Tra gli stati interessati dalle tempeste meteorologiche che hanno attraversato la regione del Mediterraneo orientale nella prima metà di settembre, la Libia è sicuramente quello maggiormente colpito. Il ciclone Daniel (così ribattezzato dal servizio meteorologico greco) si è infatti abbattuto sulle coste orientali del Paese nordafricano tra il 10 e l’11 settembre, con piogge torrenziali e venti fino a 180 km/h che hanno provocato la rottura di due dighe a monte della città di Derna. La violentissima inondazione che ne è derivata ha distrutto gran parte della città costiera, trascinando interi quartieri in mare e provocando migliaia di vittime.

Di fronte a un livello simile di distruzione, è comprensibile che l’attenzione delle autorità locali e degli attori internazionali si sia concentrata negli sforzi di ricerca e ricostruzione. In ogni caso, ci si aspetta che i danni alla produzione economica libica causati dalle piogge torrenziali siano considerevoli, sebbene la reale portata debba ancora essere calcolata. Il livello di distruzione sperimentato nel Gebel cirenaico ha, infatti, portato ancora una volta il settore petrolifero libico al centro dell’attenzione nazionale e internazionale.

Come settimo più grande produttore di greggio in seno all’Opec, la Libia è fortemente dipendente dalla produzione di petrolio e gas. Il settore degli idrocarburi è oggi responsabile di circa il 95% delle esportazioni libiche e genera quasi tutte le entrate statali. Tuttavia, anni di conflitti, instabilità politica e attacchi da parte dei gruppi armati alle infrastrutture energetiche del Paese hanno reso incostante il livello di produzione ed esportazione delle industrie petrolifere e del gas naturale, oltre ad aver limitato gli investimenti esteri.

Contrariamente al passato, la tempesta Daniel si è abbattuta sulla Libia in un periodo di relativa stabilità (e conseguente ripresa economica), che perdura sin dal cessate il fuoco dell’ottobre 2020, nonostante gli sporadici scontri fra milizie e gruppi armati e la divisione territoriale tra due entità politiche rivali. La Libia, infatti, resta politicamente e territorialmente divisa: la Tripolitania e parte dell’ovest del Paese sono sotto il controllo del Governo di unità nazionale (GNU) guidato dal primo ministro Abdul Hamid Dbeibah, affiancato dall’Alto Consiglio di Stato. La Libia orientale, centrale e meridionale è invece nominalmente sotto la guida di un governo parallelo e della Camera dei Rappresentanti. Di fatto, questi territori sono sotto il controllo del generale Khalifa Haftar..

In questo contesto, l’accordo tra il generale Khalifa Haftar e il primo ministro Abdul Hamid Dbeibah, raggiunto nel luglio 2022 con la mediazione degli Emirati Arabi Uniti per la ripartizione dei proventi del petrolio tra le autorità dell’est e dell’ovest ,è stato determinante per portare a un periodo di relativa calma (in precedenza, le milizie fedeli a Haftar avevano più volte occupato i pozzi e i terminal petroliferi del Golfo della Sirte per fare pressione su Tripoli, dimezzandone la produzione).

Da allora, il principale garante di questo nuovo ordine bicefalo libico è Farhat Bengdara, nominato direttore della compagnia petrolifera statale libica National Oil Corporation (Noc). Dalla seconda metà del 2022, l’accordo tra est e ovest ha permesso la piena ripresa delle esportazioni di idrocarburi libiche, avviando così una stagione di forte ripresa economica. Secondo le ultime stime del Fondo monetario internazionale (FMI), il Pil della Libia è, infatti, destinato ad aumentare del 17,5% nel 2023 (a fronte di una contrazione del 12,8% nell’anno precedente). Per tutto il primo semestre del 2023, la produzione petrolifera libica si è attestata sopra i 1,15 milioni di barili giornalieri (mil bbl/g), raggiungendo un picco di 1,2 mil. bbl/g in aprile. Sebbene sia membro dell’Opec, il paese è esente dai tagli alla produzione previsti dagli accordi Opec+.

In questo contesto, la principale conseguenza delle recenti inondazioni nella Libia orientale è stato un aumento repentino dei prezzi del greggio. La momentanea interruzione delle esportazioni di petrolio libico e la distruzione causata nell’est del Paese hanno contribuito ad un aumento drastico del prezzo del Brent, che il 12 settembre si è portato a oltre 92 doll/bbl (con un picco giornaliero di 92.38 doll/bbl; il prezzo più alto registrato dal novembre 2022).

