Nel 2020 il mix energetico dell’Ue era composto per il 35% da petrolio e prodotti petroliferi, per il 24% da gas naturale, per il 17% da fonti rinnovabili, per il 13% da energia nucleare e per l’11% da combustibili fossili solidi.
Più della metà dell’energia consumata nell’Ue viene importata, principalmente sotto forma di combustibili fossili, in primis petrolio e gas naturale.
Il gas naturale proveniente dai giacimenti di produzione arriva nell’infrastruttura di distribuzione europea sostanzialmente in due modi: il trasporto via nave e successiva rigassificazione di gas naturale liquefatto (LNG); il trasporto lungo condotte terrestri o sottomarine.
I gasdotti sottomarini hanno assunto, nel corso degli ultimi decenni, una crescente rilevanza, grazie all’evoluzione nei settori tecnologici connessi alla realizzazione di queste opere complesse, che ha permesso di raggiungere elevate capacità di trasporto (>20 bcm per anno) su lunghe distanze. Dal punto di vista ingegneristico, oggi è possibile progettare, installare e operare in sicurezza sistemi sottomarini di trasporto gas su distanze superiori ai 1.000 km e profondità al di là dei 3.000 m.
Questo ha permesso di varare nei fondali marini alcune delle principali arterie di approvvigionamento di gas. L’UE è la macro-regione economica che più di altre, per ragioni geografiche in primis, ma anche di diversificazione e di sicurezza delle forniture, importa gas attraverso condotte sottomarine. Ne sono un esempio le cosiddette trunklines che dalla Norvegia approdano nel Nord Europa (Europipe I & II in Germania, Franpipe in Francia, Zeepipe in Belgio); quelle che importano gas dai grandi giacimenti del Nord Africa (Greenstream tra Libia e Italia, Medgaz tra Algeria e Spagna, TMPC tra Marocco e Italia); e quelle che, più recentemente, hanno permesso di importare gas dai remoti giacimenti del Mar Caspio (TAP tra Albania e Italia) e della Russia (Nord Stream I & II tra Russia e Germania).
I gasdotti sottomarini sono generalmente costituiti da una condotta di acciaio ad alta resistenza che viene installata sul fondale marino lungo una rotta prestabilita, tra due punti di approdo a terra (landfalls), per mezzo di una o più navi posa-tubi. Il gasdotto è poi collegato, attraverso sezioni a terra, a due impianti terrestri che permettono di gestire invio e ricevimento della produzione nonché la manutenzione della linea. Sono condotte generalmente di medio-grande diametro (24in-48in,), esercite ad alta pressione (con pressioni di design di 150-250bar).
Saipem ha contribuito alla realizzazione di molti di tali gasdotti ed ha sviluppato negli anni quindi una competenza specifica sia nella loro concezione che nella loro costruzione grazie ad una flotta di navi specificatamente dedicate come la C1.
La realizzazione di una condotta sottomarina prevede un iter progettuale articolato in diverse fasi, che precedono la fase costruttiva vera e propria. In generale si inizia con uno studio di fattibilità tecnico economica dell’opera, per poi procedere con uno studio concettuale che fissa le principali soluzioni tecniche. Si prosegue con il Front-End Engineering Design (FEED), durante il quale si sviluppa l’ingegneria necessaria per l’acquisto dei materiali e l’appalto dei lavori di costruzione ed infine, si sviluppa l’ingegneria di dettaglio per l’esecuzione completa del progetto. Questo iter progettuale si sviluppa parallelamente all’iter economico e legislativo, durante il quale l’opera viene valutata per quello che concerne l’impatto socio-economico ed ambientale.
Durante le prime fasi, è fondamentale individuare il corridoio di posa più idoneo, sia nelle zone di approdo, caratterizzate da vincoli ambientali stringenti, sia nelle zone con una elevata complessità morfologica. Lo scopo è individuare una rotta che permetta la posa della condotta minimizzandone la lunghezza e gli interventi di rettifica e preparazione del fondale prima e dopo il varo. A tal fine vengono eseguite campagne di acquisizione dati, in diverse fasi dello sviluppo, e con accuratezze via via crescenti, per ottenere una caratterizzazione del corridoio di posa dal punto di vista geofisico e geotecnico.
Il dimensionamento della condotta inizia dalle analisi di processo (flow assurance) e dalla selezione dei materiali di costruzione. Tali analisi hanno lo scopo di assicurare la capacità di trasporto del gas nelle diverse configurazioni in cui il sistema potrà essere esercito, sia in condizioni stazionarie che transitorie, durante tutto l’arco della produzione. Queste analisi determinano i profili di portata, pressione, temperatura, e densità, che verranno utilizzati per il dimensionamento meccanico e permettono di stabilire la necessità o meno di un rivestimento interno per limitare le perdite di carico durante la produzione.
