Negli ultimi anni, il proliferare di documenti e normative (Fit for 55, RED II, RED III, aggiornamento del PNIEC, etc), spesso rivisti più volte e in taluni casi aspramente dibattuti, ha focalizzato l’attenzione della politica e degli stakeholder sulla trasformazione del settore trasporti, osservato speciale nell’iter verso la neutralità climatica dell’Unione Europea e, a cascata, dei suoi stati membri. Il settore della mobilità, centrale nella vita delle persone, è fortemente energy intensive e presenta differenziazioni importanti in termini di possibilità di intervento a seconda del segmento che si considera (stradale, marittimo, aereo).

Focalizziamo l’attenzione sul segmento dell’aviazione civile che, come è noto si sta riprendendo dalla pressoché totale paralisi che ha subìto nel 2020, l’anno più buio della pandemia, quando i consumi di carburante per aviazione si erano dimezzati rispetto agli attuali 4-4,5 milioni di tonnellate di olio equivalente.

Ora a che punto siamo?

In generale, per analizzare il settore dei carburanti alternativi, rinnovabili e sostenibili, e in particolare di quelli per l’aviazione, è necessario collocare gli obiettivi nel tempo: 2030-2040-2050. Ciò che si può tecnicamente raggiungere al 2030 differisce rispetto alle opzioni possibili al 2050. Per il segmento aereo, ad oggi, il processo di produzione di SAF più maturo e consolidato è noto come HEFA (esteri idroprocessati di acidi grassi). Certificato dall’ASTM sin dal 2011, impiega come feedstock lipidi, quali oli vegetali, acidi grassi, e grassi di scarto che, dopo una prima fase di deossigenazione, vengono sottoposti a idrotrattamento. Il processo di conversione che porta alla produzione di fuel di tipo HEFA è quindi connesso alla produzione dell’olio vegetale idrotrattato (Hydrotreated Vegetable Oil - HVO), di cui la component jet fuel è una parte. Questa frazione può essere massimizzata spingendo il processo di hydrotreating ed isomerizzazione.

Altre tipologie di SAF disponibili sul mercato includono l’Alcohol To Jet (ATJ) ed il cherosene paraffinico sintetico ottenuto con il processo Fischer Tropsch. Nel primo caso, attraverso un processo di fermentazione, zuccheri, amidi o cellulosa idrolizzata vengono convertiti in alcool (principalmente etanolo) che – in quanto molecola intermedia - viene poi ulteriormente processato (deidratazione e oligomerizzazione) al fine di ottenere idrocarburi liquidi sintetici. Nel secondo caso, i feedstock utilizzati – residui agricoli, colture energetiche e rifiuti solidi urbani (Municipal Solid Waste – MSW) - subiscono un processo di gassificazione a seguito del quale i gas sintetici ottenuti vengono trasformati (Fischer-Tropsch) in idrocarburi liquidi, successivamente raffinati.

Esiste inoltre la filiera del coprocessing che impiega come materia prima principalmente i lipidi ed è anch’essa certificata ASTM: si tratta di un processo in base al quale, insieme alla carica fossile, si alimenta una raffineria convenzionale con 2-5% di carica rinnovabile.

In una prospettiva allargata al 2040-50, invece, vi è la concreta possibilità di poter contare su carburanti di origine lignocellulosica da biomassa, ottenuti a costi competitivi ad esempio attraverso il processo Fischer Tropsch o da liquefazione idroterma; sono prodotti che si andranno a sviluppare a partire da impianti demo per poi replicarsi, a partire dal 2035, su grande scala.

Guardando al futuro, merita tuttavia rilevare un dato interessante: non bisogna confondere lo sviluppo tecnologico con la diffusione su larga scala di decine di milioni di tonnellate di olio equivalente. Perché di fatto, anche se la tecnologia corre veloce e diventa matura, per una piena commercializzazione dei prodotti sarà necessario costruire decine di impianti ad alto contenuto tecnologico e con CAPEX elevato. In altre parole, una piena transizione dai conventional fuels ai sustainable alternative fueSl richiederà investimenti molto significativi.  

