian Solar/SunPower

La sostituzione dell’inverter, nel caso di macchine con bassi valori di efficienza di conversione e/o con bassi valori di disponibilità dovuti a frequenti guasti e fermi macchina, riveste un ruolo altrettanto importante in quanto tali sotto-performance si ripercuotono direttamente sulla resa dell’impianto fotovoltaico. 

Inoltre, per gli impianti residenziali sono oggi disponibili dispositivi con monitoraggio integrato direttamente controllabili con app via smartphone e con collegamento a sistemi di domotica (ad esempio accendendo gli elettrodomestici durante le ore di produzione fotovoltaica).

Un'altra importante possibilità di aumento della produzione degli impianti utility scale deriva dall’installazione di strutture a inseguimento solare mono-assiale in luogo di quelle fisse già installate anche in combinazione con moduli bifacciali (Fig.3). Questo tipo di intervento è particolarmente consigliabile se si è proprietari del terreno o se si ha la possibilità di estendere il diritto di superficie dell'area di installazione almeno a 30 anni.

Fig. 3 - Moduli bifacciali su inseguitore monoassiale

Fonte: Convert Italia/Canadian Solar/SunPower

Merita rilevare inoltre che, nel caso di impianti incentivati, il GSE permette che venga a sua volta incentivato solo un aumento molto contenuto della potenza nominale. Oltre quella soglia, l’intervento di repowering dell’impianto, - ossia il potenziamento con una nuova porzione di impianto connessa alla stessa utenza elettrica (POD) – non usufruisce dell’incentivo.

Tutti gli interventi sopra descritti devono essere accompagnati da una valutazione tecnico-economica che ne stimi la convenienza oltre ad essere debitamente autorizzati dagli enti coinvolti (es. Comune, Provincia, Gestore di Rete Elettrica) e comunicati al GSE attraverso specifiche procedure.

Revamping e repowering dell’eolico

Per stabilire le potenzialità di revamping o repowering degli impianti eolici italiani è necessario innanzitutto valutare come sono distribuiti quelli incentivati, in termini di numero di installazioni e potenza installata.

Da un punto di vista quantitativo, la gran parte delle centrali eoliche incentivate ed operative ha usufruito degli ultimi meccanismi d’incentivazione, stabiliti dai DM 06/07/2012 e 23/06/2016. Sono invece poche, in numero, le centrali incentivate con il vecchio meccanismo dei certificati verdi. La prospettiva cambia, tuttavia, se si analizza la potenza di tali impianti: il 90% deriva, infatti, da quelli che erano stati agevolati dal meccanismo dei certificati verdi e che hanno alle spalle una vita operativa piuttosto lunga. L’analisi delle performance (GSE 2017) mostra che circa il 46% di tali impianti ha prodotto un’energia corrispondente a meno di 1.800 ore equivalenti durante gli ultimi 5 anni, di molto inferiore alle 3.000 ore equivalenti annue che registrano le macchine di ultima generazione. Risultano quindi evidenti ed elevate le potenzialità connesse al revamping o repowering per il parco di impianti eolici italiani di grande taglia che risultano mediamente datati.

Limitando l’analisi agli impianti che ancora usufruiscono dell’incentivazione, le procedure di revamping/repowering ammesse sono stabilite dal GSE nel documento “Gestione esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, diversi dai fotovoltaici, ammessi agli incentivi”, pubblicato a Dicembre 2017.

Secondo quanto disposto, le condizioni che sostanzialmente devono essere rispettate affinché il nuovo impianto (più performante) possa continuare a beneficiare del livello d’incentivo già percepito per il periodo residuo sono:

  • il mantenimento dei requisiti che hanno permesso l’accesso al sistema incentivante (superamento delle soglie di accesso);
  • l’intervento deve essere debitamente autorizzato dalle autorità competenti.

In tale caso, gli interventi ammessi che hanno un reale effetto sulla produzione energetica e quindi sulla convenzione GSE sono definiti:

  • ammodernamento, ovvero sostituzione di componenti con altri nuovi che mantengano la stessa potenza totale della centrale;
  • potenziamento non incentivato (repowering in senso stretto), ovvero sostituzione di componenti con altri nuovi che aumentano la potenza totale della centrale.

