Nel quadro dei procedimenti autorizzativi e regolatori riguardanti le fonti rinnovabili, la risorsa idroelettrica risalta per alcune caratteristiche specifiche. Ciò che fa dell’idroelettrico un interessante “unicum” nel panorama normativo italiano è il particolare intreccio tra procedure concessorie, autorizzative e di impatto ambientale.

Ai sensi della normativa vigente (Dlgs 152/2006), l’uso del bene acqua è considerato demanio pubblico; invece l’utilizzo delle altre fonti rinnovabili per la produzione di energia è, secondo la definizione contenuta nelle linee guida sugli impianti FER (Dm 10 settembre 2010), “attività economica non riservata agli enti pubblici e non soggetta a regime di privativa”.

Diversamente dalle altre FER, dunque, la fonte idroelettrica (insieme soltanto a quella geotermica) ha la particolare caratteristica di necessitare – a monte di qualunque applicazione – di un atto concessorio: la Concessione di derivazione di acque pubbliche superficiali per uso idroelettrico. Per le modalità di conseguimento della Concessione, occorre fare riferimento a quanto previsto dal Testo unico sulle acque e impianti elettrici (Regio decreto n. 1775/1933).

La normativa nazionale vigente distingue tra le Concessioni relative alle "piccole derivazioni" (impianti con potenza nominale media annua fino a 3.000 kW) e quelle relative alle "grandi derivazioni" (impianti con potenza nominale media annua superiore a 3.000 kW). L’ottenimento della Concessione comporta l’obbligo, a carico del concessionario, del pagamento di un canone periodico. A questo canone vanno ad aggiungersi i sovracanoni (rivierasco e BIM): si tratta di due di forme di compensazione economica spettanti ai Comuni nel cui territorio insistono impianti di produzione idroelettrica di potenza nominale annua superiore a 220 kW.

La competenza amministrativa in materia di rilascio delle Concessioni è della Regione; normalmente le procedure relative alle piccole derivazioni (in cui rientrano gli impianti cosiddetti mini e micro idroelettrici) sono delegati alle Province, mentre la Regione si occupa delle grandi derivazioni. Gli iter e i documenti richiesti per l'ottenimento della Concessione non sono omogenei sul territorio nazionale, ma variano da Regione a Regione e spesso da Provincia a Provincia.

La Concessione ha mediamente durata trentennale; è quindi temporanea, ma rinnovabile alla scadenza. In realtà, in seguito alla liberalizzazione del mercato elettrico introdotta dal cosiddetto “decreto Bersani” (Dlgs n. 79/1999), sono state riconosciute ex lege una serie di proroghe che hanno aumentato notevolmente la durata media delle Concessioni idroelettriche.

Inoltre, l’articolo 37 del decreto-legge n. 83/2012 - “decreto Crescita” - ha ridisegnato i criteri di rinnovo delle Concessioni di grande derivazione; pur non essendo questa la sede per poter entrare nei dettagli di questa disposizione normativa, basti dire che queste regole di fatto impediscono ancora oggi una vera concorrenza sui rinnovi e rendono l’esito delle gare praticamente scontato, garantendo al concessionario uscente la possibilità di mantenere senza grandi sforzi le sue Concessioni di grande derivazione.

Il decreto Crescita rinviava anche a un futuro decreto ministeriale (che però non è mai stato emanato), che avrebbe dovuto disciplinare importanti aspetti regolatori della questione, quali:

- la determinazione dei requisiti organizzativi e finanziari minimi per partecipare alla gara;

- i criteri e i parametri per definire la durata della concessione;

- i parametri tecnico-economici per la determinazione del corrispettivo spettante al concessionario uscente.

Da questo breve excursus emerge chiaramente come da diversi anni il settore delle concessioni idroelettriche stia vivendo una fase transitoria (non ancora conclusa), che non ha ancora pienamente traghettato il comparto dall’iniziale assetto oligopolistico a uno più concorrenziale.

Più definita, invece, è la situazione normativa concernente le procedure autorizzative per la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia da fonte idroelettrica. La norma di riferimento è rappresentata dal Dlgs n. 387/2003, che ha introdotto il procedimento semplificato di Autorizzazione unica per gli impianti FER, e dalle successive linee guida attuative (Dm sviluppo 10 settembre 2010).