Bisognerà quindi puntare a rendere competitivi questi prodotti: strada sicuramente molto difficile da percorrere. Come detto prima, negli ultimi anni il settore dell’aviazione è stato particolarmente sotto stress tra pandemia, crisi energetica e da ultimo la guerra russo-ucraina. Un periodo turbolento che si è riflesso anche sui prezzi delle materie prime dei SAF, prima aumentati drammaticamente e solo recentemente tornati a contrarsi. Giusto per dare un riferimento numerico: il costo dei lipidi, la materia prima dei fuels sostenibili di tipo HEFA, ha toccato punte di oltre 2.000 euro/tonn e, per quanto recentemente sia diminuito, è sempre comunque molto più elevato degli attuali 800 dollari circa di una tonnellata di combustibile per aviazione fossile (tipo kerosene).

Da qui muove la necessità di supportare lo sviluppo dei SAF che, ricordiamolo, ancora coprono una fetta residuale del consumo di carburante per aviazione. E per farlo, non basterà il miglioramento tecnologico già in atto, ma si dovrà lavorare su tutta la filiera. Questo vuol dire: abbassare i costi di produzione della materia prima, creare processi agricoli virtuosi che oltre a produrre le materie prime per il jet fuel puntino a sfruttare terreni marginali, degradati, o poveri di carbonio e sostanze organiche producendo coprodotti, come ad esempio la mangimistica animale; in alternativa si può puntare a colture in rotazione food and feed. Un recente progetto europeo, BIO4A ha dimostrato, infatti, che è possibile produrre combustibili Carbon Negative attraverso  una serie di strategie di questo tipo.

In questo processo di cambiamento, sicuramente una spinta arriverà anche dall’accelerazione che sta interessando i carburanti sostenibili per il trasporto stradale. Ciò in virtù del fatto che tutti i comparti del segmento trasporti sono interconnessi. Per questo motivo serve una policy che regoli il settore stradale, aeronautico e marittimo e uno sviluppo tecnologico che punti sulla differenziazione dei prodotti e integrazione dei mercati, in modo da ottenere anche un beneficio di prezzo e quindi in termini di competitività dei prodotti. 

Riassumendo, per dare impulso alla decarbonizzazione del settore dell’aviazione civile:

  • i costi vanno ridotti;
  • bisogna lavorare sulla filiera di approvvigionamento qualunque essa sia;
  • incrementare il TRL - technology readiness level -,  ovvero il livello di maturità di una tecnologia, che nel caso dei combustibili si chiama FRL (fuel readiness level);
  • sviluppare le filiere che ancora devono maturare e portarle a scala commerciale;
  • certificare le filiere che ancora non sono certificate; 
  • creare infrastrutture di stoccaggio e distribuzione presso gli aeroporti, ma anche infrastrutture che colleghino produzione, distribuzione e utilizzo;
  • combinare e coordinare il sistema regolatorio internazionale con quello europeo: azione per nulla banale e scontata.

Serve quindi un impegno massimo per puntare alla decarbonizzazione di tutti i segmenti del trasporto, sia per la parte stradale dove l’apporto della trazione elettrica e degli e-fuel potrebbe essere maggiore, che in quello marittimo e dell’aviazione, che essendo settori hard to abate, sono più difficili da elettrificare.

In Italia, l’interesse verso i combustibili sostenibili è vivo come si evince dalle affermazioni contenute nel nuovo PNIEC, che di fatto, per il caso specifico dell’aviazione, non fa altro che recepire il piano di decarbonizzazione già avanzato dagli aeroporti, come quello degli aeroporti di Roma. È importante però, che negli obiettivi del PNRR l’aviazione venga adeguatamente considerata, mentre attualmente non lo è, perché è un settore che necessita di infrastrutture e investimenti. Un settore trainante dell’economia che richiede una transizione impegnativa, ma possibile, basta che la si determini nei modi e nei tempi giusti.