Il biogas in Italia ha certamente una storia tutta sua, fatta, come ogni buona storia, di luci e ombre e con un finale assai incerto. Di biogas si è cominciato a parlare solo negli ultimi 10 anni (soprattutto per quanto riguarda l’opinione pubblica) e specialmente in correlazione al settore agricolo. Nel resto dell’Europa, però, la sua storia ha origini più “antiche” e in Paesi come la Germania e l’Olanda, gli impianti cosiddetti “farm” si sono diffusi già 25 anni fa.

Come spesso accade in Italia, la diffusione di una nuova tecnologia costruttivo-impiantistica è legata ad un aiuto economico da parte dello Stato che in tal modo cerca di spingere e di guidare le scelte degli imprenditori e, in questo caso, degli agricoltori; ed è proprio questo antefatto che segnerà il punto di svolta per il biogas italiano.

Il biogas, come fonte di energia rinnovabile, fa parte della più ampia famiglia delle cosiddette “biomasse”. La tecnologia sfrutta il metano (che compone la miscela di biogas) che si produce attraverso la fermentazione anaerobica della biomassa, ad opera di batteri detti metanigeni; il tutto confinato all’interno di un digestore riscaldato che assicura le giuste condizioni ambientali per poter far avvenire il processo fermentativo. Il metano prodotto, ottenuto da una preventiva purificazione della miscela di biogas, viene utilizzato come combustibile per alimentare un motore collegato a sua volta ad un alternatore che produce energia elettrica.

Le biomasse maggiormente utilizzate nel settore agricolo sono gli insilati (soprattutto mais e sorgo) e i reflui zootecnici; gli insilati hanno sicuramente un maggior rendimento in termini di biogas prodotto, rispetto ai reflui che provengono dagli allevamenti.

È con l’entrata in vigore del Decreto Ministeriale (DM) del 18 Dicembre 2008 (Incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, ai sensi dell'articolo 2, comma 150, della Legge 24 dicembre 2007, n. 244) che si ha il primo vero impulso al mercato del biogas. La nuova legge infatti prevedeva un incentivo pari a 0,28 euro (tariffa omnicomprensiva) per ogni KWh prodotto, a prescindere dalla tipologia di impianto di biogas, dalla sua potenza (con limite posto a 0,999 MWel) e dal tipo di biomassa utilizzata. Una tariffa assai generosa e non discriminatoria, che aveva il solo scopo di incentivare ma non di guidare nella scelta produttiva; si trattava della più alta tariffa in Europa mai vista fino ad allora.

Si è registrato quindi un vero e proprio boom di impianti con potenza 999 KWe - il massimo consentito per ottenere la migliore tariffa incentivante – alimentati soprattutto da insilato di mais. Questo ha avuto diverse conseguenze: una certamente positiva relativa al rapido sviluppo di questo settore che ha visto la nascita e la crescita di molte aziende e quindi di nuovi posti di lavoro; un’altra, invece, meno positiva è stata la conversione di intere aziende alla produzione di mais con il solo scopo di destinarlo ai digestori degli impianti. Il guadagno per queste ultime era ed è garantito dal generoso incentivo ma rimane fortemente legato ad una serie di variabili tipiche dell’agricoltura (rese stagionali, costi dei fattori produttivi, affitto dei terreni, ecc.).

L’utilizzo prevalente di mais e di colture dedicate ha posto molte riflessioni di carattere etico ed economico: quanto è giusto destinare al biogas una coltura altrimenti utilizzabile per l’alimentazione animale e umana e quanto è economicamente conveniente spingere la produzione di insilati se questa ha determinato un’insostenibile crescita del valore degli affitti dei terreni agricoli? A ciò va aggiunto l’insorgere di un diffuso sentimento negativo nei confronti di questi impianti che aumentavano di numero nelle campagne attorno ai centri abitati. Comitati cittadini e media, poco e malamente informati sul tema, hanno acuito la sensazione di sgradevolezza nel dover abitare vicino ad un azienda con un impianto di biogas e, nel caso estremo, hanno impedito la costruzione degli stessi.

L’avvento del DM del 6 Luglio 2012 prima e del DM del 23 Giugno 2016 poi ha definito una maggiore guida nella scelta degli investimenti impiantistici, incoraggiando, tramite l’erogazione della massima tariffa prevista (0,236 euro/KWh con DM 6/07/2012 e 0,233 euro/KWh con DM 23/06/2016), la costruzione di piccoli impianti (100-300 KWe) che utilizzassero, in prevalenza, sottoprodotti come reflui o scarti delle lavorazioni agro-alimentari. Si tratta di scelte legislative che hanno sicuramente frenato la corsa al biogas, costringendo gli agricoltori a scelte più ragionate e a progetti maggiormente studiati. 

Anche se le questioni aperte rimangono molte e su diversi fronti, è possibile provare a fare un bilancio di quello che è ed è stato lo sviluppo del biogas agricolo in Italia fino ad ora. Innanzitutto, è bene precisare che la tecnologia del biogas non si applica solo in agricoltura ma la si trova anche nel mondo dei rifiuti solidi urbani, quindi è opportuno tenere ben divise queste due applicazioni. Per quanto riguarda il biogas agricolo non vi è dubbio che un consumo di suolo (se di consumo si può parlare) c’è stato. Lo si definisce consumo poiché tali terreni non sono più destinati a produzioni “food”. Tuttavia, se si fa riferimento alla SAU (superficie agricola utilizzata) totale dell’Italia, non si può dire che ci sia stata una perdita di suolo in senso assoluto, in quanto i terreni attualmente incolti e non sfruttati rimangono ancora molti. Al contrario, invece, si parla di perdita di terreni “food” se si considera la SAU del Nord Italia, area in cui è concentrata la maggior parte degli impianti e in cui ricadono terreni più fertili e più produttivi.

In merito alla sostenibilità economica degli impianti, si può affermare che in generale il margine di guadagno per l’agricoltore è ancora ben presente anche se non così ampio e chiaro come in passato, quando la tariffa era di 0,28 euro/KWh. Il sistema incentivante assai generoso all’inizio, e corretto in seconda battuta, ha permesso un fiorente sviluppo del mercato e delle aziende connesse, garantendo allo stesso tempo una buona prospettiva di investimento per gli imprenditori agricoli. Tuttavia, l’incertezza sul futuro della normativa e sulla continuità degli incentivi pone dei dubbi sulla sopravvivenza di questa tecnologia.

In conclusione, il biogas non è l’unica fonte di energia rinnovabile che possa trovare applicazione in agricoltura, però è certamente l’unica che, se adeguatamente applicata e progettata, può portare reddito e benefici ambientali sfruttando sottoprodotti (ovvero prodotti di scarto) presenti naturalmente in azienda senza quindi dedicarvi processi produttivi esclusivi. Rappresenta un’ottima opportunità per le aziende, poiché vi è alla base un principio di funzionamento semplice con un processo fermentativo spontaneo e naturale.

Tuttavia, merita rilevare come ancora oggi le difficoltà applicative in piccole aziende - non esistono aziende sul mercato che offrono soluzioni impiantistiche adatte ai piccoli allevamenti formati da pochi capi-  e la conseguente esclusione di un gran numero di queste dal mercato del biogas, rappresenti una stortura rispetto all’evoluzione che ha caratterizzato il suddetto mercato in Italia.