In questi ultimi mesi l’intero comparto europeo dell’energia si è trovato nella necessità di fronteggiare l’emergenza scaturita dal conflitto tra Russia e Ucraina con la consapevolezza che ciò̀ avrebbe avuto degli effetti diretti sul cammino verso il “nuovo mondo” decarbonizzato. La crisi energetica che stiamo attraversando, che non coinvolge solo il settore gas, ha non solo cambiato la prospettiva rispetto alla narrazione prevalente del periodo pre-pandemia e pre-guerra ma anche imposto una riconsiderazione dei pesi all’interno del classico “trilemma energetico” sicurezza-competitività-sostenibilità, perché ci si è resi conto che il percorso verso l’obiettivo “net zero” non può essere scisso dalle questioni relative alla certezza delle forniture e alla compatibilità economica.

Sotto questa prospettiva, e riportando il dibattito ai suoi elementi più̀ concreti, ci sono diversi fattori dell’attuale scenario che sarebbe utile riconsiderare. Occorrerebbe rivedere in primis la lettura che nel recente passato è stata data agli investimenti energetici, nel caso particolare a quelli relativi alle infrastrutture gas. Non si può negare, ad esempio, che la focalizzazione sul rischio di costruire “stranded asset” - allarme a cui abbiamo assistito negli ultimi anni - abbia contribuito ad un rallentamento nella realizzazione di opere che oggi scopriamo essere essenziali e strategiche per garantire la sicurezza delle forniture di energia. Proprio nel momento della crisi ci si è resi conto che il prezzo pagato dal sistema economico e sociale del Paese può superare addirittura per un ordine di grandezza l’onere delle opere non realizzate in passato. Si tratta di ciò che è stato definito come “il costo del non fare”. I fatti sono autoevidenti: la mancanza di investimenti (non solo in infrastrutture midstream ma anche nell’upstream) non può essere considerata estranea all’impennata dei prezzi del gas naturale registrata a partire dalla seconda metà del 2021. Il PSV (Punto di Scambio Virtuale) ha segnato nel 2022 una media pari a 125 euro/MWh (arrivando a picchi fino a oltre 300 euro/MWh nel periodo luglio-agosto 2022) a fronte di una media 2015-2020 di 18 euro/MWh.

Difficile trovare soluzioni semplici a problemi complessi, ma una prima lezione che si può trarre da questo nuovo contesto è che risulta necessario promuovere lo sviluppo di infrastrutture flessibili e future-proof. Il punto di arrivo del processo di transizione energetica è chiaro, ma come gli ultimi eventi hanno dimostrato potrebbe attraversare altri periodi turbolenti o addirittura fasi di regresso. È in questo senso che l’infrastruttura gas può conferire resilienza al sistema energetico nel suo complesso, tamponando o limitando la volatilità dei prezzi della molecola e contemporaneamente abilitando lo sviluppo di vettori essenziali per la decarbonizzazione, quali il biometano, l’idrogeno decarbonizzato, oltre a tecnologie come la CCS (Carbon Capture & Storage).

Un secondo elemento da considerare riguarda l’importanza di adottare una visione integrata, a livello comunitario ed internazionale, nella pianificazione e nella realizzazione delle infrastrutture. Anche qui diventa ormai necessario un coordinamento fra operatori di sistema, player di mercato ed istituzioni dei diversi Paesi. Va messo in atto uno sforzo comune che sia volto a garantire maggior robustezza ed efficienza al sistema dell’energia. Questo perché la geopolitica del gas, e più in generale quella dell’energia, è rapidamente cambiata ed è in evoluzione continua. Il rovesciamento di 180 gradi delle rotte del gas europeo, da nord-sud a sud-nord (e per certi versi anche da est-ovest a ovest-est) fa sì che l’area del Mediterraneo torni a giocare un ruolo chiave. Sia nel breve periodo, guardando a paesi del Nord Africa come Algeria ed Egitto, sia nel medio/lungo termine, includendo cioè la Libia e le importanti riserve dell’Eastern Med. È in questo contesto che l’Italia può avvalersi della sua strategica posizione geografica e sfruttare la propria infrastruttura gas (sia via tubo sia per trasporto in forma liquida) per ritagliarsi un ruolo di “ponte infrastrutturale” fra l’area mediterranea e l’Europa continentale. Con una prospettiva “short-long”, appunto: oggi per il trasporto di gas e domani per l’idrogeno e i “green gases”. E per cogliere al meglio questa opportunità, vale la pena sottolinearlo, alla visione geopolitica chiara va accompagnato un adeguato potenziamento infrastrutturale.

