L’Assemblea di Assopetroli-Assoenergia, tenutasi lo scorso 3 luglio a Roma, ha avuto come focus la necessità di riformare la rete carburanti. Di fatto, quando si parla di trasporti, riformare e decarbonizzare sono due facce della stessa medaglia. Decarbonizzare i trasporti non significa altro che ripensare, ridisegnare il settore che è sempre dipeso in maniera preponderante - se non totale - dalle fonti fossili. Ed è proprio da questo punto che occorre partire, perché la transizione va accompagnata avendo piena consapevolezza della realtà dei fatti.
Se osserviamo i dati forniti dall’ultimo Statistical Review of World Energy dell’Energy Institute di BP, noteremo che – in termini di composizione per fonte – nel 2023 le fonti fossili pesano ancora per l’84% della domanda mondiale di energia, un dato che mostra anno su anno cambiamenti molti contenuti. Dieci anni fa, la suddetta percentuale era dell’85%; vent’anni fa era dell’86%. Di fatto, è trent’anni che l’incidenza di carbone, gas e petrolio si muove al di sopra dell’80%, mostrando riduzioni minime. Ciò dà piena contezza del salto quantico che è necessario compiere per arrivare ad una svolta.
La composizione per fonte della domanda di energia mondiale e per area
Fonte: Energy Institute, Statistical Review of World Energy 2024
Anche l’Agenzia Internazionale per l’Energia sembra essersi resa conto, nel suo ultimo World Energy Outlook, che per tenere aperta la porta dello scenario Net Zero su scala mondiale devono compiersi entro il 2030, una serie di circostanze concomitanti e improbabili quali: la triplicazione della capacità da energie rinnovabili; il raddoppio del tasso di decrescita dell’intensità energetica; la diminuzione del 25% della domanda di energia fossile; il crollo delle emissioni di metano. È chiaro che si tratta di uno scenario normativo (ciò che dovrebbe essere) che confligge con lo scenario positivo (ciò che è). E anche se consideriamo lo scenario a Politiche correnti, SPS nella denominazione dell’AIE e nuovo architrave dell’ultima edizione del WEO, le ipotesi alla base sono comunque ambiziose e indicative di un percorso in salita: si parla, ad esempio, di riduzione contemporanea di carbone gas e petrolio entro il 2030, per un’incidenza complessiva che arriva entro il decennio corrente, facendo in pochi anni quello che non si è fatto in trenta. Il tutto ipotizzando anche un rallentamento dell’economia cinese e una spinta decarbonizzazione delle economie emergenti.
Senza entrare nei dettagli, non esiste ad oggi uno scenario di lungo periodo che azzeri il contributo delle fossili. Di ciò occorre tenere conto quando si disegnano le politiche di decarbonizzazione, con la consapevolezza che piani irrealistici o irrealizzabili nella loro temporalità minano gli stessi obiettivi ambientali per cui sono state pensate.
Operare e costruire un futuro senza le fonti fossili non libera il mondo dalla responsabilità di evitare un «vuoto d’offerta», qualora ve ne fosse ancora necessità. Il rischio è altrimenti che si creino profonde tensioni economiche e politiche a livello internazionale, a iniziare da quelli che si avrebbero sul versante dei prezzi che, lo si è visto con le recenti crisi, condizionano ancora ampiamente i conti economici dei paesi avanzati compromettendo le speranze di crescita di quelli emergenti.
Se circoscriviamo l’analisi al settore trasporti, noteremo che il peso del petrolio risulta ancora largamente preponderante: si va da una percentuale prossima all’88% su scala mondiale, a livelli superiori al 90% nell’UE e in Italia.
La dipendenza della domanda del settore trasporti dal petrolio
Fonte: elaborazioni RIE su dati AIE, Eurostat e unem
Una correlazione storica, quella tra petrolio e domanda di mobilità: il punto di partenza su cui occorre lavorare. Nel Libro bianco dell’Unione europea, “Roadmap to a Single European Transport Area – Towards a competitive and resource efficient transport system” (Bruxelles, 28.3.2011) è espressamente indicata la frase «The challenge is to break the transport system’s dependence on oil without sacrificing its efficiency and compromising mobility»: il problema essenziale è dunque creare una diversificazione di fonti energetiche rispetto al petrolio, facendo tuttavia attenzione anche al rischio di perdere i benefici connessi alle economie di scala che il quasi-monopolio di questa fonte ha nel tempo (un secolo) generato.
La fissazione, a livello europeo e a cascata nazionale, di obiettivi e normative sempre più ambiziosi e stringenti sul trasporto su strada rappresenta il primo driver dell’ineludibile trasformazione che il settore conoscerà.
Ma occorre consapevolezza e pragmaticità. Una così forte dipendenza evidenzia, peraltro, la strategicità della filiera downstream italiana, dalla raffinazione alla catena logistico-distributiva.
Una filiera che sta cambiando pelle e che è pronta per avere un ruolo centrale anche nel processo di decarbonizzazione del settore.