La scelta del tipo di acciaio dei tubi (tipicamente acciai al C-Mn, grado X65 o X70) è dettata da considerazioni sul fluido trasportato e temperature, sui costi del materiale e di installazione. Il materiale deve avere adeguate proprietà meccaniche e soddisfare criteri di durezza, resistenza alla corrosione e alla frattura, e saldabilità. A seconda della composizione del fluido, e in particolare in presenza di impurità, batteri, e/o tenori residui di sostanze acide, si potrebbero infatti innescare processi di corrosione o degrado del materiale.
Ad esempio, la presenza di acido solfidrico (H2S) potrebbe promuovere la diffusione dell’idrogeno nella matrice del metallo ed innescare fenomeni di fragilizzazione (HIC: Hydrogen Induced Cracking; SSCC: Sulphide Stress Corrosion Craking). I materiali vengono pertanto sottoposti a una serie di test per stabilirne il comportamento nelle diverse condizioni di lavoro, al fine di definire le caratteristiche chimiche e le proprietà meccaniche che si dovranno garantire durante il processo di produzione dei tubi.
Tipicamente, il gas trasportato nelle principali trunklines è definito “sales gas”, perché è stato precedentemente processato a monte per rimuoverne le frazioni liquide, condensati, anidride carbonica e acido solfidrico, se presenti, ed è costituito per larga parte da metano e più piccole percentuali di etano e altri gas. Si tratta quindi di un gas generalmente poco aggressivo nei confronti dell’acciaio che costituisce la tubazione. Tuttavia, i potenziali meccanismi di corrosione interna del tubo vengono analizzati, e, se necessario, compensati includendo un sovraspessore.
La progettazione meccanica di una condotta sottomarina presenta sia aspetti comuni con la progettazione di una qualsivoglia tubazione per trasporto in pressione, ma anche degli aspetti peculiari, dovuti all’ambiente e alla metodologia di installazione.
Le normative internazionali di riferimento per la progettazione dei gasdotti sottomarini (DNV OS-F101, per citarne una) adottano la teoria degli “stati limite”, che si basa sull’identificazione di tutti i possibili meccanismi che possono ridurre la funzionalità o pregiudicare l’integrità della condotta (i cosiddetti failure modes o meccanismi di rottura), applicabili nelle diverse condizioni di lavoro, dall’installazione all’esercizio e fino al decommissioning.
L’obiettivo è assicurare l’integrità e l’operatività del sistema durante tutte le fasi della sua vita utile. Per far questo, il sistema stesso della trunkline viene classificato attraverso una o più classi di sicurezza (safety classes) determinate sula base di una valutazione dell’affidabilità strutturale del sistema in rapporto alla probabilità che intervenga la rottura e delle sue conseguenze.
Per ogni classe di sicurezza, un set di fattori di sicurezza (Safety Factors) viene definito e assegnato ad ogni condizione limite (da qui il concetto di “stati limite”), associata ad un failure mode che è di rilevanza per la condotta in oggetto. Il Safety Factor misura in un certo senso il margine di sicurezza che la progettazione deve adottare rispetto ad un certo meccanismo di rottura. Per una condotta sottomarina, generalmente si considerano condizioni limite d’esercizio che, se superate, rendono la condotta non operabile in condizioni normali, e condizioni limite ultime che, se superate, possono comprometterne l’integrità strutturale pregiudicando la sicurezza delle persone e dell’ambiente.
Generalmente, una condotta sottomarina è dimensionata per le più severe tra le seguenti condizioni limite:
Stati Limite Ultimi (ULS)
• Contenimento della pressione (pressure containment)
• Fatica (Fatigue)
• Propagazione della frattura (Fracture)
• Collasso del sistema (System collapse)
• Propagazione di instabilità (Propagating buckling)
• Carichi combinati (Combined loading)
• Instabilita’ globale (Global buckling)
Stati Limite di Esercizio (SLS)
• Intagli (Dent)
• Ovalizzazione (Ovalisation)
• Deformazione plastica totale (Accumulated deformation)
• Spostamenti massimi (Displacement)
Le varie normative internazionali hanno identificato negli anni, sia sulla base della teoria che delle esperienze del passato, i vari meccanismi di rottura rilevanti per il dimensionamento delle grandi condotte sottomarine e vigilano ad aggiornarne la lista qualora nuovi episodi suggeriscano la comparsa di nuovi fenomeni potenzialmente pericolosi o richiedano la modifica di quanto già normato.
Ad ognuna di queste condizioni limite viene associata una formulazione, nella quale si verifica che il carico di design – cioè il carico massimo prevedibile aumentato dei relativi fattori di sicurezza – non ecceda la resistenza di design – cioè la resistenza strutturale e dei materiali decurtate dei relativi fattori di sicurezza.
