Sono passati 12 mesi da quando l’UE ha interrotto le importazioni via mare di petrolio russo e stiamo per avvicinarci al traguardo di un anno dal momento in cui è entrato in vigore l’embargo europeo ai prodotti petroliferi. Una applicazione ampia delle sanzioni impone limiti all’utilizzo di vascelli europei, così come servizi assicurativi e altri servizi ausiliari per qualsiasi esportazione petrolifera russa verso parti terze.

Prima dell’introduzione di questi embarghi soltanto Iran e Venezuela erano soliti operare in questo mercato nero del petrolio, ricorrendo, ad esempio, allo spegnimento del proprio segnale di geolocalizzazione. Con l’entrata in vigore degli embarghi europei, vi è stato inserito anche il petrolio russo. Sebbene la maggioranza di quest’ultimo  non sia esportata in totale segretezza, le compagnie russe sono rimaste danneggiate dalle sanzioni e la flotta operante in questa fetta di mercato è solitamente gestita attraverso una struttura di proprietà poco trasparente.

Lo scorso maggio, Iran, Russia e Venezuela hanno così raggiunto esportazioni di greggio e condensati per un volume di circa 5,7 milioni di bbl/g, un record negli ultimi quattro anni e un 15% di incremento su base annuale.

Questo record è stato raggiunto principalmente grazie all’aumento delle esportazioni di Iran e Russia, nonostante le sanzioni. I volumi di greggio/condensato usciti dall’Iran hanno sorpassato 1,5 milioni di bbl/g  a maggio, in ragione di una domanda incrementale proveniente dalla Cina e grazie a una crescente produzione interna. Nuovo record è stato poi raggiunto a novembre, quando è stata superata la soglia 1,6 milioni di bbl/g.

Similarmente, anche la Russia ha accresciuto le proprie esportazioni di greggio (CPC Blend & KEBCO) fino a toccare i 3,6 milioni di bbl/g a maggio, nonostante il perpetrarsi dell’embargo europeo e l’annuncio dei tagli di OPEC+. Complessivamente, su base annua, nel 2023 le esportazioni di greggio russo si sono attestate mediamente a 3,3 milioni di bbl/g, un incremento di 100.000 bbl/g rispetto al 2022 e di 300. 000 bbl/g rispetto il 2021.

La bravura di Mosca è stata quella di trovare compratori alternativi per il proprio greggio, quali l’India, che ha assorbito circa il 50% dell’import russo nel 2023, a fronte di appena il 20% registrato l’anno prima. La Cina, invece, ha contato per il 40% delle esportazioni russe, con un aumento del 10% su base annua.

Spostandoci nel continente americano, le esportazioni del Venezuela sono aumentate per via di un output petrolifero più sostenuto e per acquisti maggiori da parte degli Stati Uniti. La previsione indica livelli di esportazione ancora superiori nel prossimo futuro in riflesso al recente allentamento delle sanzioni americane, anche se la deroga al regime sanzionatorio concessa da Washington rimane tutt’altro che scontata.

Un aumento dell’export in questi paesi ha fatto sì che il numero di petroliere attive in questo mercato opaco raggiungesse valori record nel secondo trimestre 2023, così come i volumi di greggio commercializzati. Un numero rende bene l’idea: nel trimestre in esame, si sono potute contare 1.070 petroliere che hanno trasportato greggio/condensato, DPP e CPP da Iran, Russia e Venezuela.

Di queste, i vettori russi di greggio e prodotti hanno rappresentato l'80%. La loro presenza in questo mercato opaco ha determinato, inoltre, nel periodo che va dal 5 dicembre al 5 febbraio un aumento del numero di petroliere di più piccole dimensioni. Non a caso, nel 2023, gli Aframax e navi di  classi più piccole hanno assorbito il 75% della flotta, con un aumento di 30 punti percentuali su base annua.

In questo quadro, però, merita rilevare come l’attività opaca del mercato delle navi cisterna subisca un rallentamento nell’ultimo trimestre del 2023, in ragione degli sforzi degli Stati Uniti di implementare pedissequamente il price cap sul petrolio russo nell’ambito delle sanzioni a Mosca: una misura che potrebbe limitare il numero di operatori disposti a partecipare a questo commercio. Infatti, se tra il 2021 e il 2023 la flotta del mercato opaco era costituita per 75% da navi russe, ciò era stato possibile in parte grazie al fatto che la Russia è riuscita a trovare acquirenti indiani e cinesi disposti ad acquistare il suo greggio scontato.

Allo stesso modo, una minore domanda di greggio da parte della Cina, prevista per il primo trimestre 2024, potrebbe ridurre il numero di navi cisterna che partono dall’Iran, in continuità con quanto registratosi sul finire del 2023. Uno scenario che potrebbe assumere delle tinte ancora più fosche, in caso di escalation in Medio Oriente, causando un surplus di tonnellate di greggio o prodotti sul mercato opaco. La crisi, infatti, e la scarsa domanda cinese ridurrebbe notevolmente l’export iraniano di greggio/condensato, lasciando inattive le petroliere della flotta.

In questo ultimo caso, i rischi in termini di sicurezza sarebbero molto più alti, il che potrebbe allontanare le petroliere dai porti iraniani e persino avere un impatto sulle petroliere non iraniane presenti nel Golfo Persico. Nel caso di un’escalation, un transito più rischioso nel Golfo Persico porterebbe a un numero di navi cisterna inattive maggiore nel mercato opaco, con conseguente surplus di tonnellaggio poiché queste navi cisterna avrebbero difficoltà a trovare impieghi nel commercio secondo le regole internazionali, dati i profili di rischio. Inoltre, l’impatto di maggiori rischi e perciò costi maggiori per la flotta di navi cisterna che rispettano le regolamentazioni internazionali andrebbe a ricadere sui consumatori, divenendo un ulteriore fattore di pressione inflazionistica sui prezzi.

La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di RiEnergia. La versione inglese di questo articolo è disponibile qui