La tabella A allegata all'articolo 12 del Dlgs n. 387/2003 indica in 100 kW la potenza elettrica al di sopra della quale gli impianti idroelettrici devono obbligatoriamente essere autorizzati mediante il procedimento di Autorizzazione unica. L’Autorizzazione unica, che costituisce titolo a costruire e a esercire l'impianto, viene rilasciata al termine di un "procedimento unico" svolto nell'ambito della Conferenza dei servizi (legge n. 241/1990), a cui partecipano tutte le amministrazioni interessate.  Al di sotto dei 100 kW di potenza, è possibile optare per la PAS (Procedura abilitativa semplificata), introdotta dal Dlgs n. 28/2011 al posto della previgente DIA. C’è anche un caso particolare (punto 12.7 delle linee guida nazionali) in cui il piccolo impianto idroelettrico può essere considerato attività ad edilizia libera ed essere quindi realizzato mediante previa comunicazione al Comune. Si tratta degli impianti idroelettrici “realizzati in edifici esistenti, sempre che non alterino i volumi e le superfici, non comportino modifiche delle destinazioni di uso, non riguardino le parti strutturali dell'edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici"; tali impianti, inoltre, devono “avere una capacità di generazione compatibile con il regime di scambio sul posto”.

Va osservato che tutti questi procedimenti autorizzativi non sono coordinati, a livello normativo, con le regole per il rilascio della Concessione. Ad esempio, al netto di alcune semplificazioni regionali, la procedura per l’ottenimento della Concessione non confluisce nel procedimento autorizzativo, ma lo precede.  Questo comporta in pratica un “doppio procedimento” (Concessione + autorizzazione alla costruzione e all’esercizio), che ha come conseguenza un forte allungamento delle tempistiche autorizzative degli impianti idroelettrici, assai penalizzante rispetto alle altre FER.

Meritano infine un cenno anche le procedure più prettamente ambientali che caratterizzano l’iter autorizzativo degli impianti idroelettrici, anche a motivo delle numerose matrici ambientali coinvolte (acqua, flora, fauna, consumo di suolo, ecc.). I principali procedimenti ambientali sono rappresentati dalla VIA (Valutazione di impatto ambientale), dallo screening (ovvero dalla Verifica di assoggettabilità alla VIA) e dalla Valutazione di incidenza.

Secondo quanto stabilito dal Dlgs 152/2006, la VIA è di competenza statale solo nel caso di “centrali per la produzione dell'energia idroelettrica con potenza di concessione superiore a 30 MW incluse le dighe ed invasi direttamente asserviti”. Sono invece sottoposti a screening, di competenza delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, le tre seguenti tipologie di impianti idroelettrici:

1)            con potenza nominale di concessione superiore a 100 kW;

2)            gestiti da consorzi di bonifica e irrigazione, con potenza nominale di concessione superiore a 250 kW;

3)            realizzati su canali o condotte esistenti, senza incremento di portata derivata, con potenza nominale di concessione superiore a 250 kW.

Scopo dello screening è valutare se un impianto può avere un impatto significativo sull'ambiente e se – conseguentemente – debba essere sottoposto alla VIA (in questo caso, di competenza delle Regioni e delle Province autonome). Attenzione: qualora un impianto ricada anche parzialmente in aree protette, scatta immediatamente la VIA senza che vi sia la sottoposizione a screening. Va tenuto anche in considerazione che le linee guida per lo screening (Dm Ambiente 30 marzo 2015) sono andate ad integrare i criteri puramente dimensionali con cui il Dlgs 152/2006 indica le soglie per l’assoggettamento o meno a VIA/screening. Quindi, a fronte di ulteriori criteri ambientali considerati nel valutare l’impatto ambientale di un progetto (come ad esempio il cumulo con altri progetti insistenti sullo stesso territorio), la soglia dei 100 o dei 250 kW potrebbe non essere garanzia sufficiente per l’esclusione dallo screening.

La Valutazione di incidenza, infine, si attiva qualora il progetto dell'impianto ricada in aree SIC (Sito di importanza comunitaria) o ZPS (Zone a protezione speciale), o quando è ubicato all'esterno di tali aree ma può avere influenza sulle stesse. Non esistono soglie dimensionali sotto le quali si sia esentati da tale procedura.