La transizione del sistema energetico da un modello prevalentemente basato su fonti fossili a un modello basato su fonti rinnovabili prosegue inesorabile con tassi di crescita annuali globali dell'ordine del 30% per il fotovoltaico e del 15% per l'eolico. Siamo nel pieno di una prolungata crescita esponenziale, con tempi di raddoppio del mercato che sono di due anni e mezzo per il fotovoltaico e di cinque anni per l'eolico: in dieci anni il mercato del fotovoltaico si moltiplica per dodici volte, l'eolico per quattro. Restano però da definire diversi aspetti importanti della transizione, uno dei quali è il ruolo che i cittadini in forma singola o associata possono giocare, così come quanto questo processo possa essere inclusivo e portare a benefici diffusi anche alle fasce più deboli della popolazione.
Oggi in Italia ci sono oltre 1 milione di produttori di energia elettrica, nella stragrande maggioranza dei casi sono proprietari di impianti fotovoltaici di piccole dimensioni, collegati a una utenza di consumo, familiare o aziendale. Finora, infatti, l'autoconsumo era concepito come un rapporto biunivoco: un impianto e una utenza. In diversi contesti si potrebbe però esplorare la possibilità di realizzare impianti di maggiori dimensioni, per sfruttare le evidenti economie di scala, e utilizzare l'energia prodotta non solo per una utenza ma per diverse utenze di prossimità.
Si parla quindi di autoconsumo diffuso, che può assumere diverse possibili forme. Ad esempio, in un condominio è possibile realizzare un impianto che sia al servizio non solo dell'utenza condominiale ma di tutte le utenze dei vari condomini (si parla in questo caso di autoconsumo collettivo). Oppure se un solo soggetto risulta intestatario di diversi punti di utenza, potrebbe realizzare un unico impianto al servizio di tutti i propri contatori (si parla in questo caso di autoconsumatore individuale a distanza).
In questo panorama è possibile pensare a progetti condivisi e diffusi in cui diversi impianti e diverse utenze vengano inclusi in un unico sistema: la Comunità Energetica Rinnovabile (CER). Finora il potenziale delle CER è stato largamente inespresso perché la normativa provvisoria introdotta con la Legge n.8 del 28 febbraio 2020 (conversione del Decreto Legge cosiddetto Milleproroghe) ne limitava molto l'estensione territoriale, estendendola solo alle utenze servite dalla stessa cabina secondaria di distribuzione. Nei fatti si trattava al massimo di qualche centinaio di utenze, tanto che le CER realizzate finora ne includono normalmente qualche decina (nessuna supera i 100 partecipanti). Con la nuova normativa introdotta dal D. Lgs. 199/2021 le possibilità si estendono alle utenze servite dalla stessa cabina primaria di distribuzione, che sono normalmente diverse decine di migliaia. Al momento però il quadro regolatorio non è ancora definito nel suo complesso e quindi nei fatti nessuna CER di seconda generazione è ancora stata costituita ufficialmente. Nelle more del definitivo recepimento della direttiva europea in materia, proviamo a capire meglio le potenzialità e i limiti delle Comunità Energetiche Rinnovabili.
Le CER sono uno dei possibili strumenti per sfruttare l'autoconsumo diffuso di energia rinnovabile (per il momento solo sotto forma di elettricità). Per poter operare una CER deve costituirsi come soggetto giuridico, che può assumere forme diverse ad esempio ente del terzo settore, fondazione, cooperativa o impresa sociale. Possono farne parte ed esercitarne i poteri di controllo persone fisiche, PMI, enti territoriali e autorità locali, enti di ricerca e formazione, enti religiosi o del terzo settore e di protezione ambientale. L'obiettivo principale della CER è quello di fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi membri o alle aree locali in cui opera la comunità e non quello di realizzare profitti finanziari. E infatti per le imprese, la partecipazione alla comunità di energia rinnovabile non può costituire l'attività commerciale e industriale principale.
I partecipanti a una CER continuano ad avere il proprio contatore, il proprio fornitore e il proprio contratto di fornitura di energia elettrica. L'energia viene quindi scambiata attraverso la rete elettrica esistente e non richiede nessun intervento fisico oltre alla realizzazione dell’impianto di produzione di energia rinnovabile.
