Quando si discute di qualità dell’aria, ovvero degli inquinanti aerodispersi - come il PM10-PM2,5 (polveri grossolane diametro D: 10 - 2,5 μm), il PM1 (polveri ultrafini Dqualità del combustibile diventa un parametro fondamentale per poter valutare l’efficienza/efficacia degli impianti di produzione dell’energia termica, delle combustioni realizzate ed infine delle emissioni connesse.

Fig. 1 – Interazione tra le polveri aerodisperse e l’apparato respiratorio

Fonte: elaborazioni dell’autore

Dovrebbe essere evidente a tutti gli addetti ai lavori ed ai tanti che discutono di ambiente che la prima scelta, quella del combustibile solido-liquido-gassoso, assume primaria importanza nelle possibili rese tipiche degli impianti e nelle collegate emissioni. Nel senso che la complessità molecolare decrescente solido-liquido-gas non può che comportare rese energetiche ed ambientali sempre più efficaci, sia dal punto di vista della complessità delle tecnologie, che da quello ambientalmente più critico delle tipicità emissive.

Ed è su questa linea che si muove l’evoluzione delle diverse realizzazioni ed anche il mercato. Si faccia riferimento, ad esempio alla lenta ma inesorabile esclusione del carbone (combustibile solido) dalle utilizzazioni energetiche urbane e sub-urbane, viste le sue inevitabili emissioni, controllabili e contenibili solo in impianti di grandi dimensioni di norma dislocati in zone poco antropizzate (anche questi in lenta inesorabile dismissione).

Per quanto riguarda invece i combustibili liquidi e gassosi, tenuto conto che l’ottimizzazione delle combustioni non è poi così complessa, la “demonizzazione” in atto del gasolio (volgarizzato con il termine Diesel) nelle sue applicazioni residenziali - cioè in centrali termiche condominiali - è una di quelle tipiche “gogne ambientalistiche” che andrebbero contestate.

È pur vero, tuttavia, che nei fatti l’uso di gasolio da riscaldamento nelle centrali condominiali è stato senza dubbio uno dei maggiori contributi alla quota emissiva del 60% che viene attribuita al riscaldamento civile negli inventari delle emissioni in aree vaste. Quota che, specie negli anni passati, è rimasta ingiustamente “tollerata” dagli inesorabili decreti dei sindaci che limitavano il solo uso delle auto, nelle “domeniche ecologiche” o nei giorni invernali ambientalmente più critici (caratterizzati dal combinato-disposto di: basse temperature-alti contenuti di umidità-mancanza di vento).

Demonizzazione che mutatis-mutandis oggi vivono i motori Diesel non Euro 6 con le ben note limitazioni alla circolazione imposte, specie nelle regioni del centro/nord d’Italia, con una diffusa tendenza ad identificarlo come il carburante con le peggiori performance ambientali. Questo senza tenere in conto che il ciclo Diesel (autoaccensione del carburante nei cilindri) presenta rendimenti termodinamici e curve di coppia motrice migliori rispetto al ciclo Otto (accensione comandata) utilizzato nei motori alimentati a benzina verde, motori che sono anche il cuore dei tanto incensati motori ibridi delle cui emissioni non nulle però non si parla.

Ritornando al tema del gasolio nel riscaldamento civile, è giusto dal punto di vista della qualità dell’aria vietare l’accensione degli impianti alimentati con il vecchio gasolio da riscaldamento (prodotto obsoleto contenente zolfo con concentrazioni oltre le 1000 ppm); tuttavia, è pur scientificamente dimostrabile con dati certi che l’utilizzo del gasolio per autotrazione (prodotto che viste le limitazioni sulle emissioni di particolato dei Diesel subisce in raffineria una  lavorazione che ne migliora la qualità con valori di zolfo di sole 10 ppm) in sua vece ha un impatto emissivo paragonabile a quello del gas naturale e la sua combustione negli impianti di riscaldamento non richiede alcuna miglioria. Dal punto di vista delle emissioni di nanoparticelle (PM1 ed inferiori), inoltre, garantisce emissioni tipiche (come ad es. nel caso dell’arsenico) anche migliori di quelle delle caldaie a metano.

Migliorando la qualità del combustibile migliora fortemente la qualità delle emissioni, rendendo ancora ambientalmente sostenibili le centrali termiche condominiali alimentate a gasolio, purché sia di qualità come quello per autotrazione.