Un esempio di ammodernamento potrebbe essere il reblading”. Esso consiste nella sostituzione delle pale delle turbine con modelli nuovi a maggiore efficienza aerodinamica e lunghezza leggermente aumentata. Tale intervento, su modelli di turbina datati e molto diffusi (Vestas V47, Gamesa G52, etc) potrebbe garantire incrementi di efficienza tra il 10 ed il 20% nonché un aumento della vita utile (life extension) a costi moderati e con tempi di fermo impianto molto contenuti.

La sostituzione, invece, dell’intera turbina con un nuovo modello di dimensioni e potenza nominale più elevate può essere catalogato sia come ammodernamento (ad esempio sostituzione di 50 turbine da 850 kW con 17 turbine da 2.5 MW) sia come potenziamento non incentivato (ad esempio sostituzione di 50 turbine da 850 kW con 20 turbine da 2.5 MW), a seconda della potenza totale della nuova centrale.

In entrambi i casi, la nuova wind farm avrà accesso al medesimo incentivo dell’impianto originario, tuttavia l’energia incentivabile sarà limitata mediante un meccanismo a soglia sull’energia prodotta o cap. Il cap è stabilito sulla base del confronto tra una producibilità stimata dal GSE per la tipologia d’impianto ed una produzione storica dell’impianto originario. Qualora, infine, l’intervento sia un potenziamento non incentivato, il cap agisce istantaneamente anche sulla potenza totale della nuova centrale, limitando la componente incentivata alla potenza ante-operam (Figura 4).

Fig. 4 – Meccanismo di incentivazione potenziamento impianto eolico

Fonte: GSE

Gli interventi di sostituzione dell’aerogeneratore, invece, aumentano significativamente l’energia prodotta e comportano un consistente aumento della vita utile dell’impianto, che diventa di fatto una nuova wind farm. La maggiore energia generata produrrà, inoltre, ricavi da vendita per un periodo lungo che va oltre la fine dell’incentivazione, a causa dell’effetto “life extension”. A tali interventi, tuttavia, sono connessi costi e tempi di fermo impianto elevati, corrispondenti sostanzialmente a quelli per la costruzione di una nuova wind farm.

Tutti gli interventi, indipendentemente dal tipo, devono essere poi autorizzati con un procedimento adeguato (stabilito dall’ente competente) la cui complessità dipende sostanzialmente dalla natura dell’intervento. Le difficoltà insite in tali procedure dovrebbero essere tuttavia mitigate dal fatto che la zona oggetto dell’intervento è già interessata da un impianto operativo. Gli unici dubbi relativi al revamping/repowering degli impianti eolici riguardano la durata ed i costi dei procedimenti autorizzativi.

Per tutti questi interventi, nel caso delle wind farm italiane, si stima infatti una convenienza economica elevata connessa al conseguimento di incentivi su una maggiore quantità di energia ed alla vendita futura a prezzi più elevati del costo di generazione (LCOE). Secondo alcuni studi, potrebbero beneficiare particolarmente di tali interventi i vecchi impianti eolici con turbine da 850 kW-1 MW entrati in esercizio tra il 2008 ed il 2012.

Per contro, per gli impianti che non beneficiano più degli incentivi, si può ritenere che essi possano accedere a qualunque intervento di repowering/revamping tra quelli citati, purché debitamente autorizzato. Tali impianti non devono seguire le regole descritte nel citato documento GSE, essendo usciti dal perimetro d’incentivazione. È necessario, tuttavia, che il vecchio impianto sia in regola con il cosiddetto decreto “spalma incentivi volontario” (DM 06/11/2014).

La valutazione della convenienza economica del particolare intervento si basa, quindi esclusivamente sul confronto tra il costo di generazione elettrica dell’impianto potenziato (LCOE dopo l’intervento) ed il prezzo di vendita dell’energia previsto.

In conclusione, sia per gli impianti eolici che fotovoltaici italiani vi sono grosse opportunità di revamping/repowering. Gli interventi vanno però debitamente valutati sotto il profilo economico, tecnologico, ingegneristico e normativo.