Il 24 febbraio 2022 la Russia invadeva l’Ucraina; al netto di tensioni storiche tra i due paesi, quel giorno sancì l’inizio di un conflitto che dura ancora oggi e che ha provocato danni incalcolabili ed una perdita di vite umane altrettanto alta. Da allora, l’Unione Europea e gli Stati Uniti, nel tentativo di arrestare l’avanzata russa, hanno utilizzato lo strumento delle sanzioni: il più forte mezzo di dissuasione tra quelli che non prevedono l’intervento armato. Per la precisione UE e Stati Uniti ne hanno approvati 11 in un anno e mezzo, e proprio in questi giorni, a Washington e Bruxelles si lavora al dodicesimo. Anche questa volta ci sarà una black list con nuovi individui non graditi, mentre altri divieti avranno a che fare con importazione ed esportazione. Ma principalmente, le sanzioni di novembre 2023 colpiranno un settore che sta molto a cuore a Mosca: l’energia.
La Russia ha puntato tutto sull’energia, in particolare gas e petrolio. Da anni, queste due fondamentali risorse sono un vero e proprio strumento di soft power per Mosca, che con questi punta ad ottenere la leadership del settore energetico. Questo è possibile grazie alla grande quantità di giacimenti che la Russia possiede nelle proprie regioni (oblast) settentrionali, tra Murmansk e la penisola di Kola. Ma tenendo presente che molti giacimenti giacciono sopiti sotto i ghiacciai artici, il potenziale estraibile di quelle zone è praticamente sconfinato. Per questo motivo, le nuove sanzioni mirano a colpire proprio questo settore strategico per la Russia, con l’intento di dare la sferzata definitiva al Paese ed indurlo, perché no, a più miti consigli. Oggetto delle sanzioni sarà anche il progetto Arctic LNG 2, messo in atto dall’azienda Novatek.
Il vero pomo della discordia della questione, non è tanto il petrolio quanto il Gas Naturale Liquefatto (GNL), di cui la Russia è uno dei principali esportatori al mondo. Il conflitto in Ucraina e le conseguenti sanzioni, hanno messo a repentaglio il mercato, venuti meno gli acquirenti. Il sistema ha un po' traballato, ma in realtà la Russia ha dimostrato di poter reggere bene grazie al supporto di Cina e India, diventate principali acquirenti del GNL a seguito di accordi a dir poco provvidenziali. Tra i fiori all’occhiello di Mosca, nel settore estrattivo vi è appunto Arctic LNG 2, un progetto di Novatek, realizzato in poco tempo e nonostante i ritardi derivanti dalle sanzioni. Nello specifico, le sanzioni precedenti, hanno bloccato per un certo periodo i lavori di realizzazione dell’impianto, che avrebbe dovuto essere finalizzato entro la metà di quest’anno. Le sanzioni vietavano gli scambi commerciali con la Russia e quindi, Novatek, che prima si riforniva da aziende occidentali per materiali e tecnologie critiche (aziende come la Siemens o Technip), ha dovuto cercare altrove, trovando una valida alternativa sul fronte cinese. Ad oggi le quote dell’azienda russa appartengono alle cinesi CNOOC e CNPC, che insieme detengono il 20%; la TotalEnergies francese ne detiene un altro 10%, così come un consorzio giapponese formato da JOGMEC e Mitsui. Chiunque abbia una quota all’interno del progetto Arctic LNG 2 ha le sue preoccupazioni, ma l’UE ha deciso comunque di seguire l’esempio americano, soprattutto dopo la richiesta a gran voce fatta dal premier ucraino Zelensky il 27 ottobre al Parlamento UE.