Nel caso specifico del Lazio, su mirata richiesta di Assopetroli supportata scientificamente da prove emissive realizzate dal Pa.L.Mer. in collaborazione con la ex Stazione Sperimentale sui Combustibili di Milano (i cui risultati sono sintetizzati nelle Figg. 2 e 3), è stato deliberato dal governo regionale di autorizzare l’uso di impianti di riscaldamento alimentati con gasolio per autotrazione (con impegno esplicito dei fornitori laziali a garantire solo tale fornitura). Impianti che altrimenti avrebbero dovuto essere dismessi in nome della loro “non conformità” ambientale.

Fig. 2 – Confronto tra i livelli di emissione di una caldaia alimentata con gasolio da riscaldamento e gasolio da autotrazione

Fonte: elaborazioni dell’autore

Figura 3 – Confronto tra i livelli di concentrazione in numero di particelle in funzione del diametro all’emissione di una caldaia alimentata con gasolio da riscaldamento e gasolio da autotrazione

Fonte: elaborazioni dell’autore

Va comunque evidenziato che poiché il contributo emissivo imputabile al riscaldamento ambientale rappresenta nei territori urbani o suburbani una quota maggioritaria (>60%) rispetto a quello imputabile al solo traffico veicolare, in contemporanea ai divieti alla circolazione vengono anche dettate regole di contenimento delle emissioni collegate alle temperature massime degli ambienti interni (Tmaxmax che vengono adottate soprattutto nei territori più sfavoriti dalle loro tipicità geomorfologiche-meteorologiche-produttive (quali ad esempio la val Padana o le valli chiuse del frusinate).

L’evidente complessità applicativa di queste ultime norme energetico/ambientali sulle Tmax (1) nei fatti rende vana quell’ottica di appartenenza e sacrificio comune che deve invece ispirare i provvedimenti ambientali. A tutto questo si aggiunge la percepita “ingiustizia ambientale” generata dall’incontrollato diffondersi di stufe a pellets (che solo nelle versioni più recenti sono dotate di sistemi di controllo delle loro emissioni) che, unitamente al “malessere termico” generato dalle norme sulle temperature massime degli ambienti, spingono verso una “disobbedienza civile”. Tali generatori di calore di piccola taglia sono, sotto il profilo ambientale, certamente degli untori (emettitori di particolato solido spesso grossolano) più o meno favoriti da regole europee che, nel classificare tale tipo di combustione “green” (nell’ottica del bilancio o contenimento della CO2 la combustione di prodotti agricoli non ha effetto sulla conta macroscopica della CO2- Protocollo di Kyoto), ne hanno permesso una spropositata diffusione.

Dagli studi effettuati dall’Università di Cassino e del Lazio Meridionale e dal Pa.L.Mer. nel territorio urbano della città di Cassino, è dimostrabile che i territori periferici presentano condizioni ambientali, in termini di polveri ultrafini o nanoparticelle, che risultano peggiori delle zone urbane centrali ad alta intensità di traffico (quelle che in base ai parametri PM10 – PM2,5  sono classificate dalle centraline come ambientalmente critiche tanto da far primeggiare Cassino insieme a Frosinone nelle classifiche delle città con maggiori sforamenti nell’anno). Ebbene, le periferie a minor intensità di traffico risultano, a parità di PM10 –PM2,5, più inquinate in termini di polveri ultrafini e di nanoparticelle delle zone centrali; la ragione va ricercata nel fatto che in esse è diffuso il ricorso - soprattutto nelle costruzioni mono/bifamiliari tipiche - delle stufe a pellets che - specie nei giorni climaticamente non rigidi-  riescono a mantenere un livello termico accettabile a prezzi contenuti e senza dover ricorrere agli impianti di riscaldamento tradizionali (caldaiette) che vengono accesi solo nelle settimane più fredde.

La qualità dell’aria è un bene comune che va salvaguardato anche a costo di limitazioni o divieti, purchè comprovati, condivisi e sostenibili.

(1) Una verifica diffusa del rispetto di detti valori è assolutamente impraticabile, e gli addetti ai lavori sanno che solo in situazioni eccezionali con impianti progettati ad hoc e dotati di sistemi di regolazione estesi a tutti gli ambienti ed in edifici con proprietà trasmissive esterne di pregio è ipotizzabile un veritiero rispetto di condizioni che sono al limite del “ malessere termico”