Mentre l'amministrazione Trump porta avanti la sua stravagante politica tariffaria, l’industria energetica nordamericana sta lavorando per attutire le conseguenze di queste scelte. L’intenzione della nuova presidenza  è quella di “liberare l'energia americana” (President Trump's America First Priorities - The White House), in parte imponendo dazi funzionali a rimediare a quelle  pratiche commerciali considerate sleali e a incrementare la produzione energetica degli Stati Uniti. Tuttavia, le tariffe attualmente imposte e minacciate avranno inevitabilmente un impatto sull’industria energetica e sui suoi consumatori. Quelle particolarmente rilevanti possono essere divise in due grandi categorie: (1) le tariffe settoriali, imposte ai sensi della Sezione 232 del Trade Expansion Act del 1962, e (2) le tariffe specifiche per Paese e le “tariffe reciproche” che l'amministrazione Trump ha imposto ai sensi dell'International Emergency Economic Powers Act.

Ad oggi, il Presidente ha già imposto le sanzioni legate alla Sezione 232, con implicazioni sull’industria energetica sia di breve che di lungo periodo.  Le compagnie energetiche, per esempio, devono far fronte ad un aumento dei costi delle attrezzature e delle costruzioni a causa dei forti dazi sull’acciaio, sull’alluminio e sui loro prodotti derivati. Le importazioni statunitensi di tali prodotti, infatti, sono attualmente soggette a una tariffa del 50% senza possibilità esenzione o esclusione (Adjusting Imports of Aluminum and Steel into the United States – The White House). A risentire dell’aumento di questi oneri saranno tutti i comparti del settore energetico, tra cui quelli dell’elettricità, delle energie rinnovabili, delle infrastrutture di trasporto e delle attività di esplorazione e produzione di petrolio e gas. A sua volta, questa maggiorazione dei costi peserà anche sui consumatori finali e, data la lunga vita utile dei beni energetici, potrebbe  avere un impatto pluridecennale sui prezzi.

Anche le tariffe IEEPA su Canada e Messico stanno avendo effetti sul mercato nordamericano dell’energia, in ragione anche della portata che l’import di questi paesi riveste. Secondo il Canadian Energy Regulator, nel 2024 il Canada ha rappresentato il 70,2% dei volumi di idrocarburi importati dagli Stati Uniti (CER - Market Snapshot: Overview of 2024 Canada-U.S. Energy Trade). Stessa dinamica per il Messico, da cui gli Usa nel 2023 hanno importato soprattutto petrolio greggio, la cui quota sul totale energia importata da questo paese si attesta  all’81% (Energy trade value between Mexico and the United States fell in 2023 on lower fuel prices - U.S. Energy Information Administration). 

Le importazioni di energia dal Canada e dal Messico sono soggette rispettivamente a una tariffa del 10% e del 25% e secondo le ultime notizie pare che  Stati Uniti e  Canada non siano  in grado di raggiungere un accordo commerciale, il che potrebbe comportare un’ulteriore innalzamento dei dazi al  35% (Canada Won’t Accept a Trade Deal With the U.S. at ‘Any Cost’ - The New York Times). Dato un aumento dei costi di importazione dei beni negli Stati Uniti, gli operatori del settore energetico devono riconsiderare gli accordi contrattuali a lungo termine per determinare se le strutture di cost-sharing siano ancora sostenibili. Altri sono alle prese con clausole di rescissione e di forza maggiore, in quanto i costi di completamento di alcuni contratti stanno iniziando a superare i ricavi.

Ai dazi di cui sopra, vanno aggiunte le potenziali tariffe sui minerali critici e sul rame previste dal recente accordo commerciale con l’Unione Europea con evidenti implicazioni per il settore energetico. Secondo le nuove disposizioni, è stata concordata una tariffa unica del 15% per la maggior parte delle esportazioni provenienti da quest’ultima, in cambio dell’impegno dell’Unione ad acquistare una quantità significativa di prodotti energetici statunitensi, tra cui GNL, petrolio e combustibili nucleari (Statement by the President on the deal with the United States) pari a 750 miliardi di dollari di controvalore monetario in 3 anni (Trump says U.S. has reached trade deal with European Union as Aug. 1 deadline loomed - CBS News).

I dazi però potrebbero riguardare anche i minerali critici: già lo scorso aprile, l’amministrazione Trump ha avviato un’indagine ai sensi della Sezione 232 sulle importazioni di questi prodotti (Ensuring National Security and Economic Resilience Through Section 232 Actions on Processed Critical Minerals and Derivative Products – The White House). Le stime indicano che in caso di tariffe sostanziali sull’importazione di minerali critici a risentirne sarebbero soprattutto le tecnologie pulite come l’energia solare, eolica, geotermica e nucleare,  idrogeno, nonché i sistemi di accumulo a batteria.

Inoltre, a partire dal 1° agosto 2025 è prevista l’imposizione di dazi del 50% sulle importazioni di rame, che a differenza delle tariffe su acciaio e alluminio, avrà un impatto rilevante soprattutto sull'industria elettrica degli Stati Uniti. Secondo quanto emerso  dall'indagine sulla Sezione 232 vi è il rischio che non si riesca a fare fronte con la sola produzione domestica alla domanda nazionale di rame per i trasformatori, ovvero di componenti essenziali della rete elettrica che regolano le tensioni per la trasmissione e la distribuzione di energia.  Data la limitata capacità di fusione e raffinazione di questo materiale negli Stati Uniti, il forte aumento del costo delle importazioni potrebbe avere un impatto sostanziale sugli oneri e sulla catena di approvvigionamento.

In conclusione, mentre la politica tariffaria degli Stati Uniti continua ad evolversi, per salvaguardare l’industria energetica così come la conosciamo, i mercati energetici del Nordamerica – compresi i loro clienti globali e fornitori – dovranno rivalutare velocemente le proprie opzioni di approvvigionamento, gli accordi contrattuali e le opportunità di aumentare la produzione locale relativamente ai prodotti più critici.

La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di RiEnergia. La versione inglese di questo articolo è disponibile qui