Queste condizioni sono applicabili ad uno o più scenari di carico della condotta. Tipici scenari sono: le operazioni di installazione della condotta, la configurazione tubo-fondo, la dinamica delle campate libere, la stabilità della condotta ai carichi idrodinamici, l’instabilità dovuta ai carichi di pressione e temperatura, l’interazione con attrezzature di pesca e con il traffico navale. Scenari di carico non convenzionali, quali la dislocazione di una faglia lungo la rotta, l’impatto di un flusso di detriti causato da una frana sottomarina, o l’esplosione di un ordigno bellico nelle vicinanze della condotta, vengono analizzati se rilevanti nel contesto d’installazione o di vita operativa del gasdotto.
Ad esempio, durante la fase di installazione, il contenimento della pressione interna (pressure containment) non sarà uno scenario rilevante, essendo la condotta priva di gas, mentre lo saranno, a seconda delle circostanze, i carichi ciclici (Fatigue), il collasso per pressione esterna (system collapse), la propagazione di instabilità (propagating buckling) e l’effetto dei carichi combinati (combined loading).
La progettazione meccanica della condotta si esegue pertanto combinando i requisiti dimensionanti che derivano dall’analisi dei diversi scenari di carico applicati. L’adozione di questa metodologia di calcolo garantisce che il livello di sicurezza sia associato ad una probabilità di rottura estremamente limitata – tipicamente in un range da 10-4 a 10-5 – stabilita dalla normativa di riferimento attraverso le analisi di affidabilità che sottendono la definizione di Safety Class.
Con questo approccio, che è di tipo probabilistico e non deterministico, si accetta implicitamente di progettare la struttura per i carichi considerati statisticamente rilevanti. Al tempo stesso, l’approccio permette di includere nel design ogni potenziale scenario di carico non convenzionale, con lo stesso livello di sicurezza di quelli convenzionali, attraverso un’analisi dedicata di affidabilità strutturale.
È importante notare che tale approccio progettuale (cosiddetto agli Stati Limite) è oramai adottato per la progettazione di qualsiasi struttura, da un’abitazione civile, ad un’opera pubblica di particolare rilevanza come un ponte o un ospedale.
Anche la produzione dei tubi segue normative internazionali che ne garantiscono la qualità e la sicurezza.
Per le trunklines sottomarine, i tubi vengono normalmente prodotti a partire da una piastra metallica con caratteristiche chimiche adatte a garantire le proprietà meccaniche finali, e poi formati per espansione o riduzione, ed infine saldati longitudinalmente (con una tecnologia ad arco sommerso). Il processo di produzione è qualificato, e la produzione viene controllata in ogni passaggio al fine di garantire la qualità del prodotto finale. Ogni lotto di produzione è controllato con test non distruttivi, dimensionali, etc., ed ogni tubo viene sottoposto singolarmente ad un test idrostatico alla massima pressione sostenibile.
I tubi vengono poi rivestiti esternamente con un prodotto anticorrosivo (ad esempio Polyethylene o Polypropylene), che costituisce la prima forma di barriera contro gli agenti corrosivi presenti nell’ambiente marino. La protezione contro la corrosione esterna viene oltremodo garantita attraverso l’installazione di anodi a bracciale – di alluminio o magnesio – che vengono connessi elettricamente alla superficie metallica del tubo formando un sistema anodo-catodo in cui l’anodo “sacrificale” si consuma per proteggere il tubo stesso.
I tubi di grosso diametro, tipici delle trunklines, per via di un peso sommerso relativamente basso, devono anche essere appesantiti per resistere alle forze idrodinamiche generate da onde e correnti. Pertanto, i tubi, già rivestiti di anticorrosivo, vengono ulteriormente rivestiti con uno spessore variabile da 40mm a 100mm di gunite (ovvero calcestruzzo ad alto tenore di cemento, applicato a spruzzo). Al tempo stesso la gunite permette di dotare la condotta di una protezione meccanica aggiuntiva contro gli impatti generalmente causati dai dispositivi di pesca.
All’approvvigionamento dei tubi segue la fase di costruzione. L’installazione della condotta è preceduta da una serie di interventi, che tipicamente consistono nei lavori civili alle zone di approdo (perforazioni o sbancamenti) e lungo la rotta (per mitigare le irregolarità del fondale, per proteggere assets esistenti, etc.).
Le trunklines sottomarine vengono installate a mezzo di navi posa-tubi con due diverse tecniche di posa: S-lay o J-lay (quest’ultima in combinazione con la prima, essendo applicabile solo a profondità >150-200m). I due sistemi differiscono per la forma della campata sospesa che si sviluppa dalla nave al fondale durante le operazioni di varo – che ricorda appunto una S o una J.