I benefici economici che la CER può raccogliere sono la somma del valore dell'energia elettrica ceduta alla rete (corrispondente al prezzo zonale orario) e dell’incentivo per l’energia condivisa (il cui importo dovrà essere definito dai decreti ancora non pubblicati). Per energia condivisa (o energia autoconsumata, come definita dal TIAD) si intende quella che l’impianto produce, cede alla rete e che è utilizzata in contemporanea da qualcuna delle utenze che fanno parte della CER. I partecipanti alla CER possono essere produttori (e consumatori) quando detengono l’utenza fisicamente collegata all’impianto di generazione, oppure solamente consumatori. Nello statuto o nei regolamenti interni alla CER sarà stabilito come devono essere finanziati gli impianti che si realizzano e a cosa destinare i benefici economici raccolti. I modelli che si possono adottare sono virtualmente infiniti.
Possono infatti esserci CER alimentate da un unico impianto di generazione finanziato da un unico partecipante, oppure da un impianto finanziato da tutti i partecipanti. Oppure si possono prevedere modelli che includono tanti impianti di minori dimensioni, ciascuno dei quali finanziato da uno o più partecipanti. Il finanziamento può prevedere il ricorso a fondi pubblici a fondo perduto (con limiti che dovranno essere definiti dalla normativa e autorizzati dalla Commissione Europea) o a tasso agevolato, oppure l’intervento di istituti finanziari e bancari, oppure il ricorso a capitali di privati.
Ma è soprattutto nella destinazione dei benefici che si determina l’effettivo impatto delle CER dal punto di vista sociale. Su questo aspetto, la normativa definisce solo dei punti di principio e non viene definito in alcun modo quali debbano essere i “benefici sociali” che la CER deve perseguire. Di nuovo, i modelli sono molti e diversi: si può pensare che i partecipanti rinuncino interamente ai propri benefici economici e che gli importi raccolti dalla CER vadano interamente a finanziare progetti sociali, oppure i benefici possono essere condivisi. Il destinatario dei benefici raccolti dalla CER può, ad esempio, essere il comune (che li utilizzerà attraverso i propri servizi sociali) oppure un ente del terzo settore (che li utilizzerà per finanziare le proprie attività) oppure direttamente utenti vulnerabili a basso reddito che partecipano alla CER con una posizione privilegiata, e così via.
La cooperativa è nostra ha supportato alcuni interessanti progetti volti alla massimizzazione del beneficio sociale, in base alle priorità definite dai promotori locali delle singole esperienze. Come nell’esempio della CER Lomellina, promossa dal Comune di Torre Beretti e Castellaro, i cui membri hanno deciso di destinare parte del beneficio economico totale generato dalla CER ai servizi sociali del Comune stesso per il contrasto alla povertà e alle disuguaglianze. In un’altra esperienza, il Municipio VIII di Roma sta lavorando con l’associazione di genitori ScuolaLiberaTutti e con la scuola media Giuseppe Moscati di Garbatella ad un patto di collaborazione che coinvolga una CER e la comunità educante e che utilizzi i benefici economici per progetti di educazione ambientale, inclusione scolastica e lotta alla povertà energetica. È opportuno, però, sottolineare che, date le limitate dimensioni delle CER finora sviluppate, queste possono costituire dei casi studio interessanti ma difficilmente possono prefigurare i destini di progetti che potrebbero essere anche cento volte più grandi.
Le CER costituiscono un modo intelligente per promuovere la partecipazione dei cittadini alla transizione del sistema energetico e alla condivisione dei benefici generati. Il processo di costituzione delle CER può essere lungo e faticoso ma può portare alla migliore definizione di obiettivi e strumenti che ciascuna CER si vuole dare. Se però l’obiettivo è la massimizzazione del profitto economico, allora le altre forme di autoconsumo diffuso possono essere più adatte. In ogni caso è urgente che al più presto il quadro normativo venga definito, altrimenti si rischia che l’enorme interesse generato negli ultimi due anni in tantissime realtà locali del nostro paese venga frustrato dalla mancanza di un orizzonte certo di azione, vanificando la buona volontà di tantissimi cittadini e cittadine, di comuni e di altri enti. Un rischio che in un contesto di crisi climatica ed energetica non possiamo certo permetterci.