Se nel 2050 il mondo deve raggiungere le emissioni zero (nette), l’ultima auto con motore a combustione deve essere venduta nel 2035: calcolando una vita utile del mezzo di 15 anni, in questo modo al 2050 non ci saranno più in circolazione “stufe che camminano”. È il ragionamento – senza dubbio elegante nella sua semplicità – che ha portato le istituzioni europee a indicare nel 2035 la data dello stop alla vendita di auto con motore a combustione. Un ragionamento corroborato dall’efficienza e dalla semplicità dei motori elettrici, dal progresso della tecnologia delle batterie e dagli indubbi vantaggi del vettore elettrico. Un ragionamento che nell’ultimo anno almeno ha dovuto fare i conti con resistenze non previste da chi, sulla base di quel ragionamento, aveva stilato tabelle di marcia a ritmi piuttosto serrati. Resistenze soprattutto da parte di chi l’auto la deve comprare – e non solo in Italia.

Si è allora tornati a riflettere sulle possibili alternative, pur tenendo fisso, in prospettiva, il primato dell’elettrico soprattutto nel trasporto leggero, ma affiancandovi soluzioni complementari. Calcolandone costi e benefici, anche in termini di riutilizzo delle infrastrutture esistenti. La domanda è: si possono raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione del trasporto stradale affiancando all’elettrico altre tecnologie che facciano leva sul motore a combustione, e che quindi possano evitare quello che è stato chiamato “l’effetto Cuba”, cioè una progressiva obsolescenza del parco circolante, la cui evoluzione verso l’elettrico come unica via è significativamente ostacolata dalle barriere (per lo più economiche) all’ingresso?

Fa parte di questo percorso lo studio curato da Rie per Assopetroli-Assoenergia, presentato la scorsa estate in occasione dell’assemblea dell’associazione che rappresenta gli operatori della distribuzione carburanti. Lo studio illustra uno “scenario multifuel” che non punta solo sull'elettrico: tra il 2035 e il 2040 i veicoli circolanti in Italia potrebbero consumare 9 Mtep di carburanti a basse emissioni, pari a poco più di un terzo della domanda del settore dei trasporti, con il resto affidato a elettricità e carburanti di origine fossile. Di queste 9 Mtep – nelle proiezioni di Rie – 3 Mtep sarebbero Hvo, 2,5 Mtep biometano, 1,5 Mtep bioGPL, una Mtep biodiesel Fame, 0,5 Mtep e-fuel e 0,5 Mtep bioetanolo. Secondo le stime  del centro di ricerca di Bologna, i costi per la realizzazione di questo scenario variano tra 4,2 e 6,6 miliardi di euro, cui si andrebbero ad aggiungere 1,9 miliardi di euro per la chiusura di parte dei punti vendita attuali. Questo permetterebbe, tra l’altro, di salvaguardare una filiera – quella della rete carburanti – che oggi dà lavoro a 94mila persone.

Una rete di distribuzione, quella italiana, che è da sempre caratterizzata da inefficienze e ridondanze – circa 21.700 punti vendita con un erogato medio di 1,3 milioni di litri, entrambi numeri fuori scala rispetto ai pari europei. Secondo lo scenario Rie, al 2035-2040 questa rete dovrebbe perdere circa un terzo dei punti vendita per arrivare a 15mila; di questi, 7.500 stazioni di servizio sarebbero equipaggiate per erogare biometano; 3.000 con bioGNL; e tutte erogherebbero carburanti a basse emissioni; mentre i depositi fiscali dovrebbero passare da circa 250 a 200 e quelli commerciali da 1.600 circa a 1.250. Il tutto a fronte di una riduzione dei consumi che passerebbero dai 30,6 Mtep del 2021 a 26 Mtep, per via del miglioramento dell’efficienza autoveicoli e del cambiamento dei comportamenti individuali di mobilità.

Ma cosa sono i carburanti a basse emissioni? La definizione include prodotti già sul mercato come il biodiesel Fame (miscelato massimo al 7% con il gasolio), il biometano e il bioGNL (prodotti chimicamente equivalenti al metano fossile ma ottenuti dalla digestione di matrici biologiche) e il bioGPL, ma anche prodotti in fase di sperimentazione e sviluppo come gli e-fuel.

I due prodotti attualmente più “caldi” sono l’Hvo e il biometano. Il primo è già distribuito sulle nostre strade “in purezza”, cioè non miscelato con il gasolio fossile, in circa 700 punti vendita, e dispone di una significativa base produttiva industriale in Italia. Discorso analogo per il biometano, oggetto di forti politiche di incentivazione e in fase di decollo, ma che già ha consentito di decarbonizzare buona parte dei consumi di metano per autotrazione.

Entrambe le soluzioni, sottolinea lo studio Rie, possono valorizzare il patrimonio industriale e infrastrutturale del nostro Paese, che ancora dispone di 13 raffinerie, di cui due bioraffinerie, circa duemila depositi e, appunto, 21.700 punti vendita. Per contestualizzare i numeri, nel 2022 in Italia si sono consumate 24 milioni di tonnellate di gasolio auto, con una capacità di raffinazione tradizionale di 87,25 milioni di tonnellate/anno e lavorazioni per quasi 70 milioni di tonnellate. Nel 2021 (ultimo dato disponibile) Eni ha prodotto dalle bioraffinerie di Gela e Marghera 585.000 tonnellate di Hvo. La capacità di raffinazione dei due impianti è di 1,1 milioni di tonnellate, dovrebbe arrivare a due milioni di tonnellate/anno nel 2025 e a 6 nel 2035. Ipotizzando dunque consumi di gasolio auto costanti e un tasso di utilizzo del 100% degli impianti al 2035, Eni potenzialmente riuscirebbe a coprire fino ad un quarto della domanda di gasolio auto in Italia con Hvo. Ma molti sono i produttori internazionali che guardano con interesse al mercato italiano, da Neste a Preem, da Total a Repsol. Una produzione che ha consentito di decarbonizzare anche i consumi di GPL – ancora l’alimentazione alternativa preferita dagli italiani – grazie alle circa 40mila tonnellate l’anno di bioGPL che dell’Hvo è un “sottoprodotto”.

Dopo l’introduzione della direttiva Dafi sui carburanti alternativi, nel 2016, l’Italia è diventato in pochi anni uno dei principali mercati del GNL per autotrazione, grazie soprattutto agli investimenti delle società della distribuzione carburanti. Questo ha fatto nascere e crescere un importante mercato – per quanto di nicchia – dei mezzi pesanti alimentati a GNL – entrato in crisi negli ultimi due anni per via dei prezzi esorbitanti del metano. Discorso analogo per il GPL, che oggi può contare su una rete di quasi 5.000 punti vendita. Dopo l’introduzione dell’obbligo, nel 2022, di distribuire una quota di carburanti bio in purezza, la rete ha risposto in maniera altrettanto rapida, fornendo al mercato e agli automobilisti la possibilità di fare il pieno di Hvo in centinaia di punti vendita. Se dunque il quadro normativo e la direzione dello sviluppo sono chiari, la distribuzione carburanti ha dimostrato di saper rispondere alle sfide.