Nel metodo convenzionale S-lay la nave posa-tubi è munita di una rampa articolata (stinger), che fuoriesce dalla poppa, lungo la quale si muove la condotta durante le operazioni di posa. Lo stinger impone alla condotta una curvatura predefinita che fa sì che gli sforzi e le deformazioni del tubo rimangano all’interno dei limiti di resistenza specificati. La campata di varo è mantenuta in equilibrio da appositi “tensionatori” posizionati tra la linea di varo (firing line) e lo stinger. Lungo la linea di varo il tubo è sorretto da supporti a rulli intervallati da un determinato numero di stazioni di lavoro costituite principalmente da stazioni di saldatura, stazioni di controllo delle saldature (NDT), e stazioni di ripristino del rivestimento (field-joint coating). Tipicamente, 2 o 3 tubi da 12m vengono pre-assemblati (double o triple joints) nelle linee di prefabbricazione a bordo e successivamente movimentati nella linea di varo per essere saldati alla condotta. Mentre la tubazione viene progressivamente assemblata nella linea di varo, la nave avanza adagiando la condotta sul fondale marino. Il monitoraggio continuo dei parametri di varo, come la tensione, la reazione sui supporti lungo lo stinger, il punto di contatto del tubo sul fondale, permette di assicurare l’integrità strutturale della condotta durante le operazioni.
Attualmente, i più moderni mezzi di posa S-lay, come il Castorone di Saipem, sono in grado di varare tubi fino a 48in di diametro, o di posare una condotta fino a 3000m di profondità.
Nel metodo J-lay invece la rampa di varo (torre) è in effetti praticamente verticale e pertanto la condotta assume una configurazione deformata a J. Le barre di tubi prefabbricate (tipicamente quadruple joints) vengono issate nella torre con un braccio di carico (loading arm) e saldate nella stazione di saldatura posta nella torre. Un sistema di clampe e tensionatori assicura l’equilibrio della campata di varo.
Le operazioni fondamentali eseguite a bordo sulla condotta sono pertanto la saldatura, i controlli non distruttivi (NDT) della stessa, e il ripristino del rivestimento in corrispondenza della saldatura (field-joint coating).
I materiali di apporto usati durante la saldatura hanno generalmente proprietà migliori del materiale base dei tubi, così da garantire che la saldatura eseguita a bordo non costituisca mai un punto di debolezza meccanica del sistema. Tutte le saldature sono esaminate attraverso controlli non distruttivi (NDT) e la saldatura è accettata solo se conforme alle specifiche di progetto, e rigettata se non rientra nei limiti delle tolleranze stabilite per i difetti ammissibili (in questo caso il tubo viene tagliato ed una nuova saldatura è eseguita). Questo processo garantisce che anche se qualche difetto è presente esso sia sempre al di sotto del limite accettabile per garantire l’integrità della saldatura sia sul breve che sul lungo termine.
Un field-joint coating applicato alla saldatura permette, infine, di ripristinare la continuità del rivestimento anticorrosivo esterno. La selezione del materiale più idoneo è fatta sulla base delle temperature di esercizio, della compatibilità con il rivestimento dei tubi, dell’aggressività dell’ambiente, e della metodologia di applicazione a bordo. Anche tali materiali sono qualificati in accordo alle normative di riferimento (es. ISO standards) e vengono testati (holiday detection, peel strength, adhesion, water immersion, cathodic disbondment, impact resistance, indentation resistance, and flexibility) in fase di pre-produzione ma anche durante le operazioni di applicazione a bordo delle navi.
Una volta che la condotta è stata posata sul fondale marino, vengono completati gli interventi post-installazione, che possono comprendere il parziale o totale interramento della linea (per stabilità o ulteriore protezione), la rettifica di campate libere, etc. nonché il collegamento (tie-in) di due o più sezioni della linea varate in direzioni opposte.
Ad operazioni di varo completate, e collegate le due aree di invio/ricevimento ai landfalls l’integrità dell’intero sistema viene verificata inviandone all’interno una serie di tools di ispezione (pigs) per rimuovere eventuali residui e per verificare l’assenza di deformazioni della sezione del tubo (gauging) al di sopra dei valori ammissibili.
Come ultimo passaggio di verifica, la condotta può anche essere sottoposta ad un ulteriore test di integrità. A tal fine, la condotta è riempita di acqua e messa in pressione, e monitorata per un periodo di 24h, durante il quale non si dovranno registrare cadute di pressione.
Una volta terminate queste verifiche, il gasdotto può essere operato.
In conclusione, si può affermare che tutte le fasi che sottendono alla realizzazione di un gasdotto sottomarino – dalla progettazione alla messa in esercizio – sono codificate e normate in modo da garantire il raggiungimento dei più alti standards di qualità e sicurezza, tutelando l’integrità dell’infrastruttura durante l’intera vita operativa a fronte dei rischi ritenuti ragionevolmente probabili al momento della sua concezione e con riguardo alle conseguenze che tali rischi implicano.