Quale potrebbe essere l’effetto delle nuove sanzioni sul mercato energetico russo? Per UE e Stati Uniti, l’idea è quella di ostacolare Arctic LNG 2, ed in generale, limitare il bacino di mercato del gas liquefatto russo. Per farlo, le sanzioni attaccano anche 37 realtà infrastrutturali che forniscono materiali, tra cui le aziende francese e giapponese che partecipano al progetto. Inoltre chiunque rifornisca il progetto russo, di materiali, verranno immediatamente bloccato negli Stati Uniti, le attività, il patrimonio e le stesse transazioni economiche verso Mosca. Tuttavia, nelle precedenti sanzioni, qualcosa non ha funzionato. Se la Cina e l’India hanno scelto di non applicare alcuna restrizione ai commerci con Mosca, l’intento occidentale viene in misura vanificato. Sostanzialmente, la Russia, in un periodo pre-conflitto, rappresentava una voce consistente dell’importazione di gas, soprattutto in Europa. Le prime sanzioni hanno scosso la Russia che, per un momento ha temuto per il suo mercato; ma poi c’è stato un accordo di massima con Cina e India, che prevede la fornitura di GNL ai due paesi, in grande quantità, ma a un prezzo più basso. I due giganti hanno colto la balla al balzo, dato che hanno sempre bisogno di energie per soddisfare l’enorme fabbisogno interno. In termini pratici, comunque, le sanzioni non dovrebbero preoccupare Novatek. Gli Hub si trovano tra Murmansk e Kamchatka, all’interno delle acque territoriali russe; dunque finché le sanzioni non attaccheranno le attività delle navi metaniere tutto dovrebbe procedere regolarmente. Dal punto di vista di Washington, arginare l’espansione russa e arrestare il progetto Arctic LNG 2 sarebbe un vantaggio strategico, perché al momento, la portata dello stesso spaventerebbe qualunque competitor. Si pensi al fatto che, nel momento di sua massima espansione, Arctic LNG 2 avrà una capacità di quasi 20 milioni di tonnellate all’anno, che consentirebbe a Mosca, insieme agli altri progetti oggi in fase di realizzazione, di raggiungere, verosimilmente, una copertura di mercato che potrebbe arrivare al 20% entro il 2035.
Una domanda sorge però spontanea, perché si applicano sanzioni energetiche? Quando un gruppo di stati si coalizza e decide di applicare uno o più pacchetti di sanzioni, lo fa utilizzando uno strumento ampiamente previsto a livello internazionale. È chiaro che, per dissuadere un paese dal compiere azioni ritenute criminose o in violazione del diritto internazionale, il modo migliore è intaccarlo sul piano economico e commerciale. Con la Russia, questo vuol dire toccare il petrolio o il GNL. Si tratta, e qui sta la prima risposta alla domanda di cui sopra, di un utilizzo dello strumento sanzionatorio come “arma non militare”, meno cruenta quindi dell’attacco bellico in senso stretto. Ma non è proprio così. In genere esse vengono lanciate anche per dissapori politici o ideologici, o come in questo caso, per un’acredine molto datata di cui ben se ne conoscono le origini. Nel caso di specie poi, vi è ancora un altro motivo: gli Stati Uniti, sono diretti competitor della Russia nel campo delle esportazioni di GNL e pare che proprio quest’anno siano stati gli americani ad avere la meglio in termini di quantità di gas importato dall’Europa. Ad ogni modo, a Washington sanno bene che la Russia ha tutte le carte in regola per il sorpasso. D’altronde parlano i fatti: secondo i dati della Banca Europea per la ricostruzione e lo sviluppo, l’economia russa crescerà dell’1,5% quest’anno. Una crescita dovuta al fatto che Cina e India, ma anche Turchia ed altri, non rispondendo alle richieste degli Stati Uniti, hanno continuato a fornire a Mosca, i materiali necessari per portare avanti il progetto energetico. In sostanza quindi, le sanzioni energetiche hanno una funzionalità, ma non scalfiscono minimamente un paese che, in quanto a rete e potenzialità, può puntare ad essere un importante player del mercato del GNL.