Il terzo incontro del Dialogo UE sull'automotive ha suscitato numerose reazioni, forse anche superiori a quello che avrebbe meritato un incontro che, sostanzialmente, è come se non ci fosse stato.  Nulla è cambiato, infatti, rispetto a prima. Da una parte, i costruttori (che prima dell'incontro avevano chiesto «un approccio politico pragmatico, più flessibile e tecnologicamente neutrale alla decarbonizzazione del trasporto stradale») hanno invece continuato a chiedere risorse per le infrastrutture e per gli incentivi. Dall'altra, la Commissione ha continuato a «promettere» – sottolineo «promettere» – una non meglio specificata «necessaria flessibilità», ma ha riconfermato l’opzione mono tecnologica a favore della trazione elettrica, promettendo (ancora) un rafforzamento della leadership europea nel settore dei veicoli elettrici e dell'industria europea di produzione delle batterie, peraltro già promesse in altre sedi e in altre occasioni.

Tradotto in italiano: alla domanda di «neutralità tecnologica» (che consiste in un mix di alimentazioni ciascuna mirata, secondo gli orientamenti del mercato, alla mission alla quale è più adatta), la Commissione risponde con la «flessibilità necessaria», che vuol dire tutto e non vuol dire niente, ma finora ha portato solo al rinvio di tre anni delle multe CAFE (anziché farle pagare anno per anno) per le case che non saranno riuscire a rispettare la riduzione dell'impatto fissata per la fine di quel periodo (escludendo, inspiegabilmente e con imbarazzante superficialità, dal rinvio i costruttori HDV). In questo caso «flessibilità necessaria» non vuol dire niente.

E un altro niente è quella che viene presentata come una ciliegina sulla torta: la piccola auto elettrica europea, per la quale saranno scritte nuove regole (quali?), quasi in risposta ai CEO di Stellantis e di Renault, che a maggio avevano fatto notare come tutto il castello normativo messo in piedi dall'Unione favorisca (si fa per dire, il mercato dice altro!) le auto dei segmenti premium. Anche se John Elkan e Luca De Meo, a conclusione della loro intervista  a Le Figaro, non chiedevano di elettrificare le auto piccole (non entriamo in questa sede nelle enormi difficoltà tecniche da affrontare per ottenere un tale obiettivo, nei tempi per raggiungerlo, nei costi per affrontarlo, negli scadenti risultati fin qui ottenuti, nei prezzi da far pagare ai clienti), ma di mantenere la competitività del mercato anche attraverso quella neutralità tecnologica (concreta e non solo proclamata) che tanto infastidisce i fan del full electric.

Ho detto che nulla è cambiato. Non è completamente vero. La situazione è esattamente quella di prima del Terzo incontro del Dialogo, con l’aggravante che adesso c'è sempre meno tempo per una svolta che, invece, è urgente adottare, se vogliamo salvare l'industria automobilistica europea e al tempo stesso definire una road map per la decarbonizzazione e la sostenibilità ambientale che potrebbe partire da subito, abbassando inquinanti e climalteranti, con un sempre più urgente svecchiamento del parco, semplicemente aprendo all'uso di carburanti rinnovabili, oggi già disponibili, il cui impiego favorirebbe lo sviluppo della produzione e il miglioramento della qualità dei prodotti maggiormente richiesti dal mercato, a partire dalle vetture ibride.

Sia ben chiaro, se i concessionari italiani ed europei sostengono questa scelta, basata su un mix di vettori – che non esclude la trazione elettrica, ma la limita ai casi in cui è effettivamente efficace per l'ambiente, per l'economia e per la società – non è per ragioni ideologiche. Al contrario, nessuno più dei concessionari può parlare liberamente della questione, dal momento che la loro mission è quella di vendere automobili, non di promuovere tecnologie o modelli di alimentazione. Essi sono, cioè, degli osservatori indipendenti che plasmano la propria attività sugli orientamenti del mercato, nel rispetto degli obiettivi di decarbonizzazione, consapevoli come sono che, qualunque iniziativa si assuma, alla fine la scelta è sempre quella orientata dal cliente: quella scelta che oggi indica l'impossibilità del mercato di assorbire l'auto elettrica oltre una certa quota (molto bassa) e la chiara preferenza per le versioni ibride alimentate da una quota crescente di carburanti rinnovabili.

Purtroppo, nella sua cieca utopia, la Commissione ascolta solo chi tace e acconsente, tenendo fuori dalle sue consultazioni dirette i concessionari di tutta Europa, che rappresentano invece una voce decisiva della filiera, proprio per la loro costante vicinanza al mercato e la loro diffusione sul territorio. Per fortuna, la posizione dei concessionari coincide con quella espressa da Mario Draghi. Anche nel suo ultimo intervento, a un anno dalla pubblicazione del Rapporto sul futuro della competitività europea, l'ex premier ha detto chiaro e tondo che il divieto di vendita di auto a motore endotermico a partire dal 2035 si basa «su presupposti che non sono più validi». E ha aggiunto quello che noi di FEDERAUTO ricordiamo pressoché quotidianamente, da tempi non sospetti: che «l'installazione dei punti di ricarica dovrebbe accelerare di tre-quattro volte nei prossimi cinque anni per raggiungere una copertura adeguata»; che «il mercato dei veicoli elettrici è cresciuto più lentamente del previsto»; che «i modelli restano costosi e la politica sulle catene di approvvigionamento è frammentata»; che «il parco auto europeo di 250 milioni di veicoli sta invecchiando». Per arrivare alla logica conclusione che «la prossima revisione del regolamento sulle emissioni di CO2 dovrebbe seguire un approccio tecnologicamente neutrale e fare il punto sugli sviluppi di mercato e tecnologici».

Non possiamo che sottoscrivere.