A fine gennaio Palazzo Madama ha ospitato il vertice Italia-Africa. Un ponte per una crescita comune, fortemente voluto dalla presidente Giorgia Meloni per ufficializzare l’avvio del cosiddetto Piano Mattei, così chiamato in onore del fondatore dell’Ente nazionale idrocarburi (Eni).

Richiamando a Roma la presenza di 46 Paesi africani, 13 capi di Stato, 9 capi di Governo e molti altri leader internazionali, dal punto di vista organizzativo, il vertice ha rappresentato un indubbio successo per l’esecutivo in carica, che parte da presupposti innegabili.

Come esplicitato dalla premier in apertura del vertice, l’obiettivo «è quello di dimostrare che siamo consapevoli di quanto il destino dei nostri due continenti, Europa e Africa, sia interconnesso».

Un’interconnessione che per l’Italia è fondamentale rafforzare. L’Africa detiene il 30% delle risorse minerarie del mondo e il 60% delle terre coltivabili, senza contare che il 60% degli africani ha meno di 25 anni.  Il futuro passa da qui, e il nostro Paese è il candidato naturale per fare da ponte – geografico, politico, culturale – col Vecchio Continente.

I contenuti emersi dal vertice non hanno però soddisfatto le grandi aspettative maturate nel mentre, nonostante il Piano Mattei sia stato posto dal Governo al centro della sua agenda internazionale sin dall’insediamento. I pilastri del Piano sono stati presentati in un documento più breve del presente articolo, suddiviso in cinque priorità – istruzione e formazione, agricoltura, salute, energia, acqua – all’interno delle quali non vengono mai citati esplicitamente i combustibili fossili, stridendo con l’evidente richiamo all’Eni e alla volontà di rendere l’Italia un “hub del gas” per l’area europea e mediterranea.

«Anche se la Presidente non lo ha esplicitamente nominato, in realtà è molto chiaro che nel Piano Mattei le rinnovabili non sono protagoniste; protagonista è ancora il gas, insieme ai disegni Eni sui biocarburanti, scrivono Greenpeace, Kyoto club, Legambiente e Wwf in una nota inviata al Governo. È una visione miope sul futuro energetico del Paese e sul concetto di transizione ecologica. Il suo unico obiettivo pare essere quello di trasformare l’Italia in un hub energetico del gas attraverso una cooperazione che passa dall’Africa e dalle fonti inquinanti, aumentando la dipendenza energetica del Paese».

Come aggiunto da Ecco, think tank italiano sul clima, dal vertice non sono emerse priorità chiare in materia di decarbonizzazione, né una strategia definita su come supportare il continente nero nell’uscita dalle fonti fossili; al contempo, il vertice non ha affrontato l’impatto della crisi climatica in corso sui flussi migratori.

Di fatto, anche le risorse economiche annunciate per dare corpo al Piano Mattei sono limitate, e consistono in ri-allocazioni di fondi già esistenti: in totale si parla di 5,5 miliardi di euro, tra cui 3 dal Fondo per il clima (Fic) gestito da Cassa depositi e prestiti, e 2,5 dalle risorse dedicate alla Cooperazione allo sviluppo.

L’approccio anacronistico e neocoloniale del Piano è stato sottolineato non solo dalle principali associazioni ambientaliste italiane, ma anche dalla rete che riunisce le organizzazioni della società civile africana (Cso), che – ad esempio – vorrebbero «investire nella sovranità alimentare e nell’agroecologia, non nell’esportazione di colture da reddito» come quelle legate alla produzione di biocarburanti.

Nonostante il Piano sia stato descritto come una «strategia non predatoria e non paternalistica», le associazioni africane ritengono che lo sviluppo del documento non abbia seguito un approccio consultivo, e non hanno dubbi sul fatto che il suo obiettivo principale sia quello di espandere l’accesso dell’Italia al gas fossile africano.

«Il Piano Mattei è un simbolo delle ambizioni italiane in materia di combustibili fossili – ha riassunto Dean Bhekumuzi Bhebhe, responsabile delle campagne di Don’t gas Africa – Un piano pericoloso e un’ambizione miope che minaccia di trasformare l’Africa in un mero condotto energetico per l’Europa. Questa ambizione trascura l’urgente crisi climatica e le voci della società civile africana».

Tali preoccupazioni sono state portate direttamente al vertice romano da Moussa Faki, Presidente della Commissione dell’Unione africana. «Avremmo voluto essere consultati» per la stesura del Piano, ha affermato sul palcoscenico istituzionale, aggiungendo che adesso «l’Africa è pronta a discutere i contorni e le modalità della sua attuazione. Devo sottolineare qui la necessità di far corrispondere le azioni alle parole. Capirete che non possiamo accontentarci di promesse che spesso non vengono mantenute».

Al di là delle chiacchiere contano i fatti, e questi ultimi mostrano una crescente volontà d’investire sulle fonti fossili, come testimonia la scoperta avvenuta nei giorni scorsi da parte di Eni (insieme a Total) di un nuovo maxi giacimento di gas a circa 160 km a sud-ovest della costa di Cipro, dal quale poter estrarre 4,2 milioni di metri cubi di gas al giorno, nonostante l’Agenzia internazionale dell’energia abbia raccomandato – per rispettare gli obiettivi di decarbonizzazione – di non portare avanti nuovi progetti upstream di petrolio e gas.

Rispetto al Piano Mattei «la strada che l’Italia deve seguire – hanno concluso nel merito le associazioni ambientaliste – è un’altra: quella fondata sulle rinnovabili che devono rappresentare l’asse portante della politica di decarbonizzazione dell’Italia e sostituire le fonti fossili. Il Paese ha tutte le carte in regola per diventare l’hub delle energie rinnovabili puntando su fonti pulite, efficienza, reti e accumuli, ma perché ciò avvenga è necessario un approccio di leadership audace, innovativo e inclusivo, e che punti anche ad un aggiornamento ambizioso del Pniec».

Ovvero il Piano nazionale integrato energia e clima che, nell’attuale versione proposta dal Governo Meloni, è stato accolto criticamente non solo dagli ambientalisti ma anche dalla Commissione europea e dall’Ocse. Il Pniec dovrà dunque essere nuovamente aggiornato: entro il 30 giugno 2024 è attesa la versione definitiva.