Nel punto più stretto dello Stretto di Malacca, il cosiddetto Phillips Channel, i chilometri che separano Sumatra dalla costa occidentale della Malesia sono appena 2,8. L’importanza strategica di questo passaggio sulla rotta tra la costa cinese e l’Oceano Indiano è nota dall’antichità, tanto che già nel V secolo d.C. l’impero Srivijaya che aveva la propria base sull’isola di Sumatra pensò di blindarlo facendo costruire sull’altra sponda la città di Temasek, che in malese significa “Città del Mare”. Nell’XI secolo l’avamposto fu conquistato dall’Impero Chola che aveva invece il proprio centro nell’India del Sud. E Temasek fu così ribattezzata Città Leone, in sanscrito Sinhapura, che in malese sarebbe poi diventato Singapura. Attorno al 1510 arrivarono i portoghesi che incendiarono la città nel 1613. Gli inglesi la ricostruirono nel 1819 ribattezzandola Singapore e facendone una “Gibilterra d’Oriente” popolata in maggioranza da cinesi. Nel 1962, quando con la decolonizzazione Singapore decise di fondersi con la Federazione della Malaysia, proprio quella forte presenza cinese rese la convivenza impossibile. Fu per questo che nel 1965 Singapore venne letteralmente espulsa dalla Federazione della Malaysia, e costretta suo malgrado a diventare uno Stato indipendente. Ci è riuscita più che bene, diventando una Tigre d’Asia ricchissima che ha ribattezzato Temasek uno dei suoi due potenti Fondi Sovrani.

Ma torniamo allo Stretto di Malacca.

Gran parte della potenza di Singapore viene oggi dalla manifattura e dalla finanza, ma lo Stretto di Malacca è rimasto uno dei punti di passaggio cruciale del commercio internazionale. Un chokepoint, come lo chiamano al Dipartimento di Stato americano. Si tratta infatti della rotta marittima più breve tra il Medio Oriente e l’Asia Orientale, ossia tra un’area ricca di risorse petrolifere e la regione che oggi costituisce il principale fulcro manifatturiero globale e che ha anche i mercati in più rapida espansione, Cina e Indonesia in primis, ma anche Giappone e Corea del Sud. Questi due ultimi paesi sono infatti i più importanti importatori di gas naturale liquefatto (GNL), il cui primo fornitore su scala mondiale è il Qatar.

Veniamo ai numeri.

Davanti a Singapore, solo nel 2016, è passato petrolio per 16 milioni di barili al giorno (mil. bbl/g), facendo dello Stretto di Malacca il secondo chokepoint più affollato dopo lo Stretto di Hormuz che mette in comunicazione il Golfo Persico con il Golfo di Oman ed il Mare Arabico (18,5 mil. bbl/g. nel 2016). Ma i volumi di Malacca sono in crescita. Basti pensare che dal 2011 il traffico giornaliero di petrolio è cresciuto quasi del 10%. L’85-90% di questo flusso è costituito da greggio, mentre il resto consiste in prodotti petroliferi. Per quanto riguarda il GNL, invece, l’andamento dei volumi negli ultimi 5 anni è stato meno costante ed in calo dal 2014.

Tab. Flussi di prodotti energetici nello Stretto di Malacca

Fonte: EIA DOE

Per la sua ristrettezza il Phillips Channel è un collo di bottiglia naturale, ad alto rischio di collisioni o incagliamenti, incidenti che possono comportare il rischio di versamenti di petrolio in mare. E anche i pirati sono ovviamente attratti dalla zona, come dimostrano i dati ICC sull’aumento degli attacchi nel corso del 2015. Se lo Stretto di Malacca venisse bloccato, più o meno la metà della flotta mondiale sarebbe costretta ad allungare le proprie rotte passando attorno a qualche altra isola dell’Indonesia. Percorsi alternativi potrebbero essere ad esempio quelli dello Stretto di Lombok, tra Lombok e Bali, o dello Stretto della Sonda, tra Giava e Sumatra. Entrambi comporterebbero, tuttavia, un inevitabile aumento dei costi di trasporto, con un altrettanto inevitabile aumento dei prezzi dei combustibili e delle altre merci trasportate.

I chokepoint che collegano Oceano Indiano e Oceano Pacifico

Fonte: EIA DOE

Proprio per ridurre questi rischi e più in generale per alleggerire il traffico marittimo, nel corso degli anni sono stati pianificati diversi progetti che consentono ad alcune merci di bypassare il chokepoint di Malacca. Il più importante a livello energetico è certamente il gasdotto tra Myanmar e Cina che, dopo innumerevoli ritardi e dietrofront, è stato inaugurato nel 2013. Con una capacità di trasporto di 424 miliardi di piedi cubi all’anno, la nuova linea convoglia il gas direttamente dai porti della Baia del Bengala verso la provincia cinese dello Yunnan; e recentemente è stata raddoppiata per consentire anche il trasporto di petrolio. Nell’aprile scorso, infatti, Myanmar e Cina hanno avviato una sezione “gemella” che attualmente trasporta 260.000 bbl/g di greggio e che, a completo regime, dovrebbe coprire il 6% delle importazioni petrolifere cinesi.