Relatore all’ultima assemblea annuale di Unem, del 10 luglio scorso, il Presidente di Legambiente Stefano Ciafani ci parla di decarbonizzazione, della necessità urgente di implementarla e delle opportunità per l’ambiente, la società e l’economia che da questo processo discendono. Per raggiungerla però, ognuno però deve fare la sua parte: il governo, le associazioni di settore e il mondo ambientalista. Serve una pianificazione seria e certezza sugli obiettivi da raggiungere: driver importanti per gli ingenti investimenti che la transizione energetica richiede.
Decarbonizzare è un processo lungo, difficile e che ha delle implicazioni importanti da un punto di vista economico e ambientale. È tuttavia necessario e come tale va perseguito. Quale è l’approccio più adatto per farlo?
L'approccio migliore da perseguire è quello di abbandonare le contrapposizioni e le ideologie che paradossalmente sono state utilizzate nell’ultimo anno e mezzo di campagna elettorale verso le elezioni europee dello scorso giugno. Anche in Italia, l'attuale maggioranza di governo ha più volte ribadito che non si deve avere un approccio ideologico rispetto al percorso di decarbonizzazione – si vedano i commenti sull'approvazione della Direttiva sulle case green o sul ban alla commercializzazione di veicoli con motore endotermico al 2035. Tuttavia, non si può utilizzare questo concetto dell’approccio ideologico, attribuito spesso agli ambientalisti, per rallentare la decarbonizzazione con argomentazioni che non sono assolutamente pertinenti. Un esempio dà contezza di quello che sto dicendo: si è detto sempre a proposito del regolamento europeo sui motori endotermici che, tra le altre cose, puntando esclusivamente sull'elettrico avremmo favorito la Cina, paese avanti in termini di investimenti e progressi tecnologici in materia di auto elettrica. Tuttavia, proprio in questi giorni è stato concluso un memorandum di intenti con Xi Jinping che mette al primo posto la collaborazione tra Italia e Cina sul tema dell'auto elettrica. La decarbonizzazione è un'operazione seria che il pianeta ci continua a chiedere e gli eventi meteorologici estremi che si stanno abbattendo anche sul nostro paese ne sono la prova tangibile. È un processo che non ha bisogno di slogan ma di politiche serie.
Pertanto, così come sta avvenendo negli USA con l’Inflaction Reduction Act (IRA) o in Cina, seriamente impegnata da anni in materia di elettrificazione dei trasporti, anche in Italia serve impegnarsi per accompagnare concretamente questo percorso che riguarda sicuramente la produzione di elettricità, ma anche la mobilità, l'edilizia, le filiere produttive compresa l'agricoltura, l'industria. E bisogna farlo in maniera tale che il nostro paese non resti indietro.
Tra i settori da decarbonizzare, quello dei trasporti riveste sicuramente un ruolo di primo piano. Quali soluzioni percorrere?
La spinta verso la motorizzazione elettrica muove da seri motivi di natura ambientale e di salute pubblica: in Europa ci sono 250.000 vittime premature all'anno causate dallo smog, 50.000 delle quali riguardano il nostro paese. Pertanto diventa imprescindibile puntare sulla motorizzazione elettrica anche per ridurre le emissioni inquinanti soprattutto nelle grandi aree urbane dove l’inquinamento atmosferico dovuto ai trasporti è maggiore. Un’assunzione, quest’ultima, incamerata sia negli scenari più conservativi di Unem che in quelli più ottimistici di Legambiente. Questo contributo dell’auto elettrica è ovviamente più evidente nella filiera dei trasporti a medio e a corto raggio, mentre sulle grandi distanze, trasporti navali e aerei, l'elettrificazione è una soluzione ad oggi non praticabile.
