1) La blockchain deve la sua attuale fama ai bitcoin. Eppure viene sempre più spesso associata allo sviluppo di diversi settori. Come mai?

La blockchain deve la sua fama ai bitcoin, ovvero alla criptovaluta che per la prima volta se ne è servita. Tuttavia, la vera rivoluzione non sta tanto nella creazione di moneta virtuale quanto nella blockchain stessa. Le possibilità di applicazione sono infatti molteplici e vanno ben oltre gli scambi monetari. A tal proposito si parla infatti di smart contracts e della possibilità di usare la blockchain come un registro decentralizzato dove annotare qualsiasi tipo di transazione (vendita di un immobile, scambio di energia fra imprese e privati, etc.). La blockchain è quindi un luogo dove registrare in modo permanente e immodificabile transazioni tra soggetti che hanno interessi tra loro concorrenti senza che sia necessario un arbitro o un garante e senza che uno dei soggetti in gioco, tipicamente il più potente, abbia il vantaggio di poter detenere lui stesso le registrazioni di eventi e pagamenti (si pensi al rapporto tra cliente finale e fornitore energetico). Tanto per fare un esempio, la compravendita di un automobile fra privati potrebbe avvenire registrando la transazione direttamente sulla blockchain a costo quasi nullo, senza quindi dover ricorrere alla burocrazia che prevede la registrazione di proprietà tramite il Pubblico Registro Automobilistico, il che comporta un costo di gestione che si traduce nel pagamento di un onere a carico degli utenti.

2) A livello energetico quali sono i campi di applicazione della blockchain e le sinergie che si potrebbero avviare nel breve termine?

A livello energetico ci sono vari campi di applicazione: dallo scambio di energia peer to peer, alla registrazione real time dell’energia assorbita in ricarica dai veicoli elettrici, alla misura dei consumi elettrici, ecc. Da un punto di vista pratico esiste già un’applicazione in ambito energetico: si chiama Enerchain, una sorta di grande mercato dove produttori, distributori e privati di diverse dimensioni operano sullo stesso piano. Grazie alla blockchain, infatti, tutti gli attori coinvolti svolgerebbero un ruolo paritetico sul mercato dell’energia, risolvendo in un colpo solo il problema della centralizzazione e dell’influenza delle grandi imprese. Si tratta di un progetto ancora alle prime fasi di sviluppo con forti prospettive di crescita, ma anche potenzialmente in grado di scardinare gli equilibri di mercato e pertanto suscettibile a resistenze e opposizioni.

3) Quali sono, a livello normativo e gestionale, le criticità legate al suo sviluppo?

Da un punto di vista tecnologico non vi sono limiti. Il vero problema oggi è l’assenza di un riconoscimento legale della blockchain, ovvero di quanto viene registrato nella blockchain stessa (in modo non più modificabile). Se ad esempio volessimo effettuare una compravendita di un immobile, una transazione energetica o una votazione, ad oggi non esiste una normativa in grado di stabilire il valore legale della registrazione dell’evento sulla blockchain. Non c’è una legge tale per cui una simile registrazione assume un valore legale. 

Vi è inoltre chi utilizza il termine blockchain a sproposito, solo perché di moda o perché ha un certo appeal da un punto di vista commerciale, senza però capirne o trasmetterne appieno i vantaggi e gli aspetti rivoluzionari per la società. Parlare di blockchain privata, ad esempio, è un vero controsenso. Il suo sviluppo su larga scala consentirebbe di effettuare qualsiasi transazione direttamente attraverso la rete, facendo venir meno la necessità di figure di intermediazione e garanzia, come banche, pubblici registri e notai. Se da un lato questo comporterà un evidente risparmio in termini economici, dall’altro non si può tacere un impatto sociale di dimensioni significative.

4) E l’Italia? Come si posiziona il nostro paese? Cosa dobbiamo aspettarci in futuro?

Nel nostro paese sono state avanzate tante idee, proposte e sperimentazioni, ma ancora non c’è uno sviluppo organico né un supporto di tipo normativo e politico che favorisca l’adozione di un sistema che di fatto toglie potere alle grandi compagnie (anche energetiche) e alla burocrazia pubblica. Molte società di informatica, come ad esempio IBM, stanno sviluppando progetti in diversi settori: dal progetto di registro per i notai italiani a quelli in ambito assicurativo ed energetico, ma non c’è ancora nulla che permetta di trasformare il potenziale tecnologico della blockchain in vantaggi tangibili per la popolazione. Siamo alle primissime fasi di sviluppo, ancora lontani da quel passaggio culturale imprescindibile per cui chi ha il controllo è disposto a fare un passo indietro in favore di una rete decentralizzata, accessibile e controllabile da tutti.

5) Venendo al tema della sostenibilità: alcuni studi hanno evidenziato che il consumo di energia necessario a “produrre” un bitcoin è insostenibile sul lungo termine. Qual è la sua opinione in merito?

È un dato di fatto che oggi per produrre un bitcoin o un’altra criptovaluta è richiesto un consumo energetico sostanzioso. Il sistema per la messa in sicurezza della rete di bitcoin e per il conseguimento del consenso - il proof of work - è particolarmente energivoro. Per risolvere gli algoritimi che permettono la produzione (mining) di nuovi bitcoin serve una potenza di calcolo elevata e incrementale, cioè destinata a crescere col passare del tempo. Questo si traduce in un numero sempre maggiore di calcolatori, elaboratori e schede grafiche, che richiedono molta energia sia per essere alimentate che per essere raffreddate.

Per evitare questo spreco di energia si stanno sperimentando altri sistemi. Fra questi vi è il cosiddetto proof of stake (prova del valore), che invece di ottenere il consenso sulla base della potenza elaborativa che un utente possiede, lo determina sulla base del possesso di un certo ammontare di criptovaluta.  A differenza del proof of work, quindi, non è più necessario avere a disposizione sempre più potenza elaborativa, quanto piuttosto dimostrare di possedere un ammontare cospicuo di monete virtuali. Questo metodo, sicuramente meno dispendioso da un punto di vista energetico, ha comunque il limite di essere poco democratico, perché collega il ruolo di garante al possesso di monete e quindi di denaro.

Ancora più recente è il lancio di un altro sistema, chiamato Algorand, una versione in chiave moderna del Bizantine Agreement. In questo caso il consenso non si ottiene né tramite una potenza elaborativa maggiore né tramite il possesso di valuta, bensì sulla base di una sorta di lotteria virtuale non truccabile, dove coloro che confermano la transazione vengono scelti a caso fra tutti coloro che compongono la blockchain. Il processo viene ripetuto più volte senza che sia mai possibile prevedere da chi sarà composto il nuovo comitato di garanti.