Sabato e domenica 15-16 aprile i ministri dei sette paesi più sviluppati si sono riuniti nella città sciistica di Sapporo per aprire i colloqui che porteranno al vertice G7 del prossimo maggio. Quest’anno, il vertice si terrà a Tokyo e spetta quindi al Giappone ospitare i tavoli di discussione ministeriali che precedono il summit tra i capi di Stato e di governo. I primi dei temi che i sette paesi hanno affrontato negli impegni di avvicinamento al summit sono la sfida climatica ed energetica, al centro dell’incontro di Sapporo.

Nel 2023, il G7 si trova a dover affrontare contemporaneamente due sfide parallele: da un lato, c’è l’incombente crisi climatica e ambientale che richiede azioni tempestive e audaci per effettuare una transizione energetica che possa evitare che il surriscaldamento globale sorpassi il livello critico di +1,5°C come stabilito dall’Accordo di Parigi del 2015; dall’altro, invece, soprattutto dopo l’invasione russa dell’Ucraina e le ricadute sui mercati internazionali, c’è anche il problema della sicurezza degli approvvigionamenti di energia e della stabilità dei prezzi.

Come ha ricordato il ministro giapponese dell’economia Yasutoshi Nishimura all’apertura della sessione: “nel mezzo di una crisi energetica senza precedenti, è importante trovare misure che possano permetterci di affrontare il cambio climatico e allo stesso tempo promuovere la sicurezza energetica”.

Alla fine dei lavori, i ministri hanno reso pubblico un comunicato di 36 pagine frutto delle trattative condotte a Sapporo. Per quanto allineati, le democrazie del G7 hanno punti di vista e interessi da tutelare molto diversi tra loro sul tema della transizione energetica e sulle relative politiche da mettere in atto. Il comunicato finale è stato un compromesso tra le parti, in cui il peso della diplomazia giapponese appare molto evidente.

Le principali questioni su cui si sono concentrati i ministri dei paesi del G7 sono state le politiche energetiche e, in seconda battuta, le politiche industriali della transizione ecologica. Per quanto riguarda le prime, il compromesso raggiunto nel comunicato finale mostra come alcune aspettative siano state superate, alcune siano state rispettate e altre invece siano state deluse.

L’argomento più spinoso è stato senza dubbio quello della riduzione della dipendenza da combustibili fossili. Nel comunicato finale, i sette paesi si impegnano ad accelerare l’abbandono graduale dell’uso di combustibili fossili non mitigati da misure correttive, in modo tale da raggiungere lo zero netto dei propri sistemi energetici al più tardi nel 2050. Con ciò si intende mettere fine alla produzione di energia da fonti fossili (come petrolio, gas e carbone) senza che le società produttrici adottino contestualmente anche provvedimenti per contenerne l’impatto ambientale, come l’applicazione di tecnologie per catturare il biossido di carbonio o per ridurne l’emissione.

Questa lunga cornice temporale, sebbene fondata nella necessità di elaborare strategie che permettano ai paesi di trovare alternative all’import di energia dalla Russia, rimane molto problematica dal punto di vista della transizione ecologica per diversi motivi. Come specificato oltre nel documento, gli investimenti sull’estrazione di gas vengono riconosciuti come una risposta appropriata alle attuali circostanze del mercato energetico.

L’aspetto più problematico però riguarda il consumo di carbone, di gran lunga il combustibile fossile più dannoso per l’ambiente. Nonostante il pressing esercitato da alcuni paesi, nel comunicato finale è stata mantenuta la formulazione introdotta al vertice tedesco dell’anno scorso, in cui il G7 si proponeva l’orizzonte del 2035 per decarbonizzare il proprio settore energetico in modo “completo o predominante” (“fully or predominantly” come scritto nel comunicato originale). Soprattutto, Regno Unito e Canada hanno obiettato all’inclusione del comunicato della parola “predominantly”, la cui inclusione lascia una scappatoia ai paesi ancora dipendenti dal consumo di carbone con cui procrastinare la pianificazione della sua completa sostituzione con fonti rinnovabili.

Un aspetto molto positivo invece, che ha sorpreso alcuni osservatori, è stato la decisione di aumentare la capacità collettiva di produzione di energia da fonti rinnovabili. L’obiettivo per le fonti eoliche off-shore è quello di aumentare la capacità di produzione di circa 150 GWentro il 2030, mentre per il fotovoltaico l’obiettivo è stato fissato 1 TW entro lo stesso anno.