Il sistema logistico e la rete carburanti sono asset strategici in grado di contribuire ad una maggiore diffusione dei combustibili low-carbon, ma anche alla realizzazione di una rete efficace di punti di ricarica elettrica ad alta potenza evitando eccessiva occupazione di suolo.
Di fatto, quindi, sono asset in grado di favorire ogni forma di mobilità sostenibile nell’accezione più ampia del termine, e tale da includere la triplice dimensione ambientale, economica e sociale. Da qui l’importanza di una riforma della rete, di un suo riorientamento al fine di accompagnare la transizione, che necessariamente passa anche dalle infrastrutture e dalla capacità di approvvigionamento di un paese.
Per parlare di riforma della rete però, occorre come sempre partire dal punto in cui siamo.
La rete carburanti italiana oggi
In Italia nel 2021 erano presenti 20.921 impianti pubblici di distributori (stradali e autostradali) di carburanti (gasolio + benzina + GPL) che, complessivamente, hanno distribuito 27,4 miliardi (mld) di litri (Gasolio = 17,2 mld di litri benzina = 8,3 mld di litri GPL = 1,9 mld di litri di cui 2 mld di litri venduti nei circa 1500 punti vendita (PV) c.d. «ghost»).
Punti vendita (n) ed erogato medio (milioni di litri)
Fonte: elaborazioni RIE su dati MASE
In estrema sintesi, dai grafici si evidenzia che
- 1.551 PV hanno un erogato quasi nullo (270 litri al giorno);
- 4.331 PV (il 20% della rete) hanno un erogato inferiore a 350 mila litri, ovvero il 2,5% del totale dei litri venduti;
- 5997 PV (il 28,6%) erogano meno di 500 mila litri;
- 1/3 della rete eroga il 5% del totale.
Combinando i dati riportati nei due grafici sopra, si evidenzia come il 20% circa della rete sia insostenibile, con un erogato prossimo al 2% del totale; il 60% circa presenta invece un erogato inferiore alla media UE e solo il restante 19% eroga il 50% del totale ed è in linea con i valori di erogato medio europei. Tutto ciò evidenzia come il settore della distribuzione sia caratterizzato da criticità strutturali che interessano sia la rete ordinaria sia, in misura più accentuata, quella autostradale: numero elevato di distributori, spesso antieconomici, con erogati particolarmente bassi (specie nei punti vendita autostradali, dove gli erogati medi negli ultimi dieci anni si sono ridotti di oltre il 50%) e servizi/attività integrative ancora non sufficientemente diffuse. Giocoforza, la frammentazione determina difficoltà, per la maggior parte delle imprese, a sostenere gli investimenti sia nella realizzazione di nuove infrastrutture che nella modernizzazione dei punti vendita esistenti, per il 40% realizzati negli anni Settanta.
Fonte: elaborazioni Assopetroli-Assoenergia su dati MASE
Risulta quindi necessario un processo di graduale razionalizzazione che conduca ad un erogato medio più in linea con i valori medi europei (2.300 mc/anno) e quindi ad una riduzione dei PV, tenendo comunque conto delle peculiarità storiche del sistema distributivo nazionale, delle specificità del nostro territorio e delle abitudini degli utenti italiani.
Oltre alla razionalizzazione, la riforma della rete deve puntare anche al suo ammodernamento, considerata la sua strategicità per la distribuzione dei nuovi carburanti a basso contenuto carbonico. Uno scenario di riconversione della rete carburanti che tenesse conto dell’adattamento, ammodernamento e razionalizzazione della filiera era stato presentato lo scorso anno in uno studio RIE con Assopetroli-Assoenergia intitolato «Gli effetti ignorati e i costi evitabili della transizione energetica nei trasporti». In quel contesto, uno scenario “as is” in cui si assisterebbe, per la prima volta in un’economia di mercato, alla cancellazione per norma di un settore industriale e di un’infrastruttura di rete creata in decenni è stato messo a confronto con uno scenario di riconversione della filiera logistico-distributiva in cui oltre alla mobilità elettrica vengono contemplate diverse soluzioni a basso impatto carbonico. Dallo studio è emerso come l’investimento complessivo per l’ammodernamento e l’adattamento della filiera alla distribuzione di low carbon fuel liquidi e gassosi, compresi bioetanolo e biometano bio/GNL, è stimabile in 4,2-6,6 miliardi di euro, in funzione del livello di penetrazione di questi ultimi; a questo ammontare occorre aggiungere circa 2 miliardi di euro per smantellamento, bonifica e indennizzi sociali legati alla razionalizzazione.
Cifre complessivamente contenute che permetterebbero la salvaguardia e l’ammodernamento di un asset che sarà ancora strategico per un tempo indeterminato nel soddisfare la domanda di mobilità nazionale; la salvaguardia dell’occupazione nella stessa filiera; il mantenimento di una rete di punti vendita per “ospitare” e favorire lo sviluppo della rete di ricarica elettrica, evitando spreco di suolo e ottimizzando l’utilizzo delle connessioni alla rete elettrica già presenti; una riduzione dei costi e delle criticità inerenti a uno scenario full electric; l’ottenimento di analoghi obiettivi di riduzione delle emissioni.