L’esito quanto mai incerto delle elezioni del 4 marzo induce partiti, movimenti e coalizioni a cercare di occupare l’intero spettro dello scibile politico. E se sono le macro questioni – dall’immigrazione alle tasse – a tenere banco sui mass media, i leader non disdegnano di pronunciarsi sui temi più diversi. Ne è esempio la “rassegna” condotta nell’ultimo mese da Staffetta Quotidiana, che ha chiesto ai leader politici di presentare sinteticamente un programma in tema energetico-ambientale per la prossima legislatura.
A esporsi, nella quasi totalità dei casi, sono stati in prima persona gli esponenti di punta dei partiti. Ne è emerso un panorama variegato che dà il destro per alcune riflessioni.
Storicamente, almeno in Italia, il tema energetico (o quello strettamente collegato della sostenibilità ambientale) non ha mai pagato particolari dividendi elettorali. Come dimostra la sostanziale scomparsa dall’orizzonte parlamentare dei movimenti ecologisti, rappresentati solo da singole personalità all’interno dei maggiori partiti.
Quando questi temi hanno pagato è stato attraverso il “no”: il referendum sul nucleare del giugno 2011, quello sulle trivelle di aprile 2016, in un certo senso anche quello sul Titolo V di dicembre 2016, che riguardava anche le prerogative degli enti territoriali in materia di energia e ambiente.
È forse per pescare in quell’area di “opposizione” che diversi programmi fanno riferimento al superamento del carbone e in generale delle fonti fossili, proponendo un allargamento dell’orizzonte dell’azione politica fino al 2050, in totale “fuori sincrono” rispetto ai tempi di una legislatura.
L’unico tema energetico che è affiorato nella campagna elettorale fino a questo momento, almeno per quanto riguarda il mainstream, è stato quello dei sussidi alle fonti fossili. Argomento quanto mai scivoloso e da maneggiare con cura. A tirarlo fuori con una certa insistenza è stato il candidato premier del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio, ma l’idea è stata rilanciata anche da +Europa e da Liberi e Uguali.
Sembra un’idea politicamente perfetta: i “cattivi” petrolieri e carbonieri che ricevono miliardi di euro l’anno in sussidi devono restituire il maltolto, con vantaggi per l’ambiente, per la salute e per le tasche dei cittadini. Ahimè, qui non si tratta di sussidi alle fonti fossili ma di sussidi a determinati settori produttivi, primo fra tutti il trasporto merci su gomma, poi l’agricoltura, la pesca e chi più ne ha più ne metta. E chi volesse toglierli per recuperare qualche miliardo di euro l’anno dovrebbe vedersela con loro e, in definitiva, con tutti i cittadini/consumatori che vedrebbero aumentare i prezzi delle merci. Non sembra che questa considerazione, invero piuttosto scontata, sia mai affiorata nel dibattito pubblico. E, d’altronde, nessun politico o tecnico che ne abbia avuto l’occasione ha mai toccato la questione dei sussidi. Troppo delicata politicamente, troppo alto il rischio di creare sconquassi in settori economici tanto nevralgici quanto fragili.
Tra i temi “generalisti” che filtrano nei programmi energetici troviamo l’istanza sovranista, che in questo comparto si traduce nel concetto di indipendenza (o riduzione della dipendenza) energetica. Un tema che può essere affrontato da tanti punti vista, dall’aumento dell’efficienza (con conseguente riduzione della domanda), tesi condivisa un po’ da tutti i partiti, alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento, fino al rilancio dei “campioni nazionali”.
Quello che sembra di poter concludere da questa breve rassegna è che le questioni energetiche e ambientali, che trovano spesso spazio sui giornali soprattutto sotto la rubrica “sostenibilità”, diventino troppo complesse e poco remunerative quando si tratta di andare a mietere voti.
C’è da augurarsi – anche se i segnali non sono del tutto rassicuranti – che, oltre agli obiettivi al 2050, i parlamentari della prossima legislatura saranno in grado di affrontare con strumenti adeguati anche le sfide di breve e medio termine. Quelle, cioè, di cui sono chiamati a rispondere.