Quello della distribuzione del gas naturale è un mestiere difficile e assai complesso, che in questi ultimi anni, in particolare, vede molti operatori, generalmente di dimensioni medie e piccole, sempre più in difficoltà.
La complessità a cui facciamo riferimento però, non è quella tecnico-operativa, perché in Italia da questo punto di vista siamo ben attrezzati, con vasta esperienza e disponibilità di professionalità di assoluto livello. La questione è il contesto normativo e regolatorio nel quale i gestori del servizio di distribuzione gas operano, non più adeguato a rappresentare la situazione attuale del settore, né tantomeno quella che ci si può ragionevolmente attendere nei prossimi anni.
La regolazione di settore, sin dal suo avvio, ha richiesto agli operatori importanti recuperi di efficienza, riducendo, in particolare e costantemente, la componente a copertura dei costi operativi; ma dall’avvio dell’attuale periodo regolatorio 2020-2025, con la Delibera 570/2019/R/gas e gli atti successivi, si è osservato un inasprimento significativo della contrazione di tale componente che comporta la riduzione dei ricavi ammessi e, di conseguenza, dei flussi di cassa utili per ripagare il debito delle società e autofinanziare gli investimenti. Tali recuperi di efficienza, già di per sé difficilmente sostenibili da parte di molti operatori di piccole e medie dimensioni, si sommano oggi agli effetti dell’incremento generalizzato dei costi per servizi, lavori e materiali dovuto all’effetto congiunturale dell’impennata dell’inflazione che abbiamo subito in questi ultimi due anni.
La componente riconosciuta a copertura dei costi operativi si riduce del 6,59% all’anno per gli operatori di piccole dimensioni, del 4,79% all’anno per quelli di medie dimensioni, mentre è del 3,53% la riduzione richiesta agli operatori di grandi dimensioni.
Ancorché con le differenze sopra citate in relazione alla dimensione degli operatori, ed è peraltro difficile comprendere perché i maggiori recuperi di efficienza siano richiesti agli operatori di minori dimensioni, questa riduzione dei costi operativi è imposta a fronte di un indice generale dei prezzi al consumo in incremento, su base annua, del 5,7% nel 2023 e dell’8,1% nel 2022, con un picco mensile dell’11,6% nel dicembre 2022.
Ed è chiaro che gli effetti, essendo di segno opposto, per gli operatori si compongono. Negli ultimi 15 anni, dal 2010 ad oggi, la componente a copertura dei costi operativi della distribuzione si è ridotta di quasi il 40%, in termini nominali, ma se consideriamo l’indice Istat di rivalutazione monetaria occorre sommare un ulteriore 26% circa per stimare l’effetto della riduzione di tale componente in termini reali.
E non è l’unico motivo generale di incremento dei costi operativi per il distributore gas dovuto a fattori esogeni fuori dal proprio controllo: il rinnovo del CCNL di settore introduce un incremento dei costi del personale non trascurabile, e che difficilmente può essere compensato con un ricambio generazionale visto l’allungamento dei tempi per accedere alla pensione per le persone con maggiore anzianità di servizio e quindi costi più elevati; l’incremento dei costi per la conservazione dei dati di misura dei contatori elettronici, visto l’elevato e, per sua natura sempre crescente, numero di dati che è richiesto ai gestori di acquisire e conservare; ovvero ogni altro onere che periodicamente emerge per effetto di altre normative nazionali cui i gestori del servizio di distribuzione non sono certamente esenti.
A titolo esemplificativo citiamo soltanto gli ultimi obblighi, in ordine di tempo, emersi ad esempio dalla normativa sul whistleblowing (segnalazione di condotte illecite) o dalla disciplina in tema di digitalizzazione prevista dal nuovo Codice dei contratti pubblici.
C’è poi la componente a copertura dei costi di capitale, per la quale il tasso di remunerazione del capitale investito è stato incrementato, e solo a partire dal 2024, al 6,5%, in un contesto nel quale il valore del tasso Euribor 6m è quotato nell’intorno del 4%, quindi con uno spread che rischia di essere insufficiente rispetto al margine generalmente applicato dal sistema creditizio.
E sono anche in questo caso gli operatori di piccole e medie dimensioni a soffrire maggiormente la situazione, dovendo generalmente fare maggiore ricorso a finanziamenti esterni, e più onerosi rispetto a quelli cui riescono ad accedere gli operatori di maggiori dimensioni; questo, infatti, si traduce nell’obbligo di fare investimenti in perdita, perché il costo del capitale è superiore alla sua remunerazione.
E anche il deflatore degli investimenti lordi è ben lontano dal rappresentare l’effettivo incremento dei costi, andando a compensare soltanto in misura molto parziale l’effetto al quale abbiamo accennato sopra.
