Il repowering fotovoltaico ha ormai superato la dimensione dell’intervento tecnico. Per il Gruppo Sorgenia è una scelta strategica per il sistema Paese: significa aumentare la produzione di energia rinnovabile senza utilizzare nuovo suolo, valorizzando quanto è già stato realizzato e trasformando l’esperienza maturata in un investimento concreto sul futuro.
Pensare che la transizione energetica avanzi soltanto attraverso la costruzione di nuovi impianti sarebbe una banalizzazione di un processo complesso e articolato. Infatti, una parte decisiva del potenziale risiede nella capacità di rinnovare ciò che esiste, ampliarne le potenzialità e renderlo più efficiente significa accelerare il percorso verso gli obiettivi di transizione e, al tempo stesso, restituire competitività al sistema Paese.
Secondo lo studio condotto da Elettricità Futura in collaborazione con Althesys, oltre il 36% dell’obiettivo nazionale sul solare al 2030 potrebbe essere raggiunto intervenendo sugli impianti utility scale con più di dieci anni di attività. È un potenziale reale, misurabile, già disponibile: una leva capace di incidere in tempi certi e con impatti immediati sulla decarbonizzazione e sulla sicurezza energetica.
In questo quadro, il Gruppo Sorgenia crede nel valore della “seconda vita” del fotovoltaico: trasformare l’esistente in nuova energia, facendo dell’innovazione un fattore di continuità e non di rottura. In Emilia‑Romagna abbiamo completato il più grande intervento di repowering fotovoltaico finora realizzato in Italia: sull’impianto di Alfonsine 1 sono stati aggiunti 17 MW, per una potenza complessiva di 52 MW. Ogni anno, oltre 65 GWh di energia rinnovabile verranno immessi nella rete elettrica nazionale — pari al consumo di quasi 25.000 famiglie — evitando l’emissione di circa 14.000 tonnellate di CO₂.
È energia che, non chiedendo utilizzo di nuovo suolo, è in grado di restituire nuovo valore: un esempio di come la transizione possa coniugare competitività industriale, sostenibilità ambientale e consenso dei territori.
Il piano del Gruppo Sorgenia prosegue con ulteriori interventi previsti nei prossimi mesi: 11 MW sull’impianto di Alfonsine 2 (25 MW) e un progetto di sviluppo sull’impianto di Priolo, in Sicilia, che raddoppierà la potenza fino a superare i 30 MW. Una traiettoria che non nasce per replicare ciò che è stato fatto, ma per consolidare un modello industriale scalabile: investire dove esiste già infrastruttura, dove la comunità conosce l’impianto, dove le opere sono integrate nel paesaggio e dove la filiera — dalle imprese ai tecnici — ha maturato competenze e relazioni che rappresentano un patrimonio nazionale.
Impianto di Alfonsine 1

Fonte: Sorgenia
Il repowering offre vantaggi concreti e immediati, non teorici. Permette di ridurre i tempi autorizzativi perché interviene su impianti già in esercizio; consente di abbattere i costi infrastrutturali valorizzando opere, connessioni e aree già destinate alla produzione energetica; elimina nuovo utilizzo di suolo intervenendo su superfici già antropizzate; e riduce significativamente il rischio di conflitto territoriale, poiché non modifica la destinazione d’uso degli spazi ma la potenzia nel rispetto del contesto.
Tuttavia, affinché questo potenziale possa trasformarsi in un autentico pilastro della politica energetica nazionale, è necessario disporre di un quadro normativo stabile, prevedibile e coerente con gli obiettivi di decarbonizzazione.
Il recente correttivo al Testo Unico delle rinnovabili (D.lgs. 190/2024) rappresenta un passo significativo, ma non esaurisce le esigenze del settore. In particolare, la mancata definizione di cosa si intenda per “area occupata” costituisce un’occasione mancata: non chiarire questo concetto lascia spazio a interpretazioni restrittive, che portano a considerare area di impianto soltanto la superficie effettivamente coperta dai moduli fotovoltaici.
Si tratta di una lettura che non riflette la configurazione reale degli impianti né le loro potenzialità di rigenerazione. Nel caso del repowering, infatti, l’area di impianto dovrebbe essere riconosciuta come l’area antropizzata e funzionalmente dedicata all’infrastruttura energetica, dunque l’intera area che rientra nel perimetro della recinzione. Una definizione coerente che permetterebbe di valorizzare pienamente gli interventi, generando maggiore produzione rinnovabile e ottimizzando superfici già trasformate.
Altro passaggio decisivo riguarda la norma sulle connessioni, attesa dal settore per superare l’annoso tema della saturazione virtuale della rete.
Prevedere una priorità di connessione per gli interventi di repowering significherebbe orientare risorse e capacità verso ciò che produce benefici immediati, ottimizza l’esistente e accelera l’immissione di energia rinnovabile nel sistema. È una scelta logica, prima ancora che strategica, per un Paese che vuole crescere con ordine, efficienza e responsabilità.
Per concludere, il repowering dovrebbe essere colto come un’ occasione per dimostrare che la transizione energetica non divide il territorio: lo valorizza. Rigenera valore dove è stato costruito, trasforma l’eredità energetica italiana in futuro e fa della sostenibilità un elemento tangibile e non uno slogan.
Oggi, la tecnologia è matura, le competenze ci sono, gli investimenti sono attivabili e la filiera nazionale è pronta. Il repowering fotovoltaico non è soltanto un’opzione: è una risorsa industriale, ambientale e strategica per l’Italia. Per gli operatori, un impegno da esercitare con serietà e visione.
Per le istituzioni, una traiettoria da consolidare nel tempo. Per il Paese, un futuro da costruire rigenerando ciò che già abbiamo.



















