L’Europa è in prima linea nella lotta ai cambiamenti climatici, ponendosi obiettivi sfidanti per la produzione di energia rinnovabile e per l’aumento dell’efficienza nell’impiego delle risorse. Anticipando i tempi, rispetto agli obiettivi di sostenibilità, il nostro Paese si dimostra tra i più virtuosi. L’Italia ha già raggiunto il target assegnatole in ambito europeo al 2020, relativo al soddisfacimento del 17% dei consumi finali di energia attraverso tecnologie verdi. L’ottimo livello raggiunto non è però che una tappa intermedia nel percorso di transizione low carbon a lungo termine: un percorso che esula dai confini nazionali, come dimostrato dall’accordo di Parigi, siglato da 195 Paesi nel dicembre 2015 durante la ventunesima conferenza delle parti (COP 21). A tale consesso l’Europa ha presentato degli obiettivi sfidanti e li sta ora perfezionando attraverso il Pacchetto di Direttive “energia pulita per tutti gli europei (Clean Energy Package). Come dimostrato dalla Strategia Energetica Nazionale (SEN 2017), varata lo scorso anno dal Governo Italiano e dalla bozza di Decreto sulla promozione delle energie rinnovabili elettriche nel periodo 2018-2020 gli obiettivi di sostenibilità sono parte integrante di un programma strutturale di azione di politica energetica.
L’Italia sta dimostrando di avere una visione di lungo periodo sull’argomento, funzionale al raggiungimento degli obiettivi al 2030, declinati dalla Strategia Energetica Nazionale: ottenimento del 28% dei consumi di energia da fonte rinnovabile, con una percentuale green di addirittura il 55% nel mix di generazione dell’energia elettrica. I suddetti obiettivi prendono a riferimento la proposta della Commissione Europea per la Direttiva sulla promozione dell’uso delle fonti rinnovabili nel periodo 2020-2030. Il dibattito a riguardo è però ancora aperto e le ambizioni della SEN potrebbero non essere sufficienti per rispettare gli impegni comunitari definitivi: il Parlamento Europeo intende infatti innalzare il target comune europeo al 2030 dal 27% sino al 35%.
La predisposizione di un Decreto per il periodo 2018-2020, quando si è già ottenuto il raggiungimento degli obiettivi, è comunque un segnale che intende dare continuità agli investimenti nel settore. La conclusione della stagione incentivante precedente, legata al prematuro raggiungimento degli obiettivi per via della riduzione dei consumi a valle della crisi economica, aveva infatti drasticamente ridotto le nuove installazioni e l’attrattività dell’Italia per gli investitori. Il nuovo Decreto prevede l’installazione di oltre 2 GW/anno, fino al raggiungimento di un massimo complessivo dell’incentivazione pari a 5,8 mld euro/anno. L’accesso agli incentivi è previsto per mezzo dell’iscrizione ad appositi registri (quando la potenza è inferiore a 1 MW) o tramite aste al ribasso (se la potenza è sopra la stessa soglia). Le incentivazioni saranno operate attraverso la definizione di contratti a due vie per differenza, per cui la differenza fra la tariffa (ex aste o registri) e il prezzo zonale orario dell’energia elettrica viene riconosciuta al produttore (se positiva) o restituita (se negativa).
La principale novità rispetto all’impostazione precedente riguarda l’introduzione di gare tecnologicamente neutre sia per le procedure ad asta che a registro secondo tre classi tecnologiche differenti:
1) la prima classe riguarda il fotovoltaico e l’eolico con 580 MW disponibili per l’iscrizione ai registri e 4.800 MW per le aste al ribasso con priorità alle offerte ricevute da progetti su discariche, cave e miniere esaurite, o aree di pertinenza di discariche e siti contaminati.
2) la seconda classe afferisce agli impianti idroelettrici, geotermici (priorità a quelli con reiniezione totale del fluido), a gas derivati da processi depurativi o a gas da discarica con un contingente di potenza di 140 MW disponibile per i registri e 245 MW per le aste.
3) la terza classe è relativa agli interventi di rifacimento totale o parziale di tutte le tecnologie sopra elencate a patto che gli impianti siano in esercizio da almeno due terzi della loro vita utile e non stiano ricevendo già degli incentivi al momento della domanda. Il bando mette all’asta un totale di 490 MW mentre 70 MW spettano agli impianti iscritti ai registri.
Nel corso degli ultimi mesi questo Decreto è stato spesso criticato in quanto finalizzato prevalentemente a favorire le grandi installazioni, e quindi grandi utilities, a scapito degli impianti di piccola taglia, ovvero le forme di autoproduzione distribuita. Sull’argomento devono essere chiariti due aspetti, il primo riguarda il costo-opportunità di generazione dell’energia rinnovabile e il secondo gli assetti di generazione distribuita. Le energie rinnovabili sono progetti capital intensive, costituiti da alti costi di investimento e bassi costi variabili. Grazie agli avanzamenti tecnologici si è assistito negli ultimi anni ad una forte diminuzione dei costi di investimento, portando l’energia generata da alcuni impianti al livello delle tecnologie tradizionali. Al momento però le economie di scala risultano estremamente importanti e la cosiddetta grid parity è appannaggio di impianti utility scale, di potenza superiore al MegaWatt.
È doveroso quindi considerare anche gli effetti sul benessere sociale delle politiche di decarbonizzazione. Infatti, l’orientamento verso gli impianti di grande taglia può essere visto come la volontà di contemperare due istanze: l’accelerazione più rapida verso i target di generazione rinnovabile e la riduzione delle bollette dei consumatori. La seconda considerazione necessaria riguarda assetti di generazione distribuita. Agli impianti di piccola taglia (fino a 100 kW) è comunque garantita l’applicazione della tariffa omnicomprensiva, permettendo assetti di autoproduzione locale. Un’ulteriore spinta alla generazione distribuita sarà fornita dalla definizione di contratti di lungo termine fra privati (Corporate PPA), attraverso i quali saranno attivati portafogli integrati di generazione e consumo a livello di distretti (ad esempio industrial cluster). A tal proposito nel Decreto è richiesto al Gestore dei Servizi Energetici lo sviluppo di una piattaforma per la facilitazione dei PPA, strumento necessario per l’incontro di domanda e offerta riducendo i rischi di controparte.
Tuttavia, per completare il quadro e rendere l’Italia effettivamente pronta ad affrontare le sfide climatiche dei prossimi anni manca ancora un ultimo tassello particolarmente sfidante nella politica energetica italiana. Serve un cambio di approccio al tema della sostenibilità nel settore energetico in grado di promuovere, a fronte degli ingenti investimenti stimabili tra i 40 ed i 60 mld di euro al 2030 per le sole tecnologie rinnovabili, una strategia di sviluppo industriale. L’aumento delle energie rinnovabili può garantire, come richiamato più volte dalla stessa Commissione, un volano di sviluppo industriale, se accompagnato da politiche attive per il rafforzamento delle filiere produttive del settore. Se non siamo in grado di creare le condizioni per uno sviluppo manifatturiero in questi segmenti tecnologici, l’Italia rischia di divenire un mercato di domanda per “equipment” sviluppato all’estero e le opportunità di crescita economica saranno circoscritte all’installazione e gestione/utilizzo degli impianti, porzioni della filiera in molti casi a minore valore aggiunto e limitato tasso occupazionale.