Per il trasporto pesante, invece, esistono delle nuove soluzioni tecnologiche che, credo sia importante approfondire, come i biocarburanti di nuova generazione, quali il biometano liquefatto, una soluzione che Legambiente spinge già dal 2008, quando lanciò il suo manifesto a sostegno della digestione aerobica. In quegli anni non esisteva tutto il quadro normativo e regolatorio che ora permette di immettere nella rete di distribuzione il biometano ottenuto dall’upgrading del biogas. Anche gli e-fuels e i carburanti decarbonizzati sono una soluzione da sviluppare, soprattutto in questi 11 anni che ci separano dal 2035, quando il regolamento europeo sui motori endotermici dovrebbe entrare in vigore e per quei settori che, come detto, sono più difficili da elettrificare. Questa evidenza però non può essere utilizzata dal nostro governo per chiedere che, così come per gli e-fuels, venga riconosciuta una deroga per i biocarburanti perché questo rischierebbe di rallentare il processo di decarbonizzazione e non lo agevolerebbe. Serve invece un impegno massimo per far sì che questa transizione venga governata bene in questi 11 anni, in modo tale da essere preparati al 2035 e superare tutti quei problemi e criticità che sorgeranno. Per traguardare questo nuovo ambizioso obiettivo, serve fare gli investimenti giusti, evitando gli errori del passato: in tema di biocarburanti, per esempio, bisognerebbe fare attenzione alla produzione del feedstock, evitando l’importazione dell’olio di palma non certificato o l’utilizzo di biomasse destinate al settore agroalimentare, prediligendo quelle di scarto o prodotte su terreni degradati, gli oli di frittura, ecc.
Restando sempre in tema di trasporti e parlando di raffinazione, quale scenario si profila per questo comparto, considerato la sua crucialità anche negli anni a venire? Il ruolo del sistema raffinativo è infatti importante per un duplice aspetto: sia perché alcuni carburanti tradizionali continueranno a coprire buona parte della domanda dei segmenti del trasporto aereo e navale, almeno nel medio termine, sia perché è in grado di orientare la produzione verso carburanti sempre più sostenibili, qualificandosi come un alleato cruciale del percorso di decarbonizzazione del settore trasporti.
Mi riallaccio a quanto detto prima per sottolineare un altro aspetto importante connesso con la decarbonizzazione dei trasporti e che riguarda il comparto della raffinazione. Perché se è chiaro che si va inevitabilmente verso l’elettrificazione dei trasporti, quello che ancora, invece, risulta meno chiaro è capire come fare in modo che la filiera della raffinazione sia accompagnata per evitare i problemi di natura sociale (impatto occupazionale) e ambientale (necessità di bonifica di un sito non più produttivo), che discenderebbero dalla chiusura degli impianti di raffinazione.
Dobbiamo accompagnare questo processo di trasformazione della filiera della raffinazione non in maniera passiva, evitando di fare gli errori già fatti in Italia, come quelli compiuti negli anni '90 nel comparto della chimica. In quel caso il nostro paese non è stato in grado di cavalcare la filiera della chimica innovativa e della chimica verde, costringendoci poi alla chiusura di diversi siti produttivi, con impatti occupazionali importanti, ma anche impatti sanitari per le mancate bonifiche.
Bisogna quindi fare una programmazione seria e organizzata al 2035, ma anche al 2040 perché anche in caso di stop alla vendita di auto a motore endotermico, ci saranno ancora veicoli che circoleranno utilizzando combustibili tradizionali. Questo serve per capire da un lato, come indirizzare la produzione di carburanti per il trasporto leggero, quest’ultimi destinati a diminuire inesorabilmente, e dall’altro come supportare la produzione di combustibili per l’aviazione, al contrario, previsti in crescita.
La pianificazione, inoltre, è funzionale agli investimenti e a dare certezza agli operatori; serve poi chiarezza normativa e che ogni attore faccia la sua parte, che siano le associazioni di settore come Unem, che siano gli ambientalisti come Legambiente e che siano soprattutto i governi. Da parte nostra non mancherà il contributo di idee per fare in modo che questi siti produttivi possano diventare funzionali anche nell’era della decarbonizzazione. Lo stesso stop voluto dalle istituzione europee potrebbe fungere da volano in questa direzione.
