25 aprile 2023, Pointe-Noire, Repubblica del Congo. Claudio Descalzi, AD di ENI, incontra il presidente Denis Sassou Nguesso. Sullo sfondo della città portuale congolese, Descalzi e Nguesso celebrano l’inaugurazione del primo progetto di liquefazione di gas naturale “Congo LNG”. 29 luglio 2023, San Pietroburgo, Russia. Nguesso figura tra i Capi di Stato dell’ambasciata africana nell’album fotografico dell’ultimo Summit Russia-Africa. Dal comunicato ufficiale dell’incontro con Putin si evince la volontà di una stretta cooperazione soprattutto nel settore energetico.
Due visite, quelle sopramenzionate, non direttamente collegate fra loro, ma che colgono alla perfezione quanto il grado di penetrazione russa in Africa possa potenzialmente minare gli sforzi italiani per una nuova via africana. Pur rimanendo ad oggi un attore economicamente poco più che irrilevante in loco, la Russia non percepisce più l’Africa come mero accessorio, ma perno fondamentale della propria rinnovata agenda estera. Basti pensare che nell’ultimo Concetto di politica estera rilasciato nel marzo dello scorso anno il paragrafo concernente l’Africa è addirittura più consistente rispetto a quello dell’Asia-Pacifico.
Il Cremlino ormai gode di ampia versatilità in ogni quadrante africano. In Nord Africa, fa affari con i paesi rivieraschi nei settori più disparati: dalla costruzione del quarto reattore della centrale nucleare di El Dabaa in Egitto al viavai del viceministro alla Difesa russo Evkurov in Libia con la speranza di strappare la concessione di una base navale che funga da perno delle operazioni russe nel Mediterraneo centrale. Quest’ultima cagione di non pochi malumori tra i funzionari romani, ove si teme il dispiegamento di sottomarini a propulsione nucleare potenzialmente in grado di nuocere la proiezione marittima italiana e di tenere sotto scacco il nostro Belpaese.
Persino in Algeria, oggi fondamentale per la nostra sicurezza energetica, non manca una proficua collaborazione con il Cremlino. A dispetto delle ultime frizioni tra Mosca ed Algeri in risposta alle operazioni russe in Libia e Mali, la collaborazione tra i due Paesi è degna di nota non solo all’interno del formato dell’OPEC+. Nel 2020 l’algerina Sonatrach e la russa Lukoil hanno sottoscritto un MoU per la prospezione di idrocarburi, mentre a settembre dello scorso anno Rosatom e COMENA hanno espresso la volontà di collaborare nell’ambito delle tecnologie nucleari.
In Africa centrale, Mosca intrattiene stretti rapporti con la Repubblica centrafricana dove si discute circa il sito che ospiterà una futura base militare russa e con la Repubblica Democratica del Congo ove i sentimenti pro-russi sono in forte ascesa. La Russia gode del benestare di diverse cancellerie anche nell’irrequieto Sahel, dove le giunte militari dei tre dell’Alleanza degli Stati del Sahel (Burkina Faso, Mali e Niger) intrattengono rapporti privilegiati con il Cremlino, confermati dalla visita del 16 gennaio del Primo ministro nigerino Ali Mahamane Lamine Zeine a Mosca e dalla richiesta di un contingente militare russo a protezione del leader golpista Ibrahim Traoré ad Ouagadougou.
Nel Corno d’Africa la Russia è impegnata in un’operazione di strenuo corteggiamento nei confronti di Asmara per la concessione di una base navale sul Mar Rosso e per lo sfruttamento della logistica legata al porto di Massawa. La penetrazione russa in Africa non spaventa infatti l’Italia solo nel vicino Mediterraneo. Oggi l’Italia vorrebbe sì essere un “ponte naturale tra l’Europa e l’Africa”, ma da Roma si guarda ben oltre le nostre immediate sponde opposte del Mediterraneo. Lo dimostra la visita volta a rilanciare l’immagine italiana nel Corno d’Africa di Giorgia Meloni in Etiopia, paese che all’ultimo Summit Russia-Africa di San Pietroburgo ha siglato un accordo con Rosatom per lo sviluppo del nucleare civile.
Al di là della cooperazione in materia di difesa veicolata mediante l’esportazione di armamenti e l’intervento da parte dei corpi mercenari russi (già Wagner, ora riconvertiti in “Africa Corps”), la Federazione Russa oggi abilmente padroneggia anche altri strumenti, quali le campagne di disinformazione. Proliferano, infatti, nello spazio virtuale africano i troll russi, facilitati nella loro azione dalla stipula di partenariati tra Sputnik, RT e le agenzie di stampa locali. Cavalcando l’onda dei radicati sentimenti antioccidentali esito delle passate stagioni coloniali, la Federazione oggi capitalizza sul proprio passato non predatorio in quell’area di mondo e sulla solidarietà sovietica ai movimenti di liberazione africani durante la decolonizzazione. In un frangente temporale in cui la Russia è nuovamente in Guerra Fredda con l’Occidente, Mosca diventa centro di gravità per tutti quei paesi del cosiddetto Sud Globale che guardano il mondo attraverso la lente della multipolarità. Dei BRICS fanno, non a caso, parte dal 2023, oltre al Sudafrica, anche Egitto ed Etiopia, in un formato che è destinato a raccogliere nuove adesioni nel futuro prossimo.
La volontà di rilancio dell’immagine italiana in Africa mediante il neonato Piano Mattei si scontra dunque necessariamente con l’ingombrante presenza russa. Un piano, quello intitolato al fondatore di ENI, che pone l’accento su cinque settori chiave (istruzione, agricoltura, salute, energia ed acqua) già da tempo oggetto dell’attenzione del Cremlino. Esempi lampanti sono il Memorandum firmato lo scorso luglio tra il Regno di Marocco e il colosso russo Rosatom per lo sviluppo di soluzioni di desalinizzazione e purificazione dell’acqua o la proliferazione dei centri culturali russi in Kenya, Zimbabwe, Uganda, Tunisia e altri paesi ancora. Retaggio dell’epoca sovietica, quello della formazione è uno strumento già collaudato in epoca sovietica, come dimostrato dal crescente numero di borse di studio erogate dai principali atenei universitari e promosse dalle ambasciate russe in loco.
Mosca, insomma, è tornata in Africa per restarci. Tracciata un’indelebile cortina di ferro ad Est con la questione ucraina, è proprio dall’Africa che la Federazione potrebbe essere in grado di lanciare un nuovo guanto di sfida al binomio NATO-Unione Europea. Con i dossier energia e flussi migratori che rischiano di diventare un’arma, l’Italia necessita di farsi alfiere di un piano maggiormente strutturato e di lunga veduta che guardi al continente non solo dal punto di vista economicistico, pena l’ulteriore e definitiva estromissione dell’Italia dal continente del domani.