La guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina ha ridisegnato i fondamentali geopolitici, lato offerta, del gas naturale in Europa e allo stesso tempo del mondo. Una ristrutturazione radicale dei flussi transfrontalieri di gas sta già prendendo forma, con il Vecchio Continente che sta cercando velocemente di diversificare le proprie importazioni e ridurre la forte dipendenza da Mosca. Il gas naturale quindi è diventato tanto per i paesi europei quanto per la Russia uno strumento di politica estera da declinare in modo differente rispetto al passato.
Già nella seconda metà del 2021, Gazprom aveva iniziato a ridurre i flussi di gas verso l’Unione Europea, in una mossa che, con il senno di poi, appare sia stata organizzata in preparazione dell’invasione dell’Ucraina del febbraio 2022. Dopo l’inizio del conflitto, il dibattito interno all’Europa è stato inizialmente dominato dal grande sconcerto popolare dovuto da un lato, alla presa di coscienza del peso delle importazioni di gas russo sul totale dell’import di gas e dall’altro, del suo costo, via via crescente e tale da alimentare la macchina da guerra russa. Di fatto, l’UE ha creato gradualmente, nel corso di mezzo secolo, un intricato sistema di dipendenza dal gas russo, da cui, di un tratto, si è sentito il “bisogno” o la necessità politica di sganciarsi. Da più parti, la proposta avanzata, popolare e naive allo stesso tempo, è stata quella di smantellare unilateralmente e immediatamente il sistema esistente. Ciò sarebbe servito al raggiungimento di un doppio obiettivo, ovvero protestare contro l’aggressione militare russa e interrompere il flusso di danaro proveniente dall’export russo. La Russia, dalla sua parte, ha iniziato una campagna del “dividi et impera”, rifiutandosi di vendere gas ad alcuni paesi (coloro che si erano rifiutati di pagare le forniture di gas in rubli) mentre ha continuato a promuovere il proprio business in maniera regolare con altri partner. Mosca ha così dato prova di capacità eccezionali nel massimizzare con successo i propri ricavi derivanti dalla vendita del suo gas naturale.
Nel corso dell’estate, poi, il dibattito è andato gradualmente a modificarsi: non erano gli stati europei a voler interrompere gli approvvigionamenti, ma la Russia ha paventato il rischio di un taglio netto delle forniture. Mosca ha così ridotto ulteriormente le forniture, senza però ammettere esplicitamente che questa decisione fosse parte di una strategia geopolitica. L’obiettivo, in aggiunta al “dividi et impera”, è stato quello di massimizzare il senso di incertezza riguardante i flussi futuri, in modo da rendere ulteriormente complicato per l’industria gassifera europea una pianificazione sul più lungo termine.
Il prossimo inverno sarà probabilmente quello dove si assisterà al più corposo dramma energetico europeo di sempre. A permanere è una grande incertezza, non solo riguardante i volumi di gas che saranno a disposizione, ma anche le modalità con cui i paesi europei sceglieranno di cooperare per gestire l’incombente crisi. La questione più problematica non è se vi sarà o meno una crisi (in cui ci troviamo già ora), ma piuttosto se questa sarà gestita caoticamente o in maniera ordinata. La crisi, infatti, potrebbe colpire in maniera assai diversa gli Stati membri e in generale, non assisteremo soltanto al cambiamento delle relazioni geopolitiche tra Europa e Russia, ma si modificheranno dinamiche di cooperazione e conflitto intra-europee.
Inoltre, permangono diverse incertezze intrinseche ai molti paesi ma che rischiano facilmente di estendersi all’arena internazionale. Molti paesi stanno pianificando come distribuire le scarse risorse di gas, nel caso in cui non ve ne fosse in quantità sufficiente per tutti. Eppure, nessuno sa se questi piani possano funzionare nella pratica, quali rischi ulteriori potrebbero derivare da un razionamento del gas e quali reazioni potrebbe generare nell’opinione pubblica un ulteriore incremento dei prezzi, per non parlare di un vero e proprio caos politico. Storicamente, sappiamo che gli alti prezzi energetici e del cibo hanno dato il via ad eventi politici radicali, come le violente rivolte contadine del 16° secolo in Europa, la Rivoluzione Francese del 1789 e la stessa presa del potere nel 1917 dei bolscevichi in Russia. Siamo dunque consapevoli che questi sviluppi che, formalmente sono pertinenti alla politica interna, hanno in realtà enormi implicazioni di carattere geopolitico.
Un ulteriore punto di discussione riguarda gli scenari di lungo periodo. Alcuni stati membri dell’UE, come ad esempio i paesi Baltici, hanno già dichiarato la fine definitiva delle proprie relazioni energetiche con la Russia. Uno scenario estremo sarebbe quello dell’interruzione completa e per sempre dei flussi di gas dalla Russia verso l’Europa.
Interruzione totale che è uno degli obiettivi principali dell’UE, su cui però alcuni stati membri non si trovano d’accordo. Il problema di fondo è che esiste una forte discrasia tra l’obiettivo, di per sé nobile, di azzerare le importazioni di gas russo e la realtà geologica e tecnologica: la Russia rimane un paese con grandissime riserve di gas e una eccellente infrastruttura di trasporto a supporto dell’export. Per questo motivo, ci sono diverse ragioni che spingono gli attori industriali a cercare vie che aggirino gli ostacoli geopolitici, in modo da continuare ad utilizzare il sistema esistente in maniera razionale. L’unico vero fattore che potrebbe modificare questa logica tecnico-economica sono le iniziative europee di lungo periodo per la riduzione dell’utilizzo dei combustibili fossili, incluso il gas naturale, per motivi ambientali. Politiche, che però dispiegheranno i propri effetti fra decenni, non sicuramente nel giro di qualche mese o anno. Per il momento, invece è molto più verosimile uno scenario opposto a quest’ultimo, in cui vi saranno ulteriori investimenti in infrastrutture per combustibili fossili che siano in grado di fare i conti con l’odierna e acuta crisi.
La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di RiEnergia. La versione inglese di questo articolo è disponibile qui