A 50 anni dallo scoppio della prima grande crisi energetica, nata sullo sfondo dell’attacco  a sorpresa degli eserciti di Egitto e Siria contro Israele, il Medio Oriente  è tornato alla ribalta con una iniziativa assunta non già da uno o più stati arabi, ma

dal gruppo islamico Hamas, che ha la sua base principale nella striscia di Gaza. L’azione, che ha combinato  aspetti militari e prettamente  terroristici,  è culminata  nell’uccisione di migliaia  di persone e nella  presa di ostaggi civili.

Le motivazioni di questo atto non sono ancora chiare, ma sembrano collegabili all’ostilità alle iniziative in atto per un‘intesa tra Arabia Saudita ed Israele che dovrebbe portare al pieno riconoscimento reciproco dei due stati e quindi, anche dello Stato Palestinese che ancora gode di una condizione di sovranità limitata.

Questo accordo, ben visto da tutti gli Stati Arabi che riconoscono Israele, metterebbe chiaramente fuorigioco tutti i movimenti estremistici, come anche Hezbollah, che rinnegano l’esistenza di Israele; di qui la disperata e pericolosa mossa di Hamas  con l’intento di arrivare ad un radicale cambiamento degli equilibri geopolitici del Medio Oriente, facendo perno sulla inevitabile reazione di Israele per porsi nella posizione di vittima e non già di aggressore.

 Lo Stato di Israele colto di sorpresa dall’attacco di Hamas, ricco di  analogie con quello condotto contro le  torri gemelle di New York, sempre ad opera di estremisti islamici,  ha mobilitato il suo esercito cominciando a colpire numerosi obiettivi nella Striscia di Gaza densamente popolata, con un pesante bilancio. Ed è proprio l’entità della risposta che ha già provocato molte vittime, anche tra i civili, a suscitare  preoccupazioni nella comunità internazionale, che teme un possibile allargamento del conflitto con l’intervento di altri gruppi islamici che condividono gli obiettivi radicali di Hamas, come Hezbollah massicciamente presente in Libano ed anche nei territori controllati dal governo palestinese riconosciuto internazionalmente.

 È difficile valutare le conseguenze di questo nuovo “11 settembre” sui mercati energetici che, comunque, hanno una configurazione molto diversa da quella degli anni 70 e 80 quando l’Opec era in grado di condizionare il mercato petrolifero attraverso il controllo dell’offerta.

Oggi la situazione è drasticamente cambiata e l’OPEC è sulla difensiva con il suo paese leader l’Arabia Saudita, la “Colomba” per eccellenza, in contrasto con il gruppo storico dei “Falchi” tra cui l’Algeria, la Libia, l’Iraq, che è diventata “Falco” proponendo all’insieme dei paesi OPEC ed alla Russia una politica di controllo dei livelli produttivi.

Al contrario gli Stati Uniti, da una posizione di pericolosa dipendenza dal petrolio del Medio Oriente, sono diventati i veri protagonisti del mercato mondiale con una produzione di solo greggio che, secondo gli ultimi dati dell’EIA DOE, è ormai prossima ai 13 milioni di bbl/g. Dal canto suo, l’Arabia Saudita per evitare un eccesso di offerta, acuito da una crescita della domanda inferiore alle aspettative, si è portata sui 9 milioni di bbl/g rispetto ad una capacità produttiva di 12,2 milioni di bbl/g.

 In questo scenario si è inserita  l’aggressione di Hamas  contro Israele che potrebbe determinare, almeno durante la crisi, un cambio di aspettative anche senza modifiche dei fondamentali.

 In effetti, i mercati energetici hanno immediatamente focalizzato la loro attenzione sui drammatici eventi del sud di Israele, ma con modalità diverse da quelle di altre crisi. Nella prima giornata di contrattazioni dopo l’attacco ad Israele, il 9 ottobre, le quotazioni del greggio hanno registrato dei balzi comunque limitati al 4% rispetto alle chiusure della settimana precedente; la successiva fase di cautela è stata  seguita da una nuova ondata di aumenti sulla scia del crescere delle tensioni internazionali seguite all’intensificarsi delle azioni israeliane nella Striscia di Gaza. Acquisti speculativi e precauzionali hanno, infatti, spinto il Brent nella giornata di venerdì 13 a risalire verso quota 93 doll./bbl.

 Andamento quotazioni del Brent da dicembre 2022 a ottobre 2023

Fonte: elaborazioni su dati stampa specializzata

 Nella stessa giornata, all’hub olandese TTF la quotazione del gas è salita a 56,6 €/MWh, la più alta dal mese di febbraio. In termini di parità calorica, il prezzo del gas è balzato poco al di sotto di quello del Brent per una serie di fattori solo in parte legati alla crisi del Medio Oriente, anche se la centralità e la criticità di questa area con la produzione essenziale del Qatar, è enormemente aumentata dopo il blocco delle importazioni dalla Russia.

 Andamento Brent e TTF da gennaio a ottobre 2023

Fonte: elaborazioni su dati stampa specializzata

 Con l’inizio della nuova settimana, i mercati sono peraltro tornati a privilegiare la cautela, mentre si vanno intensificando le iniziative diplomatiche per  evitare ulteriori spargimenti di sangue e ottenere la liberazione degli ostaggi.

Il contenimento del confitto o il suo allargamento avranno un peso determinante  sull’evoluzione del  prezzo del petrolio nei prossimi giorni, partendo però da uno stato dei fondamentali abbastanza tranquillizzante e da un atteggiamento di gran parte dei paesi produttori che, per il momento, si mantiene fuori dalle logiche di contrapposizione ai paesi consumatori, tipiche dei tempi delle crisi energetiche.

 Scenari di crisi possono concretizzarsi solo con l’entrata in campo del movimento Hezbollah e quindi con una estensione del conflitto a tutto Israele ed ai paesi vicini e con l’intervento diretto della Repubblica Islamica dell’Iran.

Solo questa ipotesi, per il momento poco probabile, anche per le implicazioni sul piano militare, disastrose per l’Iran, potrebbe aprire scenari inquietanti a causa della minaccia alla regolarità di una parte significativa dei flussi di petrolio e di gas dal Golfo Arabico-Persico.