L’Africa si sta risvegliando. La lunga epoca storica che voleva il continente africano «paria» del mondo, come scriveva amaramente un giornalista di Harare (Zimbabwe) ancora nel 1993, si sta irreversibilmente esaurendo.
La riappropriazione di una storia e di un’identità africana da parte dei suoi cittadini costituisce una “rivoluzione copernicana” non solo per l’Africa, ma anche per il mondo che assiste – non senza contraccolpi – a questa nuova e prorompente ascesa.
Oltre il 40% degli africani oggi ha meno di 15 anni. Il 20% ha tra 15 e 24 anni. Nel 2050, un terzo della popolazione giovanile mondiale vivrà in Africa. Il modo in cui questo straordinario potenziale umano riuscirà a inserirsi nel mercato del lavoro (locale e globale) sarà decisivo sia per il continente che per gli equilibri internazionali.
I principali istituti economici ci dicono, tuttavia, che l’Africa è l’unica area del mondo in cui la pur consistente crescita economica dei prossimi anni rischia di non tradursi in una strutturale riduzione della povertà, che è invece destinata ad aumentare. L’integrazione economica, la lotta alle diseguaglianze e lo sviluppo del capacity building svolgono un ruolo centrale in questa sfida epocale.
Sul fronte dell’integrazione, negli ultimi mesi una risposta molto importante è venuta proprio dai leader dell’Unione africana, che a marzo hanno inaugurato l’area continentale di libero scambio, in radicale controtendenza rispetto ai venti protezionistici che spirano a livello internazionale. Si tratta dell’area comune più grande del mondo, che interessa 1,2 miliardi di persone e un PIL combinato di oltre tre trilioni di dollari e ha l’obiettivo di raddoppiare, al 2025, il commercio intra-regionale dall’attuale 15% al 30%. Proprio la scorsa settimana, le due maggiori economie sub-sahariane, Sud Africa e Nigeria, hanno rotto gli ultimi indugi dando piena adesione al progetto.
Affinché l’enorme potenziale del continente non rimanga inespresso, serve tuttavia anche un radicale ripensamento dei modelli di sviluppo promossi negli ultimi decenni, soprattutto in termini di lotta alle disuguaglianze. In particolare – e in chiave autocritica – da parte dell’Occidente. I grandi investitori privati svolgono un ruolo chiave in questo contesto, in particolare quelli del settore energetico. Non solo perché senza energia non c’è sviluppo, ma soprattutto perché è nelle strategie di lungo periodo - tipiche degli investimenti energetici – che si trovano le risposte più efficaci alle domande impellenti di oggi.
Grazie a una presenza nel continente più che sessantennale - era il 1954 quando Enrico Mattei faceva muovere al cane a sei zampe i primi passi nel deserto egiziano, per non parlare della presenza dell’Agip in Libia risalente agli anni Trenta - Eni è stata in grado di cogliere prima di altri attori le profonde trasformazioni del continente, adattando sempre più il suo modello alle esigenze e sensibilità locali. Una consapevolezza che ha consentito di promuovere un modello industriale sostenibile, orientato al lungo termine, attento all’investimento sul capitale umano e impegnato nel partenariato con i governi e le comunità locali.
Favorendo lo sviluppo di un tessuto produttivo locale attraverso la scoperta e messa in produzione delle risorse di energia, la formazione del personale e il trasferimento tecnologico, una grande compagnia internazionale crea infatti valore aggiunto permanente e non deperibile, ottimizzando le potenzialità endogene dei paesi di presenza. Questo è il capacity building di cui l’Africa ha bisogno.
L’accesso all’energia è, a tutti gli effetti, un diritto umano. Oggi, oltre 1,1 miliardi di abitanti del mondo è senza accesso all’energia, di cui oltre la metà in Africa sub-sahariana. Anche per questo, in partnership con le autorità locali, Eni ha realizzato negli ultimi anni centrali che producono il 60% dell’energia elettrica del Congo e il 20% di quella della Nigeria, utilizzando gas associato alla produzione di petrolio, che in passato veniva bruciato in torcia, e fornendo energia a oltre 18 milioni di persone.
Più recentemente, avvalendosi anche del supporto di istituzioni finanziarie internazionali come la Banca mondiale, Eni ha sviluppato insieme al governo e alla compagnia nazionale del Ghana, il primo e unico progetto dell’Africa sub sahariana di valorizzazione del gas non associato in acque profonde, interamente dedicato al mercato domestico.
È importante, tuttavia, che simili iniziative non rimangano isolate, ma si inseriscano in un approccio di sistema con associazioni imprenditoriali e partnership pubblico-private per colmare il gap di capacità realizzative che ancora caratterizza la regione. Vanno in questo senso, ad esempio, alcuni dei progetti di internazionalizzazione di Assomineraria volti ad accelerare lo sviluppo delle competenze locali nel settore dell’oil&gas per generare non solo proventi finanziari ma, soprattutto, per creare valore sociale e competenze utili al paese.
“La saggezza non arriva in una notte”, recita un antico proverbio somalo. Le sfide del continente richiedono un approccio sistematico e di lungo termine, ma l’Africa ha già in sé tutte le risorse per poterle affrontare. Bisogna saperle riconoscere con attenzione affinché possano trovare la chiave per esprimersi al meglio.