Le raffinerie, poi, oltre che per produrre carburanti da petrolio, potrebbero essere convertite per la produzione di carburanti a basse emissioni. Per esempio, nelle aree industriali dove sono presenti delle raffinerie, essendo aree già attrezzate, potrebbero essere realizzati impianti di digestione anaerobica per produrre biometano o degli elettrolizzatori, auspicabilmente alimentati da energia rinnovabile, per produrre l'idrogeno verde, che servirà ad alcuni cicli industriali che non potranno essere elettrificati (come cartiere, cementifici, impianti chimici ecc).
Un’ultimissima domanda: è d'accordo nel ritenere che neutralità carbonica e neutralità tecnologica debbano essere due facce della stessa medaglia?
Questi due temi sono stati usati dalla politica per dividersi su una questione su cui non dovrebbero esistere divisioni. Dovrebbe essere interesse di tutti che l’industria italiana sia più competitiva e per fare in modo che sia più competitiva bisogna investire sulle tecnologie pulite che domani si venderanno in tutto il mondo. In Germania, nonostante la deroga sui e-fuels, stanno continuando a investire in maniera massiccia in tecnologia green perché sanno che tutto il mondo acquisterà i loro prodotti. L’interesse a puntare sulla decarbonizzazione dovrebbe interessare ogni settore compreso quello agricolo che si pone in contrapposizione alle politiche di decarbonizzazione pur essendone il principale beneficiario, visto che il comparto è uno di quelli direttamente più colpiti dal cambiamento climatico.
Per questo non comprendiamo questa disputa molto accesa e bisogna accelerare per trovare soluzioni per fermare la crisi climatica che ci riguarderà sempre più da vicino. La crisi climatica rischia di mettere a repentaglio la vita delle persone, l'equilibrio del pianeta e l'economia mondiale. Se guardiamo all’Italia, il piano nazionale di adattamento climatico, varato dal governo Meloni lo scorso dicembre, evidenzia come nel settore turistico e in quello agricolo il nostro paese perderà quote importanti di mercato se la temperatura continuerà a salire.
La decarbonizzazione va fatta per evitare che l'agricoltura e l'industria vadano a rotoli, e bisogna farla utilizzando le tecnologie migliori che possano garantire di poter fare quello che facevamo prima evitando emissioni climalteranti in atmosfera.
Credo che questo dibattito su queste due neutralità serva solo alla politica per alimentare la confusione e per provare ad acquisire consenso elettorale. E devo dire che anche una parte del settore industriale purtroppo alimenta questa confusione. Facciamo in modo che tutti si lavori per far avere all’Italia un ruolo da protagonista nel processo di decarbonizzazione che, nel 2050 sarà inevitabile, se vogliamo evitare disastri sotto tutti i punti di vista ambientali, sanitari e produttivi. Dobbiamo decarbonizzare il pianeta se vogliamo che l'Italia abbia un ruolo principale. Siamo la seconda manifattura d'Europa e vogliamo fare in modo che la seconda manifattura d'Europa giochi un ruolo importante nelle tecnologie pulite. Fino ad oggi, però, non lo stiamo facendo. Ci sono delle eccellenze straordinarie nel nostro Paese, ma sono frutto dell’abnegazione e ostinazione di alcune imprese, e non godono del supporto delle istituzioni. Faccio un esempio concreto, c'è un unico impianto al mondo che produce il butandiolo – prodotto intermedio per produrre la bioplastica compostabile- da fonte rinnovabile e non dal petrolio. L'unico impianto al mondo sta in Italia, in Veneto, ma questo impianto paga le stesse quote ETS degli impianti che producono il butandiolo dalla filiera tradizionale che utilizza il petrolio. Noi siamo in grado di fare delle cose straordinarie, ma se poi il Paese non ci crede, restano delle realtà isolate, rischiando poi di vederci superati da altri paesi che sostengono queste innovazioni. Tutto ciò va evitato.
Lavoriamo, quindi, affinché il paese non perda più tempo su una questione così decisiva, ma si possa procedere speditamente così come stanno facendo oggi le imprese americane durante la presidenza di Biden e come hanno fatto anche durante gli anni di Trump: ovvero investire sulle tecnologie pulite per poi riesportarle all’estero, in barba alle scelte ambientali del Presidente Federale e alla sua decisione di uscire dall’Accordo di Parigi.