Dopo un lungo iter di elaborazione e di consultazioni con le categorie interessate, le linee guida di politica energetica della Strategia Energetica Nazionale (SEN) stanno prendendo forma. Il Ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, ne ha presentato i contenuti in un’audizione parlamentare tenutasi lo scorso 10 maggio. La pubblicazione del documento è attesa per il mese di giugno. Le politiche per l’unificazione dei mercati elettrici nella UE e per la diffusione delle tecnologie di generazione distribuita da fonti rinnovabili occupano posizioni preminenti nella SEN 2017, in vista degli obiettivi del Clean Energy Package per il 2030 e del futuro Piano nazionale clima-energia.

Il contesto. La SEN 2017 considera dati i vincoli ambientali proposti dalla Commissione UE per il 2030 (risparmio energetico annuo dell’1,5%, riduzione delle emissioni di gas serra non-ETS del 33% rispetto ai livelli del 2005, raggiungimento del 27% di quota delle rinnovabili sul consumo complessivo lordo di energia su scala UE). In relazione a questi obiettivi, la SEN è formulata sulla scorta di analisi di scenario in cui si ipotizzano le conseguenze attese delle scelte di ridimensionamento dell’uso del carbone e del nucleare adottate in vari Paesi europei come Francia, Germani e Svizzera. A queste misure si attribuisce la potenzialità di favorire in Europa l’allineamento dei prezzi all’ingrosso verso il basso.

Le proposte. Ipotesi di de-commissionamento delle centrali a carbone sono avanzate anche nelle slides presentate dal Ministro Calenda, su un orizzonte che si estende fino al 2025-2030 e con una riduzione compresa tra 2 e 8 GW al variare degli scenari. Il sistema elettrico convergerebbe verso un nuovo equilibrio caratterizzato da una più ampia quota di produzione da rinnovabili. La strategia dunque privilegia, nel caso di tecnologie vicine alla grid parity come fotovoltaico ed eolico, l’adozione di politiche abilitanti agli incentivi finanziari diretti. In quest’ottica possiamo interpretare le proposte di raddoppio della spesa per la ricerca pubblica sulle energie pulite entro il 2021; il rafforzamento delle reti di trasmissione, con un incremento di 4,2 GW nelle infrastrutture di rete sulla dorsale Sud-Nord; il potenziamento della rete nelle isole al fine di valorizzare il recente ampliamento del cavo Sorgente-Rizziconi; risorse di flessibilità affidate all’idroelettrico a pompaggio; e il lancio, a partire dal 2018, di aste per la capacità. Non a caso, dal gennaio 2018 sarà previsto uno sconto sull’onere per il sostegno alle rinnovabili a favore di circa 3.000 imprese energivore, secondo un piano la cui approvazione è prevista per la fine di maggio 2017 e i cui effetti sull’ammontare dei sussidi alle rinnovabili meriterebbe un approfondimento. Alquanto sfumati, peraltro, sono gli indirizzi riguardanti le tecnologie di stoccaggio e di generazione distribuita, almeno in questa presentazione.

Gli aspetti critici. L’arte della politica economica del clima è ancora adolescente, nonostante siano trascorsi quasi 50 anni dal club di Roma. Gli approcci analitici di maggior diffusione - i cosiddetti Integrated Assessment Models - solo da poco stanno incorporando in maniera credibile aspetti fondamentali per l’economia del cambiamento climatico, legati alla complessità delle interazioni tra individui e tra settori. Data l’ampia incertezza ancora esistente sugli effetti economici del clima, si auspica che l’anticipato raggiungimento degli obiettivi ambientali 2020, giustamente ricordato dal Ministro, non induca un appagamento che è rischioso quanto l’inazione.

In questa prospettiva, il sostegno alle rinnovabili deve continuare con vigore e senza esitazioni. Le energie pulite possono alleviare i costi energetici perché conducono a ribassi nei prezzi all’ingrosso, ma paradossalmente per aiutare le imprese energivore si sottraggono risorse proprio al loro finanziamento.  La SEN sembra piuttosto confidare nel processo di integrazione tra i mercati elettrici nella UE, ritenendo che “dismissioni più o meno spinte di carbone e/o nucleare e crescita rinnovabili permetterà la graduale convergenza di mix a livello UE e conseguente allineamento dei prezzi all’ingrosso”. Si tratta di un eccesso di fiducia alla luce di alcuni risultati messi in luce dalla letteratura economica. In particolare, l’evidenza esistente suggerisce che sostituire il nucleare con le rinnovabili non è condizione necessaria né sufficiente per l’integrazione dei mercati elettrici europei, perché in assenza di un rafforzamento delle reti di trasmissione, non solo in Italia ma nel resto dell’Unione, il nuclear phase-out e la crescita delle rinnovabili possono ostacolare la convergenza tra i prezzi.

Infatti, nella Germania post-Fukushima si è verificata una maggiore persistenza dei picchi di prezzo causati da temporanei cali nella produzione di rinnovabili e una minor frequenza delle ore in cui la rete è integrata con i Paesi confinanti (De Menezes e Houllier, 2015). In particolare, diverse simulazioni hanno dimostrato che, alterando i flussi nella rete, l’abbandono del nucleare esporrà a congestioni più frequenti le linee che collegano la Germania con la Polonia e i Paesi Bassi, nonché la direttrice Nord-Sud all’interno della rete tedesca (simili evidenze sono emerse anche dalle simulazioni riguardanti l’Italia). Ciò impedirebbe la riduzione dello spread tra costi energetici italiani ed esteri altrimenti favorita dal mercato unico europeo. Il coordinamento attivo su scala europea nelle politiche di espansione e rafforzamento delle reti è dunque strategico.

Occorre inoltre considerare che la struttura della proprietà degli impianti condiziona sia gli effetti dell’abbandono del nucleare, sia i risparmi di prezzo ottenibili grazie alle rinnovabili. Un’interessante ricerca condotta dal MIT nel 2015 mostra che la concentrazione di impianti a fonti rinnovabili nel portafoglio di operatori che già producono da impianti convenzionali è deleteria per il benessere dei consumatori: essi infatti possono evitare cali del prezzo dell’elettricità trattenendo artificiosamente la capacità convenzionale. In altri termini, è necessario individuare gli assetti proprietari del parco rinnovabili che siano più favorevoli alla concorrenza. La SEN è sensibile al tema del potere di mercato (si vedano le proposte a favore delle isole) ma senza dubbio i prefigurati investimenti nella rete sarebbero più onerosi per il bilancio pubblico che non la regolamentazione degli assetti proprietari.                    

Promuovere la generazione distribuita è un ulteriore antidoto al potere di mercato, per quanto la socializzazione dei costi di connessione tra gli utenti finali rischi di aggravare il peso della bolletta elettrica. In tal senso sarebbe essenziale destinare una quota significativa dei nuovi investimenti in ricerca e sviluppo a progetti riguardanti le smart grids, poiché, come mostrato dalla letteratura scientifica, in un confronto internazionale tra le politiche di sostegno ai prosumer, le smart grids, alleviando i costi di connessione, ne rendono meno necessaria la socializzazione. In attesa di maggiori dettagli sulla strategia riguardante la generazione distribuita, l’impressione però è che nella SEN 2017 gli obiettivi di abbattimento dei costi di produzione delle imprese siano privilegiati rispetto ai risparmi di spesa per le famiglie. In termini macroeconomici, ciò corrisponde ad un approccio “dal lato dell’offerta” ormai consolidato nella politica economica italiana ma palesemente inefficace, fatalmente cieco agli effetti espansivi che solo un robusto sostegno alla domanda può garantire.