Strumento di politica estera ed interna e, al tempo stesso, protagonista nelle relazioni strategiche: è il bilancio energetico della Turchia contemporanea. Dopo le dichiarazioni registrate al meeting bilaterale di Astana tenutosi a ottobre dello scorso anno tra i presidenti Putin ed Erdoğan, e l’inaugurazione del giacimento turco di Sakarya (il più grande del Mar Nero) di giovedì 20 aprile 2023, Ankara si candida ufficialmente a diventare hub energetico del Mediterraneo orientale e del Mar Nero. Tuttavia, con almeno due variabili essenziali di cui è necessario tenere conto: da una parte, la crisi finanziaria che sta mordendo l’economia del Paese dal 2018, generando un’inflazione a due cifre (le ultime stime ufficiali la attestano al 58%); e le elezioni presidenziali e parlamentari che, ammantate di un significato storico e di un peso specifico notevole, si terranno il prossimo 14 maggio (per il primo turno) e vedranno sfidare la ventennale leadership dell’AKP (il partito di Giustizia e Sviluppo) di Erdoğan.
Uno degli ingredienti della ricetta del presidente turco per preservare la posizione del Paese (energivoro e scarsamente dotato di risorse energetiche interne, in particolare di petrolio) e per mantenere lo standing da player regionale, in grado di sedersi al tavolo con gli attori protagonisti della politica regionale e internazionale, anche se affaticato dalle cosiddette “policrisi” dell’ultimo decennio (come ad esempio gli effetti delle rivoluzioni arabe, la pandemia da Covid-19 e la guerra in Ucraina), è dunque la politica energetica. L’AKP, infatti, ha deciso di renderla centrale attraverso il piano strategico del Ministero dell’Energia e delle Risorse Naturali, lanciato nel 2019, che punta alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico, alla sicurezza energetica attraverso un incremento della produzione interna e a rendere la Turchia un paese green entro il 2053.
Nel grande obiettivo dell’indipendenza energetica rientra dunque il progetto del Sakarya Gas Field, per l'estrazione, il trasporto a terra e il trattamento del gas naturale dal Blocco C26, situato nella ZEE (Zona Economica Esclusiva) turca, al largo della regione occidentale del Mar Nero, e più precisamente a 165 km da Filyos, a una profondità di circa 2.200 metri. Il progetto comprende diverse unità: il sistema di produzione sottomarina nel campo di gas di Sakarya; l'impianto di produzione a terra nel distretto di Çaycuma della provincia di Zonguldak (a est di Istanbul); due condotte offshore per il trasporto del gas con attraversamento a terra. La capacità del “tesoro Ottomano” ammonterebbe a 700 miliardi di metri cubi di gas (Fonte Platts). La società statale Turkish Petroleum (TPAO), che detiene il progetto, vi ha sviluppato diversi pozzi, in collaborazione con alcune società come la Subsea7 e la Schlumberger: è stato stimato che nella prima fase di estrazione, il giacimento produrrà circa 10 milioni di metri cubi di gas al giorno. Ciò equivale a circa il 10% del consumo domestico estivo e al 4-5% del consumo invernale del Paese. Entro il 2027-28 verrà poi completata la seconda fase, momento in cui la produzione dovrebbe salire a 40 milioni di metri cubi al giorno, riuscendo così a soddisfare il 25% del consumo turco. Se misurato utilizzando i prezzi odierni del gas, il gas di Sakarya si traduce in un guadagno economico di 5 milioni di dollari al giorno.
Il prezzo, insieme alla capacità energetica, giocano un ruolo importante nel determinare l'impatto della scoperta del giacimento a Sakarya: nel 2022, infatti, la Turchia ha speso 80 miliardi di dollari per importare l’energia necessaria a soddisfare il suo fabbisogno interno.
Ma accanto al risvolto economico, il vantaggio del giacimento offshore risiede certamente nella sua natura strategica: la Turchia, anche grazie alla sua posizione geografica che funge da via di transito per i principali gasdotti (come il Blue Stream e il Tanap), può così trasformarsi, come suggerito ad Astana, in un hub energetico che collega i mercati di consumo con i centri di produzione. Avere una produzione interna contribuisce a rendere il Paese centrale nel commercio di risorse energetiche, rafforzandone la posizione come via di approvvigionamento alternativa per l'Europa e i Paesi balcanici, in particolare a seguito del conflitto tra Russia e Ucraina.
Va tuttavia aggiunto che il progetto di Sakarya non è l’unica pedina che la Turchia sta muovendo verso una sempre più marcata indipendenza energetica: la recente inaugurazione della centrale nucleare di Akkuyu (situata nella provincia di Mersin, nella Turchia meridionale), realizzata grazie alla collaborazione con la russa Rosatom, accresce il paniere energetico turco, a cui si aggiungono anche la partita dell’idrogeno e le energie rinnovabili (con in testa gli impianti eolici e le centrali idroelettriche), parti della strategia delle aree YEKA (large-scale renewable energy resource areas) lanciate nel 2016. Insieme ad Akkuyu, inoltre, l’establishment turco è sempre più convinto di voler raccogliere la sfida della propulsione nucleare, con l’impianto di Sinop, sulla costa del Mar Nero, frutto dell’accordo del 2013 con il Giappone (che ad oggi però risulta sfilatosi dal progetto, giudicato da Tokyo poco vantaggioso economicamente), e con il lancio di una nuova centrale in Tracia, che vede la partecipazione di Russia e Cina.
All’alba delle prossime elezioni, dunque, con una campagna elettorale ormai entrata nel vivo e che vede Erdoğan alle prese con un forte avversario, come il leader del partito repubblicano (CHP) Kemal
Kılıçdaroğlu, la partita per l’energia significa molto: non è solo strumento di propaganda e (insieme agli investimenti nel settore militare) funzionale alla celebrazione di momenti istituzionali con dirette video roboanti, ma converge anche nel tentativo della Turchia di riempire il vuoto lasciato dalle potenze internazionali su orizzonti come quello Mediterraneo, dopo il nuovo ribaltamento dell’equilibrio dell’ordine internazionale che la guerra in Ucraina ha portato con sé.