Nonostante i timori dei mercati globali, sembra che le infrastrutture petrolifere della Libia centro-orientale siano state risparmiate dalla devastazione riservata invece al distretto del Gebel el-Achdar. Secondo quanto dichiarato dalla Noc, i terminal petroliferi e le infrastrutture portuali del Golfo della Sirte non avrebbero subito danni, garantendone la normale ripresa delle attività. Pochi giorni prima, la Noc aveva annunciato la chiusura in via precauzionale dei terminal petroliferi di Zueitina, Ras Lanuf, Marsa el-Brega ed es-Sidra, sulla scia dello stato di emergenza indetto dal Governo di stabilità nazionale il 9 settembre. Questi sarebbero stati chiusi per tre giorni, mentre il porto di Zueitina ha riaperto solo il 13 settembre. Anche le stesse compagnie petrolifere estere attive in Libia, come Eni e Total, hanno riportato come le inondazioni non abbiano influenzato le proprie attività nel Paese.

Pur in assenza di dati aggiornati sulla produzione di settembre, è comunque lecito supporre che la chiusura temporanea di alcuni dei principali terminal petroliferi del Paese abbia comunque portato ad una diminuzione dell’output di greggio per il mese in corso. In luglio, la chiusura temporanea dei giacimenti petroliferi di Sharara ed el-Feel (due tra i più vasti della Libia) per via delle manifestazioni per il sequestro dell’ex ministro delle Finanze Faraj Bumatari aveva similmente portato per alcuni giorni ad un calo del gettito petrolifero giornaliero, ripristinato con un incremento della produzione nel successivo mese di agosto.

Entro la fine dell’anno, la Libia si è posta l’obiettivo di produrre 1,3 milioni di bbl/g, un volume aumentabile fino a 2 milioni di bbl/g entro il 2027. Tuttavia, tali obiettivi appaiono piuttosto ambiziosi, soprattutto alla luce dello stato delle sue infrastrutture. Anni di conflitti, corruzione e cattiva gestione hanno infatti portato a un costante deterioramento delle infrastrutture del settore energetico libico, e incidenti per errori di manutenzione o negligenza hanno, in più di un'occasione, diminuito la produzione nazionale. Di recente sono, inoltre, emersi segni di un incremento della corruzione del settore energetico libico. È quindi più plausibile aspettarsi che il Paese termini l’annata con una produzione stabile attorno ai 1,2 milioni di bpd.

A fianco dei drammatici effetti derivanti dall’attuale crisi climatica, il Paese nordafricano deve continuare a fare i conti con le enormi sfide socioeconomiche preesistenti, come gli alti tassi di disoccupazione, l’eccessiva dipendenza dal settore petrolifero, le precarie condizioni di sicurezza e la costante frammentazione politica. Allo stesso tempo, la mancata diversificazione economica (fortemente richiesta dal Fondo monetario internazionale) continua a esporre il paese nordafricano ai rischi significativi degli shock esogeni, come la fluttuazione dei prezzi globali del greggio e la progressiva transizione verso le energie rinnovabili dei suoi principali acquirenti europei.

Di recente, si è inoltre riacceso il braccio di ferro tra Haftar e Dbeibah per gli introiti petroliferi. A luglio, il generale aveva messo in dubbio l’accordo del 2022, minacciando di intraprendere una nuova azione militare qualora le autorità di Tripoli non avessero provveduto a costituire un alto comitato finanziario per la sovrintendenza della distribuzione delle entrate petrolifere (istituito tre giorni dopo). Sebbene quindi i recenti accordi tra Est e Ovest rappresentino uno sviluppo tutto sommato positivo, l’attuale condizione di stallo sta dimostrando chiari limiti. Se in un anno le parti, più volte, hanno dimostrato di potersi mettere d’accordo per facilitare la ripartizione dei proventi del petrolio, è comunque improbabile che riescano a raggiungere un qualche compromesso per formare un governo di unità.

Inevitabilmente, questa competizione latente per il potere e le fonti di reddito avrà delle ripercussioni sul tessuto socioeconomico libico nel prossimo futuro. Oltre a rappresentare un monito del rischio costante di un inasprimento delle rivalità nei rapporti tra le autorità dell’Est e dell’Ovest (con inevitabili conseguenze anche sulla produzione di idrocarburi), il fragile equilibrio di poteri in Libia nuovamente minaccia di impedire lo sfruttamento a pieno dei benefici dell’attuale rapida crescita economica e di sviluppare efficacemente progetti di lungo periodo nonostante la loro rilevanza e urgenza (come il miglioramento delle infrastrutture energetiche libiche, o la ricostruzione di una città in rovina).