Un aspetto importante nel meccanismo dei certificati bianchi (TEE) è la presentazione dei progetti di efficientamento energetico. Si tratta in effetti del primo passo verso l’ottenimento dei titoli e la loro valorizzazione, e, rispetto agli altri schemi di incentivazione nazionali, presenta un livello di qualità e complessità maggiore. Non a caso il tasso di rigetto delle proposte di progetto (PPPM, PC, PS per gli addetti ai lavori) e delle richieste di rendicontazione dei risparmi (RVC e RC) risulta elevato: nell’ordine del 40-45% nel primo caso e in crescita negli ultimi tre anni dal 7% al 25% nel secondo.

Tale complessità è legata sia all’adozione di metodologie di valutazione dei risparmi energetici affidabili, precise, e verificate – fondamentalmente basate su dati misurati –, sia all’ammissibilità dei soli risparmi energetici addizionali rispetto alla media dell’offerta di mercato o ai requisiti prestazionali minimi fissati per legge. Lo schema dei TEE premia infatti solo quanto va oltre il risultato prestazionale che si otterrebbe comunque procedendo alla sostituzione di un apparecchio o sistema.

Nella pratica queste richieste si traducono in tre esigenze che incidono sulla possibilità di presentare progetti, di ottenerne l’approvazione e di conseguire certificati nel corso della vita utile dell’incentivo (pari in genere a 7 o 10 anni):

  • la definizione della baseline dei consumi energetici, opportunamente corretta per tenere conto dei fattori in grado di influenzarli (e.g. il clima, l’andamento della produzione, l’occupazione degli immobili, etc.), sulla base dei dati registrati nell’arco di almeno un anno tramite misuratori con campionamento almeno giornaliero;
  • l’individuazione della media di mercato dell’offerta su cui impostare la baseline di riferimento dei consumi energetici, ossia quella su cui si valutano effettivamente i risparmi energetici rispetto ai consumi post-intervento;
  • la capacità di gestire tutta la documentazione in grado di dimostrare la corretta esecuzione e gestione del progetto realizzato, in linea con le norme esistenti.

Le linee guida introdotte lo scorso anno col D.M. 11 dicembre 2017 hanno introdotto dei requisiti aggiuntivi sui primi due punti, rendendoli più complicati da soddisfare, in particolare considerando le tempistiche previste per raccolta dati mirata alla definizione della baseline, presentazione della proposta di progetto, realizzazione dello stesso, raccolta dei dati sui consumi post-intervento e presentazione della richiesta di certificazione. Si tratta comunque di aspetti utili a garantire che i risparmi energetici siano effettivamente conseguiti e correttamente valutati. Inoltre, aiutano le imprese e le ESCO ad introdurre protocolli di misura e verifica di qualità, come l’IPMVP (International Performance Measurement and Verification Protocol). Il principale ostacolo, da questo punto di vista, è costituito dai misuratori con campionamento giornaliero, di cui le imprese non sempre sono già dotate. Il suggerimento è quello di installare idonei sistemi di misura, anche perché richiesto dall’obbligo di diagnosi per le grandi imprese e gli energivori, sfruttando super e iper ammortamento. I benefici per le imprese vanno comunque ben oltre la possibilità di partecipare allo schema dei TEE (migliore conoscenza e ottimizzazione dei processi, indicatori di prestazioni più affidabili, maggiore facilità a ricorrere a contratti EPC e finanziamento tramite terzi, etc.).

La nuova definizione dell’addizionalità, su cui si fonda la baseline di riferimento dei consumi ante-intervento, più che aggiungere complicazioni, ha avuto l’effetto di ridurre i risparmi energetici riconoscibili. Sebbene sia difficile fare valutazioni quantitative generali, l’analisi dei progetti a consuntivo presentati a fine 2017 con le nuove regole mostra un calo da 3.340 a 277 certificati per progetto rispetto alle proposte collegate alle linee guida precedenti prodotte nello stesso anno. Un dato che va preso con il beneficio dell’inventario, in quanto si confrontano progetti differenti, ma è molto probabilmente un indicatore dell’incidenza negativa della nuova definizione di addizionalità.

In questo caso, tra l’altro, la complessità non si accompagna a particolari benefici. Anzi, l’addizionalità è sempre stata una delle principali fonti di contenzioso per i progetti a consuntivo. La soluzione in questo caso potrebbe essere quella di spostarne la valutazione, richiesta dall’art. 7 della direttiva sull’efficienza energetica (2012/27/UE), a posteriori, come avviene con conto termico e detrazioni fiscali. L’idea sarebbe quella di valutare i risparmi energetici come differenza fra i consumi post e ante-intervento, opportunamente corretti in base alle variabili in grado di influenzarli, lasciando poi al MiSE, supportato da GSE ed ENEA, il compito di individuare la quota di risparmi addizionali. Ciò, fra parentesi, è quanto il MiSE ha affermato di avere inserito nella proposta di modifica delle linee guida recentemente illustrata, al momento in fase di concertazione con il Ministero dell’Ambiente e le Regioni.

Le problematiche collegate alle truffe sui progetti presentati con la metodologia standardizzata, acuitesi lo scorso anno, hanno di fatto comportato un inasprimento dei controlli relativi al terzo punto dell’elenco precedente, dovuto alle azioni di contrasto adottate dal GSE a tutela del sistema e dei consumatori. Ciò si è ovviamente tradotto in richieste più ampie in merito alla documentazione da presentare all’atto della presentazione delle proposte.

Inoltre, le linee guida sui TEE hanno introdotto la necessità di effettuare misure su un campione di interventi realizzati anche per i nuovi progetti standard, mentre in precedenza i risparmi energetici erano calcolati sulla base delle unità installate o sostituite. Al di là del fatto che ancora non sono disponibili le schede di presentazione che il Ministero dello sviluppo economico deve emanare, anche questa misura è legata al tentativo di ridurre le truffe e si traduce in un procedimento più complesso per l’accesso allo schema. Finché le nuove schede non saranno rese note e messe alla prova, è difficile fare valutazioni sulla loro efficacia. La speranza è che la formula possa dimostrarsi efficace, anche se numericamente meno performante di quella precedente, per ovvi motivi. Al contrasto delle truffe si collega anche la scelta di prevedere che interventi diversi possano essere presentati da un medesimo titolare (ossia chi sostiene l’investimento), non più da un unico proponente. Una scelta che riduce le possibilità di aggregazione, eccezion fatta per le ESCO che operino finanziando progetti.

In definitiva, il processo di presentazione delle proposte nell’ambito del meccanismo dei certificati bianchi si è andato nel tempo complicando, in parte per rispondere a un’esigenza di qualità dei progetti, in parte per contrastare fenomeni di malaffare. A parte la questione dell’addizionalità, che è opportuno rivedere per vari motivi, di per sé si tratta di una complessità che può essere superata dai proponenti con un pò di sforzo, con beneficio per tutto il sistema in termini di qualificazione dei progetti e degli operatori.

Il vero elemento debole è rappresentato dall’incertezza legata alle regole operative, troppo spesso modificate a posteriori per rincorrere le problematiche emerse man mano (ad esempio richiedendo documenti non esplicitati nelle schede di progetto anni dopo la presentazione dello stesso), col risultato di danneggiare talvolta gli operatori corretti insieme alle mele marce. Difficilmente questo è un aspetto su cui interverrà il nuovo decreto, per cui l’auspicio è che si trovi un giusto equilibrio fra le parti, nell’interesse di tutti.