Nel suo ultimo piano strategico Snam ha raccolto queste sfide attraverso l’ancoraggio a tre pilastri: (1) l’infrastruttura gas, centrale per garantire la sicurezza energetica del Paese, per diversificare le fonti di approvvigionamento e per assicurare la continuità di flussi e forniture; (2) la piattaforma per la transizione energetica, essenziale per contribuire alla sostenibilità investendo nello sviluppo di biometano, idrogeno, CCS ed efficienza energetica; (3) l’innovazione tecnologica e digitale, al fine di aumentare performance, flessibilità, sicurezza ed efficienza del sistema. Su queste direttrici investiremo 10 miliardi di euro al 2026, con un incremento del 23% rispetto al precedente piano.

In questo quadro un investimento particolarmente strategico è rappresentato dalla linea Adriatica, un tratto di 425 chilometri di rete da completare entro il 2027, che permetterà di eliminare il collo di bottiglia nella capacità di trasporto di gas da sud a nord, già oggi satura a 126 milioni di metri cubi al giorno rispetto ad una domanda invernale che può superare i 300-350 milioni di metri cubi al giorno. Inoltre, per garantire l’esportazione del gas verso il centro Europa, saranno valorizzati gli attuali punti di interconnessione nel nord rafforzando il reverse flow per accompagnare l’ulteriore incremento dei flussi in esportazione verso Austria e Svizzera. In ottica di diversificazione e sicurezza degli approvvigionamenti sono stati poi già stanziati investimenti per la realizzazione di due terminali di rigassificazione galleggianti (FSRU), uno a Piombino e l’altro a Ravenna, che permetteranno di aumentare di 10 miliardi di metri cubi le importazioni di GNL (gas naturale liquefatto) entro il 2024. Con la stessa finalità è stato infine previsto un nuovo sito di stoccaggio ad Alfonsine, in provincia di Ravenna, che incrementerà di 1,8 miliardi di metri cubi la capacità delle riserve al 2030.

Sempre nell’area dell’infrastruttura gas vanno considerati gli investimenti in asset readiness e quelli previsti per la realizzazione della dorsale per il trasporto di idrogeno in forma pura. Prevediamo di investire circa 4 miliardi di euro nei prossimi dieci anni per servire la domanda italiana di idrogeno attraverso 2.300 km di pipeline (di cui 70% da repurposing della rete attuale). Un investimento che assumerà una valenza strategica anche come corridoio per l’import di idrogeno dal Nord Africa verso l’Europa continentale, come prospettato nel recente piano RepowerEU. Infine, per accelerare la transizione energetica, Snam investe nel biometano tramite BioEnerys per la trasformazione da biogas di alcuni impianti e la realizzazione di nuovi (per una capacità complessiva di 100MW al 2026) e nell’idrogeno verde anche attraverso la partecipazione in De Nora. A questo si aggiunge, in partnership con Eni, l’impegno verso lo sviluppo del mercato e della relativa infrastruttura per la CCS in Italia nell’hub di Ravenna.

Accelerazione sulla linea Adriatica; rafforzamento del reverse flow; nuova capacità di rigassificazione e rafforzamento degli stoccaggi; investimento sull’asset readiness e il repurposing delle reti per il trasporto di idrogeno e biometano: tutto ciò non solo renderà il mercato più liquido e il sistema gas più resiliente ma consentirà anche una maggiore competitività a livello di tariffa, bilanciando nel medio-lungo periodo la prevedibile riduzione della domanda di gas naturale attraverso il maggior export (verso Austria e Svizzera) e l’aumento delle quantità di gas verdi gestite dall’infrastruttura. Anche sotto quest’ultimo profilo, una strategia complessiva capace di creare un “corridoio di sicurezza” dove assorbire le difficoltà e i ritardi che potremo incontrare nel futuro prossimo si dimostra il modo migliore per ricomporre il trilemma energetico che oggi ci appare compromesso.