I recenti sviluppi geopolitici e geoeconomici stanno significativamente influenzando l’evoluzione del settore Oil&Gas, con particolare riguardo al comparto del gas naturale, che già da diversi anni ha visto crescere la sua rilevanza a livello globale e nei mix energetici di diversi Paesi, andando progressivamente a spodestare sua maestà il petrolio.

Allo stesso tempo, le numerose scoperte di giacimenti di gas naturale, unite alle innovazioni tecnologiche che hanno reso possibile una più ampia ed economica commercializzazione di questa risorsa, in particolare con l’affermazione del Gas Naturale Liquefatto (GNL), hanno reso possibile un vero e proprio processo di “globalizzazione” del gas naturale, portando ad un incremento significativo del numero dei produttori e ad una notevole diversificazione del mercato dell’offerta, disegnando nuove relazioni e partnership strategiche.

La crisi ucraina ha sicuramente contribuito ad accelerare un processo tuttavia già in atto, capace di far emergere attori strategici quali Australia e Qatar e di accrescere l’importanza degli Stati Uniti. Questi ultimi, storicamente considerati nella veste di grandi acquirenti, sono oggi non solo il primo produttore di gas naturale al mondo (nonché di petrolio!), ma anche un crescente esportatore, in lizza per diventare leader nel GNL, soprattutto grazie all’incremento della domanda europea, principale mercato dell’export a stelle e strisce.

Proprio il contesto europeo sta attraversando una fase di epocale trasformazione, spinta dalla rivoluzione green, di cui vuole essere leader trainante per il resto del sistema internazionale, e dalla necessità di ridefinire gli approvvigionamenti energetici di idrocarburi (soprattutto a seguito del 24 febbraio 2022!). Nonostante gli obiettivi dichiarati di Bruxelles, gli idrocarburi, in particolare il gas naturale, sono destinati ancora a lungo a guidare i mix energetici di buona parte dei Paesi europei. La politica di condanna da parte dell’Unione Europea e dei suoi membri nei confronti dell’aggressione russa all’Ucraina, sfociata nell’adozione di embargo e misure restrittive legate all’importazione di gas naturale e petrolio russi, se da un lato, ha forzato il sistema europeo a ridurre drasticamente la dipendenza energetica da Mosca, non ha facilitato la transizione verso le rinnovabili, dovendo molti Paesi europei far fronte alla situazione di emergenza attraverso un ricorso immediato ed a medio termine di approvvigionamenti energetici da vecchi e nuovi partner. Sebbene il percorso verso la decarbonizzazione sia stato avviato, dal punto di vista pratico il raggiungimento degli obiettivi necessiterà di notevoli compromessi, di non facile gestione. Inoltre, come nel caso di uno storico fornitore europeo quale la Norvegia, che più di altri ha beneficiato del vuoto lasciato dalla rinuncia alle risorse russe, si accrescerà il dilemma tra la necessità di uno sfruttamento maggiormente etico delle risorse energetiche, in un’ottica di maggior sostenibilità ambientale, e il mantenimento di una fonte di entrate di fondamentale importanza per il sistema economico del Paese.

In una fase internazionale caratterizzata da incertezza e trasformazione, l’area del bacino del Mediterraneo sta attraversando una fase di rinnovata rilevanza strategica. Molti paesi della sponda settentrionale, Italia in testa, stanno cercando di gestire i cambiamenti in atto al fine di garantirsi la necessaria sicurezza degli approvvigionamenti e puntare a costruire o rafforzare un ruolo centrale nelle nuove dinamiche energetiche. Ne è un esempio l’evoluzione della Turchiapaese sempre più al centro di tensioni legate a sfruttamento e commercializzazione delle grandi risorse di idrocarburi presenti nel Mediterraneo orientale. Negli ultimi anni la politica estera di Ankara ha puntato a rafforzare la posizione turca in ambito energetico. Ne sono un esempio gli accordi strategici relativi alle infrastrutture che, attraverso la penisola anatolica, puntano verso i mercati nell’Europa balcanica e meridionale, ma anche la diplomazia aggressiva che ha puntato a rimescolare lo scenario mediterraneo, come nel caso degli accordi marittimi con il governo libico di Al Serraj, che dal novembre del 2019 hanno innescato forti tensioni con vari attori europei e non. In generale, il governo guidato da Erdogan ha cercato negli ultimi anni di far assurgere la Turchia al ruolo di hub energetico del Mediterraneo orientale e del Mar Nero, stimolando la produzione interna (come nel caso del giacimento di gas naturale di Sakarya, nel Mar Nero) e rafforzando la posizione geopolitica e geoeconomica del Paese quale crocevia tra area mediorientale, Europa ed Africa.

Proprio il continente africano sta attraversando una fase di rapida crescita demografica ed economica che richiede un incremento delle risorse energetiche e dei sistemi di interconnessione ad esse legati: sebbene attualmente il continente africano rappresenti solo il 6% della domanda di energia a livello mondiale (il 3% della domanda di energia elettrica), negli ultimi 20 anni i consumi di energia primaria sono cresciuti di circa il 2% su base annua e le stime indicano un possibile raddoppio degli stessi da qui ai prossimi anni. A fianco degli storici Algeria, Libia ed Egitto, sempre più Paesi africani stanno emergendo come attuali e futuri produttori di idrocarburi, grazie ai crescenti investimenti che caratterizzano realtà quali Congo, Mozambico, Senegal, per citare esempi in varie regioni del continente. L’incremento atteso della produzione africana verrà in parte immesso nel mercato internazionale (soprattutto in quello europeo) ma verrà anche largamente rivolto alla crescente domanda interna del continente, al fine di soddisfare i processi di industrializzazione e urbanizzazioni in varie regioni.

Tuttavia, il potenziale energetico africano è ancora fortemente limitato. Se da un lato, Paesi leader nella produzione e nell'export di idrocarburi, quali Nigeria (primo produttore ed esportatore di petrolio) ed Algeria (primo esportatore di gas naturale) sono costantemente alle prese con livelli di output e di export inferiori alle potenziali capacità, situazioni di instabilità politica e conflitti armati sono tuttora in grado di influire sugli sviluppi di singoli Paesi e delle regioni di appartenenza.

È il caso della recente crisi sudanese, che ha portato allo scoppio di un conflitto armato nel mese di aprile 2023. e che appare lungi da trovare una soluzione pacifica. Il Sudan è uno storico produttore di idrocarburi in Africa e per un lungo periodo il principale fornitore africano di greggio per la Repubblica Popolare Cinese. Sebbene, al momento, la crisi non sia stata ancora in grado di produrre un impatto diretto sul settore degli idrocarburi, il protrarsi ed allargarsi degli scontri armati genereranno verosimilmente importanti conseguenze. Dato il peso limitato dell'Oil&Gas sudanese sul totale di produzione ed export a livello globale, a rischio non sono i mercati internazionali ma il contesto economico e sociale interno sudanese così come quello dei Paesi limitrofi (Sud Sudan in primis).

Aldo Pigoli, è docente Università Cattolica di Milano e Managing Director di BAIA – Business Artificial Intelligence Agency.