Sulle politiche industriali per la transizione ecologica invece il tema più scottante è sicuramente stato quello dei combustibili sintetici e dell’elettrificazione dei trasporti. Tra i paesi membri non esiste ancora un largo consenso sui tempi e i modi in cui vada perseguita la trasformazione ecologica dell’industria automobilistica. Queste divisioni sono emerse nel comunicato finale, in cui i sette paesi riconoscono l’esistenza di una “vasta gamma di strade che i membri G7 […] stanno adottando” per raggiungere un “alto livello di decarbonizzazione nel settore stradale entro il 2030”. Ciononostante, un accordo è stato raggiunto sul fatto che entro il 2035 le emissioni del settore vadano ridotte del 50% rispetto al livello del 2000, che si tratterebbe di un obiettivo intermedio rispetto a quello delle zero emissioni fissato per il 2050.

Su temi correlati però, come il sostegno alle supply chain per i materiali critici fondamentali alla transizione ecologica dell’industria, c’è stato invece maggiore consenso. Dal riciclo delle materie prime al sostegno per nuove esplorazioni ed estrazioni minerarie, i paesi del G7 sono stati concordi nell’identificarne la priorità strategica per le proprie economie.

Il compromesso raggiunto col comunicato finale di Sapporo rivela la pesante influenza del paese ospitante. Sui temi della transizione energetica, il Giappone è infatti ancora molto cauto, soprattutto per quanto riguarda le tempistiche. Ciò deriva soprattutto dal fatto che ancora oggi un terzo dell’energia consumata nel paese è prodotta con l’impiego del carbone e che il governo di Tokyo negli ultimi anni ha investito molto sulle tecnologie di mitigazione delle emissioni: nel proprio piano di transizione ecologica, infatti, il Giappone mira a introdurre quote sempre crescenti di ammoniaca e idrogeno come comburenti per le proprie centrali, in modo tale da ridurne man mano le emissioni di CO2.

Questo approccio è stato molto criticato da attivisti e scienziati, che ritengono l’idrogeno così come la tecnologia di carbon capture (su cui il Giappone sta investendo molto) una soluzione controversa per risolvere la crisi energetica e climatica che stiamo attraversando. Dal punto di vista di Tokyo però, il mantenimento e la graduale riconversione delle infrastrutture energetiche già esistenti è un interesse fondamentale da preservare per il bene delle proprie capacità industriali.

Per questo motivo, il governo di Tokyo inizialmente si era opposto  all’inserimento nel comunicato finale di qualsiasi rifermento all’abbandono graduale dell’uso di combustibili fossili non mitigati da misure correttive. Alla fine, però, sotto la pressione dei paesi europei, Tokyo ha ceduto sulla sua inclusione. Sull’eliminazione del termine “predominantly” collegato alla decarbonizzazione della produzione di energia entro il 2035 però il paese ospitante è riuscito a neutralizzare la pressione di chi invece vorrebbe accelerare la fine del carbone.

Le tecnologie su cui il Giappone sta puntando ricadrebbero a tutti gli effetti nell’alveo di quelle misure correttive adatte a mitigare le emissioni dei combustibili fossili, ma la loro applicazione al momento non è ancora estesa su scala industriale e il governo non desidera legarsi le mani con tempistiche precise.

Anche dal punto di vista della transizione ecologica dei trasporti il Giappone è riuscito a sfruttare le divisioni esistenti all’interno del G7 per proteggere gli interessi della propria potente industria automobilistica, che sull’elettrificazione è ancora indietro rispetto ai propri concorrenti. I più importanti produttori giapponesi (Toyota in testa) nell’ultimo decennio non hanno puntato con forza sui veicoli elettrici, scommettendo piuttosto su soluzioni intermedie come le auto ibride.

Il premier Fumio Kishida si può dire quindi complessivamente soddisfatto di come sia andato il vertice ministeriale di Sapporo, che ha riconosciuto e validato alcuni degli elementi cruciali su cui si fonda la transizione energetica e ambientale del Giappone. Non solo per quanto riguarda la produzione di energia elettrica da fonti fossili mitigata dalle nuove tecnologie e per la vaghezza degli impegni sull’elettrificazione dei trasporti. Il comunicato finale, infatti, serve gli interessi di Tokyo anche in altri due aspetti. Il primo è la legittimazione che concede alla riaccensione delle centrali nucleari che Kishida sta perseguendo, mentre il secondo è il riconoscimento dell’approvvigionamento di gas (altra fonte fossile da cui il Giappone è ancora molto dipendente) come metodo appropriato per far fronte temporaneamente alle ristrettezze del mercato energetico.