La situazione complessiva è peraltro sensibilmente peggiore per quegli operatori che gestiscono concessioni di distribuzione gas c.d. Post Letta, assegnate cioè a seguito delle gare effettuate ai sensi del citato decreto legislativo di liberalizzazione del mercato gas, nel periodo tra l’emanazione, nel 2000, e il 2011 quando è intervenuta la modifica dei criteri per l’effettuazione delle gare sulla base degli ambiti territoriali minimi (decreto del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni e la coesione territoriale 19 gennaio 2011).
Giova qui ricordare in particolare che, nella fase finale di celebrazione di queste gare mono comunali ovvero in quel periodo (2007/2010) in cui si stava formando la normativa riguardante gli ambiti territoriali minimi, le centinaia di procedure competitive aggiudicate hanno visto una larga partecipazione di soggetti di varie dimensioni che si sono confrontati per guadagnare un posizionamento territoriale in vista delle future gare d'ambito: questa serrata competizione ha portato ad aggiudicazioni a canoni particolarmente elevati, generalmente da un minimo del 30% fino anche al’80% del vincolo dei ricavi. Non è peraltro superfluo ricordare che in fase di valutazione delle offerte di gara gli operatori considerassero un periodo di affidamento di 12 anni, come prevedeva la normativa di allora, e non una sorta di perpetuity come di fatto si è trasformata a seguito dello stallo delle gare d'ambito e di successivi orientamenti giurisprudenziali.
Senza dilungarci oltre su tutti gli aspetti normativi che meriterebbero uno spazio adeguato, ci limitiamo ad evidenziare che queste concessioni sono gestite con canoni estremamente onerosi, senza che questa componente venga in qualche modo riconosciuta dal Regolatore, introducendo così peraltro un chiaro effetto discriminatorio rispetto a tutte le altre gestioni, affidate prima dell’entrata in vigore del Decreto Letta e ormai scadute, secondo un paradosso tutto italiano che penalizza coloro i quali gestiscono concessioni ottenute in virtù di gare effettuate in ottemperanza alla normativa vigente.
La necessità di garantire l’equilibrio economico-finanziario della gestione trova, peraltro, conferma anche nell’ambito del Codice dei contratti pubblici, in tutte le versioni che si sono succedute nel corso degli anni, in linea con la definizione di quei principi generali che sono applicabili anche ai contratti di concessione di un servizio di interesse generale come la distribuzione gas.
Per tutto quanto sopra accennato, negli ultimi anni sempre più operatori hanno cominciato ad avere bilanci con un conto economico negativo; vuoi perché gestiscono concessioni Post Letta eccessivamente onerose, ma anche a causa del sovraindebitamento che ha comportato in quest’ultimo periodo anche il raddoppio dei costi per oneri finanziari; oppure ancora perché da qualche anno hanno smesso di effettuare investimenti in attesa di gare su base Atem che non si sono mai svolte. Il tutto senza la necessaria copertura della regolazione tariffaria.
La regolazione, infatti, dovrebbe garantire al gestore, le risorse utili a far fronte ai propri obblighi tecnico-operativi e di gestione in sicurezza delle reti, ma anche flussi di cassa sufficienti a coprire il servizio del debito, autofinanziare gli investimenti e in generale remunerare i fattori produttivi.
Perché, se da un lato le capitalizzazioni della manutenzione straordinaria e dei costi del personale possono dare (un effimero) ossigeno al conto economico, questo non si traduce in un efficace incremento dei flussi di cassa operativi, quelli cioè che servono all’equilibrio economico-finanziario degli operatori.
E il problema sembra essere soltanto all’inizio.
È, in conclusione, assolutamente necessario e prioritario analizzare lo stato del meccanismo attuale di riconoscimento dei costi della distribuzione del gas naturale, valutarne in maniera oggettiva gli effetti in termini di coerenza tra costi riconosciuti e costi reali, e verificarne la compatibilità con l’assoluta necessità di garantire la sicurezza e la qualità del servizio. E questo con riferimento a tutti gli operatori, di ogni dimensione e per ogni tipo di concessione.
Quanto sopra, unitamente alla altrettanto necessaria revisione della normativa che regola il settore, per tenere conto del contesto generale, profondamente mutato, nel quale la distribuzione gas va ripensata secondo un nuovo assetto che consideri e valorizzi il ruolo strategico delle reti nell’orizzonte temporale della transizione ecologica, e della sfida tecnologica legata all’immissione nelle reti cittadine dei gas rinnovabili e dell’idrogeno.
Una normativa che, con una visione di lungo periodo, e unitamente alla regolazione di settore, renda sostenibile da parte di tutti gli operatori, la gestione delle infrastrutture energetiche, a beneficio dell’interesse generale, risolvendo in primis la questione delle gestioni Post Letta e introducendo meccanismi di incentivazione alle aggregazioni tra operatori medi e piccoli al fine di creare soggetti dimensionalmente più adeguati e incrementare la concorrenza nel settore.
L’auspicio è che si giunga rapidamente ad una revisione organica del contesto normativo e regolatorio, senza attendere la spinta, come troppo spesso accade, di eventi particolarmente negativi che scuotono anche l’opinione pubblica.